La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

XXXI. GIORNO

Santo Ignazio Patriarca.

Come la vaghezza della gloria umana infievolisca la fede, e in quanto dispregio l’abbiano avuta i Santi.

 

« Quomodo vos potestis credere qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam, quae a solo Deo est, non quaritis? — Come mai potete aver fede voi, che accettate gloria l’un dall’altro, e non cercate quella che viene dal solo Dio? » (Vangelo di Giovanni 5, 44).

 

I.

Considera di quanto pregiudizio ti sia l’esser vago di gloria umana. Non solo t’impedisce, ma quasi t’impossibilita ad aver fede: Quomodo vos potestis credere, disse Cristo, qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam quae a solo Deo est, non quaeritis? La fede, perchè ella sia qual conviensi, dev’essere, e vera, e viva. Chi crede ciò che insegna la Chiesa, ancorchè non operi conforme a ciò che egli crede, ha tuttavia fede vera, perchè la falsa è tra gli Etnici, e tra gli Eretici: ma non ha però fede viva, perchè non opera: « Fides sine operibus mortua est. — La fede senza le opere è morta » (Lettera di Giacomo 2, 20). Chi opera, non sol l’ha vera, ma viva, perchè l’operar non è mai da cadavero. Ora la vaghezza di gloria umana t’inabilita sommamente all’ una, ed all’altra fede: « Initium superbiae hominis est apostatare a Deo. — La prima superbia dell’uomo è di apostatare da Dio » (Ecclesiastico o Siracide 10, 14). Quando questa vaghezza è eccessiva, non ti lascia avere nè anche la semplice fede vera, perchè la fede ricerca intelletto docile, che facilmente si lasci non solo, guadagnare, ma cattivare in ossequio d’essa; e l’ambizione, che tal è la vaghezza di gloria umana, lo fa superbo, ricalcitrante, ritroso, tanto che chi ancor tra Cattolici si potesse innoltrar di nascosto in petto a più d’uno di questi insani ambiziosi, ritroverebbe, che per verità non han fede di alcuna sorta: attesochè, se non discredono certi articoli più molesti, come sono quei della immortalità dell’anima, ed altri tali, almeno ne dubitano. E se ne dubitano, non han più fede alcuna, mentre a non averla è bastevole il dubitar di ciò ch’ella insegna: non è necessario discrederlo espressamente. E quando questa vaghezza non sia sì grande, almeno t’inabilita molto alla fede viva: perchè ad operare, com’è debito di un Cristiano, a perdonare le ingiurie, a contenersi, a cedere, ad umiliarsi, è di mestieri vincere spesso di molti rispetti umani, sprezzar le approvazioni, sprezzar gli applausi; anzi sottoporsi a gravissime dicerie. E come può ciò fare chi nel suo cuore non ha abbattuto totalmente quest’idolo della gloria, ma se pur non lo adora, almeno lo apprezza? « Veruntamen et ex Principibus multi crediderunt in eum, sed propter Pharisaeos non confitebantur. —Nondimeno molti anche de’ Grandi credettero in lui (dice S. Giovanni), ma per paura de’ Farisei nol confessavano » (Vangelo di Giovanni 12, 42). E qual ne fu la cagione? « Dilexerunt enim gloriam hominum magis, quam gloriam Dei. — Poiché amaron più la gloria degli uomini, che la gloria di Dio » (Vangelo di Giovanni 12, 43). Vedi però quanto importi, non solo abbatter quest’idolo dell’ambizione, ma spezzarlo, ma stritolarlo, sicchè in te non ne resti neppur memoria : « Mihi quidem pro minimo est, ut vobis judicer. — A me pochissimo importa d’esser giudicato da voi » (Prima lettera ai Corinzi 4, 3): non « pro pauco poco », no, ma « pro minimo  pochissimo ». L’arca, in cui sta la Legge, ch’è simbolo d’una fede, non solo vera, ma viva, non si può trovar mai d’accordo con un tal idolo : o lo atterra, o si parte da lui scacciata.

II.

Considera quanta sia la sciocchezza di quei meschini, i quali amano quella gloria, che vien dagli uomini, mentre questa impedisce, almeno in gran parte, l’ottener quella gloria che vien da Dio. E pur di queste due qual è la stimabile? quella che vien dagli uomini? no di certo; ma quella che vien da Dio. Perciocchè questa è fondata nel merito, e così è soda; quella nell’opinione, e così non solo non è soda, ma frivola. L’opinione, che si abbiano di te gli uomini, ha tre difetti, che totalmente la rendono dispregievole. Il primo è, ch’ella di te non può comunemente formare la stima giusta, e se può non vuole : « Chanaam, in manu ejus statera dolosa; calumniam dilexit. —Nelle mani di Canaan v’è una fraudolenta bilancia; egli amò la calunnia » (Osea 12, 7). Il secondo, ch’è incertissima a conseguirsi, ond’è che spesso, « repletus es ignominia pro gloria — Sei ricolmo d’ignominia invece di gloria »; ed il terzo, ch’è instabilissima, dappoi che si è conseguita; che però siegue: « Et vomitus ignominiae super gloriam tuam. —E il vomito dell’ignominia verrà sopra la tua gloria » (Abacuc 2, 16). Quindi è qui notabile udir come parla Cristo. Dice, che dagli uomini non sol non hai da procacciarti la lode, ma nemmeno hai da accettarla quando essi te la offeriscano : e dice, che da Dio non solo hai da accettarla volentierissimo, ma che ancora hai da procacciartela: Quomodo vos potestis credere, qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam quae a solo Deo est, non quaeritis? Quando parlò della lode, che vien dagli uomini, disse « accipitis — accettate », perchè l’istesso ammetterla è di grave danno. Quando parlò di quella che vien da Dio, disse : « non quaeritis —non cercate », perchè è di grave danno l’istesso non procurarsela. E pur piaccia al Cielo, che il più delle volte tu non faccia il contrario, che non procuri quella che vien dagli uomini, e che neppur curi quella che vien da Dio, ch’è il testimonio della buona coscienza : Gloria nostra hac est; testirnonium bonae conscientiae (Seconda lettera ai Corinzi 1, 12).

III.

Considera, che molti ci sono, i quali si curano d’essere lodati da Dio, e ancor lo procurano, Accipiunt, et quaerunt; ma con brama che nel tempo stesso gli lodino ancora gli uomini. Ciò a Dio non piace, e però disse Cristo : « Et gloriam quae a solo Deo est, non quaeritis — E non cercate quella gloria che viene dal solo Dio ». Non disse « a Deo — da Dio », ma « a solo Deo — dal solo Dio » ; perchè in questo finalmente consiste la virtù vera : in contentarsi di piacere a Dio solo : « Gloriemur in laude tua. — Ci gloriamo della tua lode » (Salmo 106, 47). Come il piacere a Dio non porta seco il dover dispiacere agli uomini, molti sono, che lo curano, e lo procurano : ma quando portalo, oh ! allora sì, che neppur sanno come fare a curarlo. Chi può dir però, quanto vilipendi la gloria che vien da Dio, se tu sei pure nel numero di costoro, che non son paghi di piacere a Dio, se non piacciono ancor agli uomini? Quando il General dell’esercito ti comanda alla presenza di tutte le squadre armate qual inclito suo guerriero, importa forse a te molto ciò che nel tempo medesimo di te dica quella vil ciurma che sta sedendo al bagaglio? Oh se intendessi ciò che vuol dire aver gloria dinanzi a Did! « Super hoc laudabit te populus fortis. — Per questo darà lode a te il popol forte » (Isaia 25, 3). Non ti può lodar esso, che non ti lodino a un tempo innumerabilissime squadre di Angeli, che sono più di tutti gli atomi dell’aria, e di tutte le arene dell’acque: che non ti lodino tutti gli Apostoli, tutti i Patriarchi, tutti i Profeti, tutti i Martiri, tutti i Santi, tutte le Sante: che non ti lodino tutti in una parola quei che del continuo rimirano la sua faccia, che sono tanti: « Populus fortis — Popolo forte », nè solo forte, ma sensato, ma saggio, ma nobilissimo, sicchè è popolo sì bene, ma sol di numero, nel rimanente egli è un Popolo di Monarchi. E tu frattanto fai caso di ciò che dica in tuo discredito un circolo di facchini? E che altro appunto che facchini vilissimi son gli uomini della Terra dinanzi a Dio? Anzi neppur sono da tanto: « Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram eo. — Tutte le genti sono dinanzi a lui come se non fossero » (Isaia 40, 17). Non v’è però altra diversità, se non che la stima degli uomini ti è palese, e però ti muove; quella di Dio ti è occulta, e però non basta a rapirti. Ma come, se l’occulta è più certa, che la palese? L’occulta è certa per fede, e la palese è certa per apparenza. Adunque avvezzati a non prezzare altra gloria se non che quella che si conosce a un tal lume, a lume di fede: perciocchè quella è la vera: « Ut placeam coram Deo in lumine viventium — Che io piaccia dinanzi a Dio al lume de’ vivi », non « coram hominibus in lumine mortuorum — dinanzi agli uomini al lume de’ morti ». E tale è quella che ti vien da Dio solo. Vedi quanta sia quella lode, la quale insieme ti dà tutto il Paradiso? Populus fortis. Questa lode medesima non sarebbe in sè degna di stima alcuna, se non fosse una lode tale, che non fa altro, se non che formar eco a quella che vien da Dio : tanto è infallibile, che quella solamente è la vera gloria, « quae a solo Deo est —che viene dal solo Dio ».

IV.

Considera, che tu hai da prezzar tanto la stima ch’ha Dio di te, che a par di quella non hai nè anche da prezzare egualmente l’istessa Beatitudine; perchè la Beatitudine ti presuppone stimabile; la stima ch’ha Dio di te, ti costituisce. Però osserva come qui favella il Signore: « Et gloriam quae a solo Deo est, non quaeritis — E non cercate la gloria che viene dal solo Dio ». Nè anche vuol dire « apud Deum — che è appresso Dio », ma dice « a Deo — che viene da Dio »; perchè intendasi di qual gloria egli parli. Molti procurano di salvarsi, e così molti procurano quella gloria, « quae apud Deum est — che è appresso Dio » : ma pochi curansi di piacere a Dio solo, senza interesse nè anche d’una tal gloria, e però pochi procurano quella gloria, « quae a solo Deo est — che viene dal solo Dio ». E pure a questo medesimo par che Cristo c’inviti nel dire « a Deo — da Dio », perchè questo, in tutto rigore di perfezione, par che sia volere non altro che quella gloria la qual vien da Dio solo, voler piacergli sì bene, ma non per altro, che per questo fine medesimo di piacergli : Ut ei placeat qui se probavit (Seconda lettera a Timoteo 2, 4). So che il cercar quella gloria, « quae apud Deum est — che è appresso Dio », non pregiudica punto nè anche alla fede viva, piuttosto aiutala, perchè anima ad operare; ma pregiudica alla fede almeno vivissima, perchè pregiudica all’operare non per altro, che per puro motivo di carità: « Charitas non quaerit quae sua sunt. — La carità non cerca quel ch’è suo » (Prima lettera ai Corinzi 13, 5). Chi vuole a Dio piacer molto, convien che affatto spoglisi d’ogni affetto di se medesimo : Nemo quod suum est, quwrat: sicchè cerchi piacergli, ma nemmen cerchi ciò per vantaggio proprio; lo cerchi solo per eseguire ciò ch’egli ne ha comandato, ch’è, che cerchiam di piacergli. Questo sì ch’è voler piacer a Dio solo : procurar quella gloria che ha Dio, e nel medesimo tempo non curar quella gloria che rende Dio nella Reggia del Paradiso : « Recti diligunt te — I giusti amano te » (Cantico dei Cantici 1, 3), non « diligunt tua — non : amano le cose tue ». Questo è quasi un volere contrastare di amore con Dio del pari : « Dilectus meus mihi, et ego illi. — A me il mio diletto, ed io a lui » (Cantico dei Cantici 2, 16), perchè è un voler amar lui, com’ egli ama noi, per unico nostro pro. Egli ama, ma senza interesse, e così egli è tutto « mihi — per me », non « sibi — per sè ». E senza interesse io voglio ancora amar lui, con essere tutto « illi — per lui », non « mihi — per me ». Dilectus meus mihi, et ego illi. Se non che pare che in conflitto sì bello di carità, noi rimanghiamo, per dir così, superiori, come già rimase Giacob : perciocchè Dio, senza i beni nostri, è beato in se medesimo : ma noi, che siam senza i suoi?

V.

Considera come tutto questo a maraviglia adempì quel gran Patriarca Ignazio, che a guisa appunto di novello Giacob, uscito di casa sua con un sol bastoncello in mano, mirò a suoi dì darsi da Dio così nobile figliuolanza: « Dilataberis ad occidentem, et orientem, et septentrionem, et meridiem. — Ti dilaterai a occidente, e ad oriente, e a settentrione, e a mezzogiorno » (Genesi 28, 14). Cercò, non ha dubbio, di sposar egli in sè solo quelle due vite, che sono sì laudevoli, Lia, e Rachele, Attiva, e Contemplativa. Contuttociò, se in nulla pare che stabilisse il fondamento della , sua santità, non fu in questo; fu nel disprezzar totalmente la gloria, che vien dagli uomini: « In caetu eorum non sit gloria mea. — Nella loro adunanza non sia la mia gloria » (Genesi 49, 6). Queste furono le parole di Giacob moribondo, e queste furono le parole d’Ignazio, già morto a sè, per vivere a Dio. E però appunto riuscì poscia istrumento tanto ammirabile a procurar la gloria Divina, perchè dispregiò l’umana, ma interamente. Da un tal disprezzo procedè prima in lui quella fede altissima, di cui ritrovossi arricchito : fede sì forte nell’intelletto, e però sì vera, ch’era solito dire, che se tutto il Mondo avesse rivoltate ribelle le spalle a Cristo, sarìa rimasto a lui fedele egli solo, per ciò che avea di lui conosciuto in Manresa, quando nel modo suo potè dir come Giacob: « Vidi Deum facie ad faciem, et salva facta est anima mea. — Ho veduto Dio da faccia a faccia, e fu salvata l’anima mia » (Genesi 32, 30), anima la qual prima andava perduta: e fede sì fervente nella volontà, e però sì viva, che avrebbe egli voluto operar per tutti in onor di Dio, ed operar per tutto, nelle piazze, nelle Chiese, nelle carceri, nelle scuole, negli spedali, nelle campagne, con agitazione indefessa, al caldo, ed al gelo : « Die noctuque aestu urebar, et gelu, fugiebatque somnus ab oculis meis. — Dì e notte era arso dal caldo e dal gelo, e fuggiva il sonno dagli occhi miei » (Genesi 31, 40). Nè solo in ciò non cercò la gloria dagli uomini, ma nemmeno mai la curò, non accepit: anzi piuttosto la sfuggì ad ogni studio, siccome fece tra l’altre, quando scansò nel ritornare alla patria ogni onorevole incontro, quasi che a lui fosse sospetto, più che a Giacobbe medesimo non fu il suo. Quindi fu solito bene spesso di dire, che in fin si sarebbe eletto di essere da ciascun stimato pazzo, se gli fosse stato possibile di ottenere un sì universale discredito senza colpa. Di poi talmente cercò la gloria di Dio, che la cercò sola : eleggendo insino un tenore di santità, che all’apparenza aveva meno del singolare, dell’austero, dell’aspro, e così parimente dell’ammirabile, sol perchè giudicò dover questo riuscire a Dio di maggior servigio nell’aiuto dell’anime a lui sì care. E non si saziando di ripetere a lui continuamente quelle parole bellissime di Giacob, molto più degne di essere dette a Dio con cordiale sfogo, che a un Esaù per timorosa lusinga : « Hoc uno tantum indigeo, ut inveniam gratiam in conspectu tuo, Domine mi. — Di questo solo abbisogno, di trovar grazia, o Signor mio, nel tuo cospetto » (Genesi 33, 15). Che non avrebbe a lui rinunziato di grande per dargli gloria? Gli avrebbe rinunziata la stessa Beatitudine celestiale. Il che altro non fu che cercar quella gloria, « quae a solo Deo est — che viene dal solo Dio », anzi « quae solius Dei est — che è del solo Dio », non quella, « quae apud Deum — che è appresso Dio » (Genesi 31, 23). Tanto riuscì con Dio bravo lottatore in questo esimio conflitto di carità! Che se fu « fortis — forte » anch’egli in ciò « contra Deum — contro Dio »; qual maraviglia poi fu, che « magis — più » anch’egli « contra homines praevaluerit —prevalesse contro gli uomini », tirandone tanti a Dio? Tu piglia questo Santo Patriarca per Avvocato a sprezzare la gloria umana; nè creder ch’io te lo porga, come parziale, per quell’affetto, ch’ogni figliuolo anche minimo porta al padre; mentre Cristo medesimo volendo dare alla diletta sua Maddalena dei Pazzi un Santo dal Cielo, che le dettasse lezioni sublimissime di umiltà; fra tutti gli altri le spedì Santo Ignazio : in cui per ultimo spiccò a stupore quel sentimento vilissimo, che di sè Giacob dimostrò, quando disse a Dio : « Minor sum cunctis miserationibus tuis, et voluntate tua, quam explevisti servo tuo. — Io sono indegno di tutte le tue misericordie, e de’ tuoi voleri, che hai adempiti nel tuo servo » (Genesi 32, 10); anzi ne spiccò forse ancora un più basso assai, mentre già vicino a spirare l’estremo fiato, questa fu parimente 1′ estrema grazia, che dimandasse ai suoi diletti Figliuoli, nell’atto di benedirli: non che lo seppellissero, come chiese Giacobbe, « in spelunca duplici — nella doppia spelonca », col doppio onore, che si concede ai cadaveri illustri, di avello, e di arca; ma che il gittassero a guisa di cane morto in un letamaio.

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