La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

V. GIORNO

Come si debba compatire il prossimo ne’ suoi difetti.

« Quid vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quu in oculo tuo est, non consideras? — Perchè stai tu osservando una festuca nell’occhio del tuo fratello; e non badi alla trave, che hai nel tuo occhio? » (Vangelo di Luca 6, 41).

 

I.

Considera quanto sia irragionevole, che tu con tanta attenzione osservi i difetti anche piccioli del tuo prossimo, e gli critichi e gli censuri, mentre n’hai tu de’ maggiori infinitamente, nè solo de’ maggiori, ma de’ maggiori altresì nell’istesso genere. E questo è ciò, di che Cristo qui ti rimprovera, mentr’ei dice : « Quid vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, que in oculo tuo est, non consideras? — Perchè stai tu osservando una festuca nell’occhio del tuo fratello; e non badi alla trave, che hai nel tuo occhio? ». La trave è senza paragone maggiore di una festuca : ma non però è di genere differente; perchè anco ella fu da principio festuca, cioè dire fu un piccolo sorcoletto, che a poco a poco crescendo divenne trave. E tu vedi il sorcoletto nell’occhio del tuo fratello, cioè vedi quella ira piccola che in lui nasce, e non iscorgi la trave nell’occhio tuo, cioè non iscorgi l’ira tua tanto adulta, ch’è già fatta odio? Questo senza dubbio è un prodigio d’iniquità. Se non che tu potrai dire, ch’è assai più facile il veder altri, che sè. Ma a levarti appunto una scusa ch’è tanto frivola, ecco che Cristo non disse qui : « Quid vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem quae in oculo tuo est non vides? — Perchè stai tu osservando una festuca nell’occhio del tuo fratello, e non vedi la trave, che hai nel tuo occhio? », ma disse, « trabem autem quae in oculo tuo est, non consideras? — e non badi alla trave, che hai nel tuo occhio? » o come apertamente confermaci il testo greco : « non attendis, non animadvertis — non avverti, non consideri ». Perchè, se tu non sai scorgere i tuoi difetti con quegli occhi stessi del corpo, co’ quali scorgi sì facilmente gli altrui, gli hai da scorgere con gli occhi dell’ intelletto. Prima di porti a giudicare il tuo prossimo, o a condannarlo, pensa un poco fra te, ma posatamente, se in te ritrovasi a sorte un difetto simile, sia d’ira, sia d’ambizione, sia d’albagia, sia d’intemperanza, o se vi se ne ritrovi ancora un più esorbitante: « Ante judicium, interroga te ipsum — Esamina te stesso prima di giudicare » (Ecclesiastico o Siracide 18, 20), e così avverrà che ti astenga dal voler fare il zelante verso il tuo prossimo, mentre conoscerai in quanto peggiore stato ti trovi tu, di quello in cui si trovi il prossimo tuo. Che se neppure in tal caso non te ne astieni, quale iniquità si può fingere più incivile, o più invereconda?

II.

Considera come Cristo diede qui il nome vituperoso d’ipocrita a chi procede in sì brutta forma : « Hypocrita: ejice primum trabem de oculo tuo, et tunc perspicies, ut educas festucam de oculo fratris tui — Ipocrita: scaccia prima la trave dall’occhio tuo, e allora avrai buona vista per cavare la festuca dall’occhio del tuo fratello » ; attesochè non solamente egli è ipocrita, ma il più infame. E la ragion è, perchè non solo ei procura, come ogni ipocrita, di apparir migliore degli altri, mentr’ei non è, ma lo procura mentr’egli è di vantaggio peggior degli altri, nè lo procura già per via di limosine, di digiuni, di discipline, ovvero di orazioni molto prolisse, come facea quel Fariseo là nel tempio : ma lo procura col vilipendio del prossimo, e di quel prossimo istesso, ch’egli è tenuto stimar miglior di sè; lo procura con l’autorità, lo procura con l’arroganza, Io procura col fasto, lo procura col voler diportarsi da superiore, non sol nell’atto minore di comandare, ma nel maggior di riprendere. E posto ciò, non pare a te, che un tale ipocrita sembri il più abbominevole di quanti mai tu puoi fingerti col pensiero? Che sarebbe però, se in lui tu fossi necessitato a mirare i veri lineamenti di te medesimo? Non hai tu dunque maniera di acquistar credito, se non che mostrando verso gli altri quel zelo ch’essi dovrebbono esercitare piuttosto verso di te? Questo è un volersi accreditar contro ogni ordine di ragione.

III.

Considera, che quando ancora non ti movessi da fasto, ma da buon zelo, in voler condannare i difetti minori de’ tuoi fratelli, senza provveder prima ai tuoi, non solamente tu commetti una cosa, che è irragionevole, come or ora si è dimostrato, con usurparti quella superiorità, che a te punto non si conviene, ma commetti una cosa ch’è ancor inutile. Che però Cristo quando qui disse : « Quid vides festucam, etc. — Perchè stai tu osservando una festuca ecc. », questo è ciò, che volle inferire con quel suo « Quid? Ad quid vides? Quorsum vides? Quamobrem vides? — Perchè? A che? A qual fine? Per qual ragione stai tu osservando? » conforme in quell’altro luogo : « Quid autem vocatis me, Domine, Domine, et non facitis qua? dico? — Perchè poi dite voi a me, Signore, Signore, e non fate quel che io vi dico? » (Vangelo di Luca 6, 46). E che sia così : Qual utilità puoi cavar da cotesto zelo che mostri de’ tuoi fratelli, senza pensar prima a te? Non la puoi cavare per te, e non la puoi cavare pe’ tuoi fratelli. Non la puoi cavare per te, perchè quando ancora arrivassi a levare dagli occhi altrui tutte le festuche possibili, non ti val nulla se tu ne’ tuoi fra questo mezzo ti resti con la tua trave. Con tutto il ben che tu abbi apportato ad altri, correggendoli, convertendoli, andrai dannato conforme a ciò ch’attestò Cristo dicendo : « Qui solverit unum de mandatis istis minimis, et docuerit sic homines, minimus vocabitur in Regno Coelorum. — Chiunque violerà uno di questi comandamenti minimi, e così insegnerà agli uomini, sarà chiamato minimo nel Regno de’ Cieli » (Vangelo di Matteo 5, 19). Non disse « minimus erit in Regno Coelorum — sarà minimo nel Regno de’ Cieli », perchè chi è tale non avrà luogo in Paradiso neppure su un cantoncino. Ma disse « vocabitur — sarà chiamato », perchè per quanto egli venga apprezzato in terra, qual uomo grande, sarà disprezzato in Cielo. « Super eum ridebunt, et dicent: Ecce homo, qui non posuit Deum adjutorem suum, sed speravit in multitudine divitiarum suarum — Di lui rideranno dicendo : Ecco l’uomo, il quale non ha eletto Dio per suo protettore, ma sperò nelle sue molte ricchezze » (Salmo 52, 9), cioè di quelle dottrine di cui fu ricco nelle sue prediche, del concorso, del seguito, della stima; « et praevaluit in vanitate sua — e si fece forte nella sua vanità » (Salmo 52, 8). E non è dunque molto meglio per te, impiegare in pro tuo quel tempo, e quel travaglio che applichi a pro degli altri? Hai una trave sugli occhi, e ancor ella non ti eccita a lagrimare? Ch’è quanto dire, hai teco un vizio gravissimo, e non ti affanni, e non ti affliggi, e non ti prendi sollecitudine alcuna di te medesimo; ma bensì di quegli, che son men rei di te? Questa è pazzia manifesta : « Qui alium doces, te ipsum non doces. — Tu che insegni ad altri, non insegni a te stesso » (Lettera ai Romani 2, 21). Dipoi, siccome non puoi trarre per te niuna utilità, così nemmeno puoi trarla pe’ tuoi fratelli. Conciossiachè non vedi tu, che coloro in vece di approfittarsi dello zelo, che tu dimostri intorno ai loro difetti, il derideranno? Certa cosa è, che se tu con aver sugli occhi una trave giugni a vedere sugli occhi loro i fuscelli, molto più essi con aver sugli occhi un fuscello giugneranno a vedere su’ tuoi la trave. E posto ciò, non vuoi tu, ch’essi si ridano del tuo zelo, con dir fra sè: « Medice, cura te ipsum. — Medico, cura te stesso »? (Vangelo di Luca 4, 23). Non sol se ne rideranno, ma ne rimarranno anche tutti scandalezzati, considerando che vuoi farla da giudice, in quel tempo medesimo che sei reo. Adunque ch’hai tu da fare? « Ante judicium, para justitiam tibi. — Prima del giudizio, assicurati di tua giustizia » (Ecclesiastico o Siracide 18, 19). Se veramente tu brami di recare alcun utile ai tuoi fratelli con giudicarli, deponi prima la trave dagli occhi tuoi: scuoti il mal commesso, deploralo, detestalo, muta vita « para justitiam — tibi assicurati di tua giustizia ». E allora sì, che sarà stimato buono zelo quello, che in altra forma è stimato fasto : giacchè o fasto, o temerità, o tracotanza convien che sia di chi vuol levare bensì ad altri la polvere dalla faccia, ma con le mani infangate : « Ah immundo quis mundabitur? — Una cosa immonda a qual altra darà mondezza? » (Ecclesiastico o Siracide 34, 4).

IV.

Considera, che quando tu non procuri prima l’emenda propria, non solamente fai cosa e iniqua ed inutile in applicarti all’altrui; ma fai di più cosa, ch’è sommamente dannosa, almeno a te stesso. «  In quo enim alterum judicas, teipsum condemnas. — Imperocchè nello stesso giudicare altrui te stesso condanni » (Lettera ai Romani 2, 1). E non vedi tu, che, mentre essendo tu reo la vuoi far da giudice, ti provochi da te contro l’ira di Dio? E’ vero che quegli, i quali han per ufficio di giudicare, come sono i principi, i prelati, i ministri, non debbono lasciar d’eseguire l’ ufficio loro, ancora in quel tempo, in cui sono a sè consapevoli di delitto, maggior di quello che giudicano. Ma chi non ha tale ufficio, non può usurparselo, nemmeno dentro i semplici termini di riprendere, conceduti a’ Predicatori. Chi vuol riprendere altri, o in privato, o in pubblico, della mala vita che ei mena, è necessario che riformi prima la propria. « Mundati sunt Sacerdotes et mundaverunt populum. — I Sacerdoti si purificarono, e purificarono il popolo ». Altrimenti è certo, ch’ei pecca di presunzione, se il suo male sia noto a lui solamente, e pecca di presunzione insieme e di scandalo, se il suo male sia noto sì a lui, sì agli altri. E ciò non è un provocare altamente l’ira divina? Se pecchi di presunzione, Iddio ti dovrà confondere qual superbo, che vuoi dissimulare la iniquità col rimproverarla. « Percutiet te Deus, paries dealbata. — Iddio ti percuoterà, muraglia imbiancata » (Atti degli Apostoli 23, 3). E se pecchi ancora di scandalo, Iddio ti dovrà condannare qual seduttore, che mentre mostri di volergli tu ancora convertire delle anime, le perverti, in compagnia di coloro che furono intitolati « Pseudoapostoli — Falsi Apostoli », cioè « Operarii subdoli, transfigurantes se in Apostolos Christi. — Operai finti, che si trasfigurano in Apostoli di Cristo » (Seconda lettera ai Corinzi 11, 13). Che dunque tu vogli ammonire i tuoi prossimi di que’ bruscoli che han sugli occhi, cioè di que’ principii di colpa, che forse per se stessi non san conoscere, è indubitatamente una cosa santa : ma purga prima gli occhi tuoi da que’ tronchi già sì massicci, che v’han gettate per dir così profondissime le radici, cioè purgali dalle colpe che sono in te, non solamente gravi, ma inveterate, altrimenti dovrai tanto più dispiacere a Dio, quanto più essendo iniquo, vuoi far da giusto. « Qui dicunt : Recede a me, non appropinques mihi, quia immundus es: isti fumus erunt in furore meo, ignis ardens tota die. — Quelli che dicono: Ritirati da me, non appressarti, perchè tu se’ immondo : costoro al mio furore diverran fumo, e fuoco, che sempre arderà » (Isaia 65, 5).

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