La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

MAGGIO

IV. GIORNO

Della gloria, e prosperità degli empi.

 

« Vidi stultum firma radice, et maledixi pulcritudini ejus statim. — Vidi lo stolto aver gettate salde radici, e subito maledissi la bellezza di lui » (Giobbe 5, 3).

 

I.

Considera, che quello stolto, di cui qui parlasi, non significa qualunque empio semplicemente, ma l’empio ricco, come dal testo ebreo si deduce : nè è cosa nuova, che l’empio ricco si denomini stolto, mentre questo appunto è quel titolo, che il Signore già gli diede per bocca propria: « Stulte, hac nocte animam tuam repetunt a te, et haec qua’ parasti cujus erunt? — Stolto, in questa notte è ridomandata a te l’anima tua, e ciò che hai accumulato di chi sarà? » (Vangelo di Luca 12, 20). E vaglia il vero, quale stoltezza maggiore tu puoi commettere, che avere In mano il contante, onde comperarti la gloria del Paradiso, e non voler impiegarlo ad un tal effetto? Piuttosto darlo a bracchi, darlo a buffoni, o lasciarlo a gente, che ingrata desidera la tua morte, come un tesoro. Se tu fossi uno di questi, non passar oltre: perchè la pazzia, che commetti, è per sè bastevole a tenerti bene occupato anche un’ora sana in considerarla. Ma se non sei, passa innanzi, e vedrai quanto sia misero quello stolto, che forse ancora tu qualche volta avrai potuto invidiare quasi felice.

II.

Considera, che chi vide questo empio ricco, lo rimirò come un albero molto annoso, perchè appariva aver gettate già nella terra radici salde, radici sode, radici troppo difficili a sbarbicarsi, il che non è proprio di piante se non eccelse. « Vidi impium firma radice. — Vidi l’empio aver gettate salde radici ». Che fece però egli ad una tal vista? Se ne compiacque? tutto il contrario; compatì immantinente tanta bellezza e la maledisse: Et maledixi pulcritudini ejus statim. Ma qui convien intendere, che vuol dire, la maledisse. Vuol dire, che facesse a lei ciò, che fe’ Cristo a quella pianta infruttuosa di fico, a cui comandò, che dovesse di subito venir male? no: vuol dire, che le dicesse del male? no: vuol dire, che le desiderasse del male? no. Tutti questi sensi convengono senza dubbio a questa parola orribile: « maledixi — maledissi ». Ma non già nel luogo presente : per insegnarti, che tu non arroghi a te quelle parti, che a te non toccano. Sia empio quanto si vuole quel ricco, che tu vedi da Dio sì felicitato: non solo non gli hai da scaricar sopra veruna maledizione di questi tre generi dianzi detti, ma piuttosto hai da supplicare il Signore, che compatendolo, gli dia grazia di ravvedersi. Il maledire con formola imperativa, come fe’ Cristo, tocca a Dio solo, o a chi tenga in terra il suo luogo. Il maledire con formola ingiuriativa si lascia ai mordaci. Il maledire con formola imprecativa si lascia ai maligni. Tu per quanto vegga ad un empio venir del bene, non hai da procedere, se non secondo ogni genere di onestà, la quale t’insegna, non fare ad altri nulla di ciò, che tu per te non vorresti: « Quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis. — Fate agli uomini tutto quello, che volete ch’essi facciano a voi » (Vangelo di Matteo 7, 12).

III.

Considera in qual senso dunque si afferma, che chi vide quell’albero sì felice lo maledisse: in senso non altrimenti di impetrar male, ovvero di dirlo, ovver di desiderarlo, ma solo di prenunziarlo. Chi, veduto quell’albero, lo maledisse, non altro fece, se non che tosto formarne dentro il suo cuore un augurio pessimo : « Maledixit — Maledisse », cioè « male ominatus est pulcritudini ejus — fece un pessimo augurio alla bellezza di lui ». Tale in questo luogo è la forza di detta voce, tratta dalla sua lettera originale; e tale è in quell’altro, dove Balac disse a Balaamo: « Ut malediceres inimicis meis vocavi te, et tu e contrario benedicis. — Io ti ho chiamato, affinchè tu facessi un cattivo augurio a’ miei nemici, e tu al contrario li benedici » (Numeri 23). Perchè Balac chiamato avea quel Profeta con isperanza di udir la mala ventura su i suoi nemici, e n’udì la buona : dal che il Profeta si scusò appunto con dire: « Numquid loqui potero aliquid, nisi quod Deus posuerit in ore meo? —Potrò io forse dir altro, se non quello, che mi detta il Signore? » Ecco dunque che fece, chi vide un albero in apparenza sì bello : gli fe’ la mala ventura, ch’è quanto dir, prenunciò, che qualche fulmine orrendo gli sovrastasse, qualche temporale, qualche turbine, qualche assalto di subita innondazione. Questo modo di maledire agli empi felici non solamente è lecito, ma salubre: perchè fa sì, che non t’innamori di quella loro infelice felicità. E però questo fu insegnato da Davidde, dove disse : « Noli aemulari in eo, qui prosperatur in via sua. — Non voler invidiare colui, ch’è prosperato nelle sue vie » (Salmo 37, 7). E per qual ragione? per l’augurio sinistro, che viene appresso: « Quoniam adhuc pusillum, et non erit peccator. — Poiché anche un poco, e il peccatore più non si vedrà ».

IV.

Considera per qual ragione chi vide un albero di radici sì ferme, firma radice, ne fece augurio di mali sì portentosi. Per questo medesimo, perché lo vide di radici sì ferme. La felicità nell’empio, non è mai segno, se non molto cattivo. Ma quando è radicata, cioè continuata, cioè costante, allora egli è pessimo : perchè è segno, che Dio sopporta in questa vita quell’ empio, lo protegge, lo prospera, perchè lo vuole con pene troppo più acerbe punir nell’altra : « Dominus patienter expectat, ut cum Judicii dies advenerit, in plenitudine peccatorum puniat.— Il Signore aspetta pazientemente, per punire, venuto che sia il giorno del giudizio, a misura de’ loro peccati » (Secondo libro dei Maccabei 6, 14). Comunemente la felicità de’ malvagi suol essere breve; che però sta scritto, che « Adulterinae plantationes non dabunt radices altas. — Le piante bastarde non gettano profonde radici » (Sapienza 4, 3). Sicchè quando è lunga, oh quanto è segno evidente di dannazione! Tu mai non hai da invidiarla, ma molto meno allora, ch’ella ti par più degna d’invidia per la fermezza, perchè allora è più luttuosa.

V.

Considera, che chi vide quell’ albero, non si dice, che fece sinistri augurii, se non che alla bellezza di esso; lo fece alle frondi, lo fece a’ fiori, no ‘l fece a’ frutti, perchè di questi non v’era : « Maledixi pulcritudini ejus statim. — Subito maledissi la bellezza di esso » (Giobbe 5, 3). Tal è la gloria dell’empio, tutto è apparente, non ha niente di sostanzioso : e però tanto meno è degna d’invidia : « Foenum agri, quod hodie est, et cras in clibanum mittitur. — Erba che oggi è nel campo, e domani si getta nel forno ». Vero è, che la beltà sola è bastante ad innamorare chi la riguarda, benchè sia scompagnata dalla bontà. E però come allora, che tu rimiri una bella femmina, per non t’invaghire di essa, hai da pensare, che tra poco ella sarà pasto di vermi, sarà lurida, sarà sozza, sarà coperta d’un alto squallor mortale: così quando scorgi la felicità de’ malvagi, hai da pensare accortamente all’eccidio, che lor sovrasta da Dio sdegnato. Siano quanto vuoi radicati sopra la Terra: « Sicut olera herbarum cito decident. — Come la tenera erbetta appassiranno fra poco » (Salmo 37, 2).

VI.

Considera, che chi mirò lo stolto felice, non interpose verun tempo di mezzo a formar questi augurii così sinistri di tanta felicità, ma li fe’ subito: «Vidi stultum firma radice, et maledixi pulcritudini ejus statim. — Vidi lo stolto aver gettate salde radici, e subito maledissi la bellezza di esso » : perchè qui sta tutto ciò, che lo mostrò savio. Se avesse tardato molto, avrebbe fatta finalmente una cosa, a cui con progresso di tempo ciascuno è buono. L’istesso stolto in progresso di tempo conoscerà, che la sua felicità non fu degna d’alcuna invidia, l’ abborrirà, l’ abbominerà, e dirà con tutti gli stolti simili a lui : « Quid nobis profuit superbia, aut divitiarum jactantia quid contulit nobis? — Che giovò a noi la superbia, o la ostentazione delle ricchezze qual pro fece a noi? » (Sapienza 5, 8). Tutto il guadagno consiste in saper ciò conoscere prestamente. Chi più prestamente il conosce, tanto è più savio. E però questi, che parla qui, fu saviissimo, perchè non potè far più presto di ciò, che fece: « Maledixi pulcritudini ejus statim. — Maledissi subito la bellezza di esso ». Tu piglia esempio a non esitare in materia, ch’è tanto certa. Altrimenti corri pericolo di affezionarti alla falsa felicità de’ malvagi, prima di arrivare a conoscere, ch’ella è falsa, sicchésia bisogno di chi ti rimproveri la tua perniciosa ignoranza, e così ti dica: « Non zeles gloriam, et opes peccatoris: non enim scis quae futura sit illius subversio. — Non invidiare al peccatore la gloria, e le ricchezze: poiché non sai qual sia per essere la sua catastrofe » (Ecclesiastico o Siracide 9, 16).

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