La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

VI. GIORNO

In che consista la vera Beatitudine, e come debba viver l’uomo per poi regnare.

« Animalis homo non percipit ea, quae sunt spiritus Dei: stultitia enim est illi, et non potest intelligere. — L’uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio; poichè egli è uno stolto, nè può intenderle » (Prima lettera ai Corinzi 2, 14).

 

I.

Considera, che due sono le umane beatitudini. Una in Cielo, una in terra. In Cielo goder Dio, in terra patir per Dio. In Cielo è goder Dio, perchè l’uomo è fatto per questo, per goder Dio; e però subito ch’egli arriva a goderlo, divien beato, perchè conseguiste il suo fine, ed il suo fine ultimo, ch’è quello, in cui unicamente egli può quietarsi con quell’altissima pace che tutte le cose trovano, giunte al centro. In terra è patir per Dio, perchè questo è, che più di tutto assicuraci di dovere arrivare a goderlo in Cielo. E però come la prima beatitudine è conseguire il suo fine; così la seconda è sperare fondatamente di conseguirlo. Ma chi lo può più fondatamente sperare, che chi patisce sulla terra per Dio? « Si sustinebimus, et conregnabimus. — Se patiremo, regneremo insieme » (Seconda lettera a Timoteo 2, 12). Quindi è che Cristo chiamò beati i poveri, beati i perseguitati, beati quelli che piangono. Gli chiamò tali per la caparra, la qual hanno certissima, di salute: « Beati qui nunc fletis, quia ridebitis. —Beati voi, che ora piangete, perchè riderete» (Vangelo di Luca 6, 21). E così, se rimirasi intimamente, si scorgerà, che sulla terra maggior beatitudine è il patir per Dio, che non è il goderlo con ricevere le sue visite nell’orazione, le sue locuzioni, i suoi lumi, le sue care estasi, perchè tutti questi sono doni gratuiti. Ma ciò che è dono non ci fa mai tanto sicuri del Paradiso, quanto sicuri ce ne fa ciò ch’è merito. E tale è il patir per Dio. Ora tutto questo linguaggio (benché sì chiaro) a chiunque vive secondo quella parte ch’egli ha di sè comune con gli animali, è un linguaggio barbaro. E però qui dice l’Apostolo: « Animalis homo non percipit ea, quae sunt spiritus Dei — L’uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio ». « Non percipit quae sunt in Caelo, non percipit quae sunt in terra — Non capisce le cose celesti, non capisce le cose terrene ». Perchè, come ognuno sa, due sono quelle proprietà che differenziano l’animale dall’uomo. L’una è guidarsi ne’ desideri dall’appetito, e non dal dovere. L’altra è governarsi ne’ giudizi dall’apprensione, e non dal discorso. Posto questo: « Animalis homo, chi vive da animale, non percipit ea, quae sunt spiritus Dei in Caelo — non capisce le cose dello spirito di Dio in Cielo », perchè guidandosi anch’egli dall’appetito, non si sa fingere altro Paradiso, che quello di Maometto. Ed un tal Paradiso in Cielo non v’è, perchè i diletti sono ivi tutti di spirito: a segno tale, che anche i diletti corporei, allora che si otterranno, saranno spiritualizzati, cioè saran simiglianti a quei dello spirito : « Seminatur corpus animale, resurget corpus spiritale. — Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale » (Prima lettera ai Corinzi 15, 44). « Non percipit ea, quae sunt spiritus Dei in terra — Non capisce le cose dello spirito di Dio in terra ». Perchè governandosi anch’egli, come chi vive da animale, dall’apprensione, non sa giudicare se non che da ciò che apparisce. E così mai non sa finir di capire, per quanto ascoltilo, come coloro che piangono sian beati : Beati qui lugent. Gli stima miseri : miseri i poveri, miseri i perseguitati, perchè appariscono miseri. Deplora l’infelicità d’uno stato tale, se pure arrivi a conoscerla. Che se non la conosci, non più deplora solamente lo stato, deplora te, perchè è chiarissimo segno che tu sei appunto un di coloro, che vivono in tale stato: « Animalis homo non percipit ea, quae sunt spiritus Dei —L’uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio ».

II.

Considera la ragione, per cui ti dice l’Apostolo, che chi vive da animale « non percipit — non capisce » queste cose, che son di spirito. La ragion è, ch’egli è stolto: Stultitiam enim est illi. E se egli è stolto, non solo non intende sì fatte cose, com’è anche degli esperti; ma non può intenderle, et non potest intelligere. Chi ha buon palato, ma non ha provato mai zucchero ai giorni suoi, sicuramente non sa ciò che si voglia dire sapor di zucchero. Ma se nol sa, può saperlo, basta ch’egli abbiane un saggio. Ma chi ha il palato stupido, nè lo sa, nè lo può sapere. Ora questa è la disgrazia di chi si sia dato a vivere da animale: « Stultitia est illi — E’ uno stolto ». Ha l’intelletto, che è il palato dell’Anima, istupidito, se non l’ha forse anche stupido: mercecchè egli non è uso, se non che solo a cose tutte, o sensibili, o sensuali, e conseguentemente non è capace d’intendere le Divine, non potest intelligere, perchè non è capace di assaporarle; son troppo a lui superiori. « Plurima super sensum hominum ostensa sunt tibi. — Moltissime cose sono state mostrate a te, le quali sorpassano l’intelligenza dell’uomo » (Ecclesiastico o Siracide 3, 25). Ma chi non sa, che le cose Divine non si possono intendere in altra forma, che con provare il loro sapor nascosto? Però già disse Mosè de’ suoi sciocchi Ebrei: « Utinam saperent, et intelligerent, ac novissima providerent! — Ah sapessero, ed intendessero, e prevedessero la fine! » (Deuteronomio 32, 29). Parea che dovesse dire: Utinam intelligerent, et saperent; non Utinam saperent, et intelligerent; perchè prima è l’intendere, e dipoi il sapere; e non è prima il sapere, e dipoi l’intendere. Ma egli non disse così. Disse avvedutamente: « Utinam saperent et intelligerent — Ah sapessero, ed intendessero! » perchè è vero che le cose naturali prima s’intendono, e dipoi si sanno: ma le soprannaturali, quali sono le cose che spettano all’altra vita, Novissima, prima si sanno, e poi s’intendono: Gustate, et videte (Salmo 34, 9). Ma come può ciò succedere in chi ha l’intelletto già istupidito dal vivere animalesco? Benchè, il non intendere queste cose non procede in costoro dal solo difetto della potenza; nasce più forse ancor dalla sottrazione, se noi vogliamo dir così, del principio. Perchè lo spirito del Signore a niuno meno mai si comunica, che a costoro, i quali vivono da animali. Oh come gli abbandona! Oh come gli abbomina! Iddio non lascia godersi, se non da chi in Cielo è morto totalmente ai suoi sensi, in terra è mortificato: « Non videbit me homo, et vivet. —Non vivrà uomo dopo avermi veduto » (Esodo 33, 20). Così diss’egli chiaramente di sè. Ma perchè lo disse, se non perchè da chiunque punto desideri di goderlo, egli onninamente vuole una delle due cose: o che sia morto totalmente a se stesso, o che si mortifichi? Rimira dunque se importa bene di deporre un tal vivere, il qual di più è un vivere animalesco: cioè quel vivere, il qual ti inclina ad amar tanto i tuoi diletti sensibili, e ad apprezzarli. Se nol deponi, ti rendi inabile a tutti i diletti Divini, perciocchè questi son tutti di spirito: « Spiritus est Deus; et eos, qui adorant eum, in spiritu, et veritate oportet adorare — Iddio è spirito; e quei, che l’adorano, adorar lo devono in ispirito, e verità » (Vangelo di Giovanni 4, 24), non « in spiritu, et voluptate — in ispirito e in voluttà ».

III.

Considera, che se tanto convien deporre quel medesimo vivere animalesco, che ci fa condiscendere ai diletti sensibili più del giusto; convien deporre molto più ancora quello, che ci fa condiscendere a’ sensuali. Questo senza dubbio è quel vivere da animale, che sopra ogni altro qui condanna l’Apostolo, mentre dice : « Animalis homo non percipit ea, quae sunt spíritus Dei; stultitia enim est et non potest intelligere — L’uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio; poichè egli è uno stolto, nè può intenderle ». Perchè se chi è dato a’ sensibili di soverchio, non può capire giammai le cose Divine : chi è dato a’ sensuali, appena può crederle. E così la libidine al fine è quella, che a poco a poco ti toglie dal cuore la Fede, benchè talvolta falsamente ti stimi di ritenerla. Guarda gli Eresiarchi, almeno i più celebri a’ giorni nostri. Incominciarono tutti da vita prima sozza, dipoi sacrilega. Anzi il medesimo Apostolo a’ Colossensi intese già per increduli i lussuriosi, laddove disse : « Propter quae venit ira Dei, super filios incredulitatis. — Per le quali cose piombò l’ira di Dio (cioè il Diluvio) sopra gl’increduli » (Lettera ai Colossesi 3, 6). Nè devi maravigliartene. La libidine a lungo andare fa che tu già disperi di conseguire i beni dell’altra vita, mentre odi che a conseguirli è necessario staccarsi da que’ piaceri, e da quelle pratiche, a cui vivi attaccato, più che non fa l’avvoltoio alle sue carogne. E come tu ne disperi, ti vuoi, per non travagliarti, dar anzi a credere, che tali beni a te promessi nell’altra vita sian frivoli, siano falsi; e così tradisci la Fede, almeno tacitamente dentro il cuor tuo, senza che talor tu medesimo te ne accorga. Dimanda un poco all’istesso Apostolo chi siano gli uomini « alienati a vita Dei, propter caecitatein cordis ipsorum — alienati dal vivere secondo Dio, a motivo dell’accecamento del loro cuore » (Lettera agli Efesini 4, 18, 19). Sentirai dirti subito, che son quegli, « qui desperantes semetipsos tradiderunt impudicitiae— che privi di speranza si abbandonarono all’impudicizia ». Miseri quei che giungono a un tale stato ! Eppure oh quanti del continuo vi giungono ancora tra’ Cristiani ! Tu se vuoi starne daddovero lontano, che dovrai fare? Guardarti ancora da’ diletti sensibili più che puoi, perchè da’ sensibili, amati eccessivamente, avvien che facciasi a poco a poco il passaggio luttuosissimo a’ sensuali.

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