La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

AGOSTO

 

XXXI. GIORNO

Quanto sia odiosa la tiepidezza.

« Scio opera tua, quia neque frigidus es, neque calidus. Utinam frigidus esses, aut calidus: sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo.— Mi sono note le opere tue, come non sei nè freddo, nè caldo. Fossi tu o freddo, o caldo; ma perchè sei tiepido, e nè freddo, nè caldo, comincierò a vomitarti dalla mia bocca » (Apocalisse di Giovanni 3, 15, 16).

 

I.

Considera come questa tiepidità, tanto odiosa a Dio, è senza dubbio quella che si usa nel suo Divino servizio. E posto ciò si fa chiaro chi sieno i tiepidi, de’ quali si ragiona secondo la più legittima intelligenza, chi sieno i caldi, chi sieno i freddi. Freddi al servizio Divino sono qui coloro, che non avendo ricevuto mai lume a conoscere i beni nascosti in esso, nemmen si sono sentiti mai punto accendere ad abbracciarlo. Caldi, quei che abbracciatolo, vi attendono, com’è giusto, con gran fervore. Tiepidi, quei che vi attendono sì, ma rimessamente. Convien però qui sottilmente osservare (se si vuol punto arrivare all’intendimento di questo passo, non così facile) che due ragioni vi sono di tiepidezza. L’una è nel passare che fan le cose dal freddo al caldo: l’altra è nel tornare dal caldo al freddo. Ora pare assai indubitato, che il Signore qui non favelli di quei che toltisi dalla loro freddezza, sono, è vero, ancor tiepidi nel servirlo, ma ciò perchè sono ancor in via di passare dal freddo al caldo. Questi benchè tali, si avvanzano a stato buono: e però non possono essere a Dio noiosi. Parla di quei, che decadendo dal primiero fervore, sono in via di tornare dal caldo al freddo. Oh questi sì, che a Dio sono, non pur di noia, ma ancor di abbominazione, mercè la stolta risoluzion ch’essi fanno. Tu di guai sei? Se di quei, che sen vanno dal freddo al caldo, fatti pur animo a compir presto un passaggio, ch’è sì lodevole: « Confortare, et perfice. — Fatti cuore, e compisci l’opera » (Primo libro delle Cronache 28, 10). Ma se di quei che sen vanno dal caldo al freddo: misero te; temi e trema, perchè tu sei nel funestissimo numero di quei tiepidi, a detestazione de’ quali qui Dio gridò: «Utinam frigidus esses, aut calidus —Fossi tu o caldo, o freddo », tanto egli abborre il tuo stato.

II.

Considera, che questo « Utinam —Fossi tu » pare assai malagevole da capirsi. Perciocchè, se tanto qui vuol dire esser freddo, quanto non aver conosciuto il Divin servizio, e non averlo abbracciato, com’esser può che l’esser freddo sia cosa più cara a Dio, di quel che sia l’esser tiepido, ch’è quanto dire, averlo da principio abbracciato con gran fervore, e poi trascurarlo? Ma non si dice che l’esser freddo sia cosa più cara a Dio, di quel che sia l’ esser tiepido. Si dice solo ch’è cosa meno molesta. E così haí tu da saper, che col dire « Utinam — Fossi tu », non esprime il Signore qui desiderio di un bene positivo, ma negativo, cioè dire in buon linguaggio, di un minor male, qual era il desiderio altresì di quei che già dissero : « Utinam in servos, et famulas venderemur. — Fossimo noi almeno venduti per ischiavi, ed ischiave » (Ester 7, 4). « Utinam consumptus essem, ne oculus me videret. —Fossi io stato consunto prima che occhio umano mi avesse veduto » (Giobbe 10, 18). E minor male è il non aver conosciuto il Divin servizio, e il non averlo abbracciato, che non è l’averlo abbracciato con gran fervore, e poi trascurarlo. Dissi, ch’è minor male, perchè se non è minor male per se medesimo, è minor male a cagion delle conseguenze che porta seco. Conciossiachè, che ti pensi? Che la tiepidità sia stato di consistenza? T’inganni molto. E’ uno stato, in cui nessun, benchè voglia, può mai fermarsi; ma convien che sempre deteriori, e declini finchè perisca. Quel vaso d’acqua che si discosta dal fuoco, non solo non è più abile a ritener quel fervor sommo ch’egli avea conceputo vicino ad esso, ma neppur quel mediocre, a cui dipoi sia calato nel discostarsene ; forza è, che a poco a poco raffreddisi totalmente. E così pur avviene nel caso nostro dell’uomo tiepido. Egli si è scostato dal fuoco : ha cominciato ad abbandonar l’orazione, non ha più diletto de’ libri spirituali, non si mortifica, non si modera, è tutto dato a ricreazioni superflue, se non cattive. Che si cred’egli però? Di poter mantenersi in un tale stato assai lungamente? Oh quanto s’inganna! Ha da trascorrere ognora di male in peggio. E sino a qual segno? Sinchè egli arrivi alla freddezza totale. E però Dio, che vede in lui così brutta disposizione, l’ abborre tanto nella sua tiepidezza, che giunge a dire con una esclamazione, che sembra a primo aspetto sì stravagante: Utinam frigidus esses, aut calidus! Ma chi sa che tu appunto non sii quel misero, di cui si è qui ragionato?

III.

Considera, che tuttavia non pare a te di restare ancor soddisfatto. Perché se la tiepidezza è un mal così grande per questo capo, perchè a poco a poco ella portati alla freddezza; conviene adunque che la freddezza sia male molto maggiore della tiepidezza. E s’è maggior, come può dunque stare che Dio ti brami piuttosto freddo che tiepido? Ma non hai già notata la distinzione, ch’io ti accennai da principio, come necessarissima a presupporsi per intelligenza del luogo che qui si medita? Diversa è quella freddezza, che precede al fervore sì convenevole nel servizio Divino, diversa è quella che il seguita. La prima presso Dio riesce scusabile; perciocchè nasce, come pur anzi dicemmo, da mancamento di debita cognizione: ma non così la seconda. La seconda suppone tal cognizione, e però non merita scusa. Quando qui dunque giunse a dire il Signore: « Utinam frigidus esses, aut calidus — Fossi tu o freddo, o caldo » : di qual freddezza egli intese di favellare? Di quella forse ch’è conseguente al calore? No certamente : perchè questa è quel sommo male, a cui finalmente porta la tiepidezza di chi rallentasi nel ben che un tempo egli ha fatto; e così di certo è peggior della tiepidezza. Intese di favellare di quella ch’è antecedente. E però se badi, non disse: « Utinam calidus esses, aut frigidus —Fossi tu caldo, o freddo »; ma « Utinam frigidus esses, aut calidus — Fossi tu freddo, o caldo »; e quante volte qui replicò tali voci, altrettante ritenne l’ordine stesso : nominò prima il freddo, e dipoi il caldo, affinché conoscasi di qual freddezza ragioni: di quella, ch’ha, non chi sia ritornato dal caldo al freddo, ma chi non sia ancora passato dal freddo al caldo. Né ti dee ciò recar punto di maraviglia. Ad uno che si ritrova in un tale stato di non aver finora abbracciato il bene, perchè non l’ha conosciuto (ch’è la freddezza chiamata qui da noi antecedente) non è gran fatto che il Signore usi pietà con trarlo fin talora ad un fervor sommo di spirito, perchè ben vede, che il misero, se peccò, peccò solo per ignoranza: ch’è la ragione per cui l’Apostolo lasciò scritto di sè, che ancor egli avea conseguita misericordia de’ suoi furori: « Misericordiam Dei consecutus sum, quia ignorans feci in incredulitate. — Conseguii misericordia da Dio, perchè essendo incredulo lo feci per ignoranza » (Prima lettera a Timoteo 1, 13). Ma per l’opposto, a chi si ritrovi nell’altro, di avere abbracciato il bene, e poi abbandonatolo (ch’è la freddezza detta da noi conseguente), sotto qual titolo potrà usare il Signore un’egual pietà? Convien che lascilo nella voluta freddezza. E così leggiamo di molti, i quali di peccatori arrivarono a farsi Santi, e Santi grandissimi (perchè da contrario a contrario si dà passaggio), ma di pochissimi, i quali ritornassero a farsi Santi da pervertiti, perchè dalla privazione all’abito, come il Filosofo insegna, non v’è regresso, almen di legge ordinaria, ch’è quello appunto che il Salmista confermaci laddove dice, che l’uomo è uno spirito che va bensì, ma non torna: Spiritus vadens, et non rediens (Salmo 78, 39). Perchè va ben facilmente dal bene al male, ma non così dipoi torna dal male al bene. Ci vuole a tanto un manifesto miracolo della Grazia: « Impossibile est eos qui semel sunt illuminati, etc. et prolapsi sunt, iterum renovari ad poenitentiam. — E’ impossibile (cioè dire è difficilissimo) che coloro i quali sono stati una volta illuminati, ecc. e si sono poi pervertiti, si rinnovellino un’altra volta a penitenza » (Lettera agli Ebrei 6, 4). Eccoti dunque la ragion, per cui Dio ti bramerebbe piuttosto freddo, come eri innanzi alla conversione, che tiepido, come sei quando cominci già a pervertirti: perchè una tal tiepidezza ti porta a stato molto più deplorabile, che non fu la prima freddezza: « Utinam f rigidus esses aut calidus — Fossi tu freddo, o caldo ». Anzi eccoti la ragione per la qual egli parimente soggiunge: « Sed quia tepidus es, incipiam te evo mere ex ore meo — Ma perchè sei tiepido, comincierò a vomitarti dalla mia bocca ». Perchè se con la tua tiepidezza tu ti disponi ad uscir dal seno di Dio : qual maraviglia sarà, che Dio non aspetti che tu n’esca da te, ma che ornai ti vomiti, non potendo lui più resistere a tanta nausea?

IV.

Considera ciò che sia questo vomitamento sì doloroso, il quale Iddio ti minaccia. Forse è la tua dannazione? Non dico ciò: perchè Dio per la semplice tiepidezza nel suo servizio non può dannarti, come può ben dannarti per la freddezza, qualunque stasi, o posteriore, o anteriore. E la ragion è, perchè la freddezza suppone in sè colpa grave, e la tiepidezza non la suppone nulla più che ve, niale, ma volontaria. Il vomitamento dunque non è, a favellar giustamente, la dannazione: è la disposizione a tal dannazione. Perciocchè allora si dice che Dio ti vomiti, quando comincia a non aver più di te quella custodia amorevole ch’avea prima. Non ti accarezza più con delizie spirituali, ch’è il primo grado, come dicono alcuni, di questo vomitamento : ti lascia sopraffare da avversion grande alle cose di suo servizio, da tristezza, da tedio, da tentazioni, ch’è il secondo grado : ed all’estremo ti lascia ancora cadere in reprobo senso, ch’è il terzo grado, a cui finalmente succede la dannazione già irreparabile. Però tu scorgi che il Signore dice : « incipiam — comincierò ». Non ti vomita già tutto in una volta, perciocchè questo non è, che di uno stomaco assai sdegnato : ma ti vomita a poco a poco. Se però egli ancora ha finito di vomitarti, ravvediti prontamente, che ancora hai tempo di rimaner nel suo seno, benchè commosso. Rinnova i proponimenti di ben servirlo, riformati, rinfervorati, perchè per questo medesimo dice, « incipiam — comincierò », per darti spazio a recargli conforti tali, che già non ti abbia più a sdegno.

V.

Considera per qual ragione il Signore non è contento di dire : « Sed quia tepidus es, incipiam te evomere ex ore meo — Ma perchè sei tiepido, comincierò a vomitarti dalla mia bocca», ma dopo aver detto tepidus, di più aggiugne : « Et nec frigidus, nec calidus — E nè freddo, nè caldo ». Non bastava dir « tepidus — tiepido » puramente? Bastava, qual dubbio v’ è? Contuttociò, come si trattava di punto sì rilevante, il Signore ha voluto piuttosto eccedere, che mancare, ne’ termini di chiarezza, e spiegarsi bene, sicchè qualcuno non intendesse falsamente per tiepido chi è poco freddo, o chi è poco caldo. Chi è poco freddo, anch’ è freddo. Chi è poco caldo, anch’è caldo. Colui è tiepido, il quale già più non è freddo, nè caldo : nec frigidus, nec calidus. Però, se tu fossi freddo, sicchè ignorando quei beni che porta seco il Divin servizio, non ti fossi finora applicato ad esso, il Signor non ti avrebbe ricevuto ancor nel suo seno qual caro amico, e così non ti avrebbe da vomitare. Se fossi caldo, ti riterria di buon grado. Ma perchè già non sei nè freddo nè caldo, per questo dice che incomincierà a vomitarti. Qui dunque è dove consiste la tiepidezza; in saper qual è il debito, che ti stringe a un Dio così buono per tante grazie ch’egli ti fe’ dacchè imprendesti a servirlo, e puoi trascurare un tal debito? Oh qual timore ha da recarti una trascuratezza sì sconveniente, se in te si annida! Non muove stomaco ancora a te il rimirare, che uno favorito da te con maniere esimie, accarezzato, abbracciato, già cominci a trattare di abbandonarti; quando il dovevi anzi credere tutto tuo? Ma questo è ciò che fai tu parimente rispetto a Dio, quando sei trascurato nel suo servizio. Già vai teco trattando di abbandonarlo, attesochè come ascoltasti di sopra, la tiepidità non è stato, in cui ti possi contener lungo tempo. Convien che passi quanto prima per essa dal caldo al freddo, e ad un freddo molto più contumace di quello, in cui ti trovavi prima che tu passassi dal freddo al caldo, sicché abbia a dirsi un giorno ancora di te, come fu detto della infedel Gerosolima : « Sicut frigidam fecit cisterna aquam suam, sic frigidam fecit malitiam suam. — Come la cisterna tiene fredde le sue acque, così ella serba fresca la sua malizia » (Geremia 6, 7). La cisterna dà all’acqua un freddo di gran lunga più crudo di quello, che in lei trovò: non però glielo dà tutto in una volta, ma a poco a poco. Così fa quell’anima, la quale a guisa di un’infedel Gerosolima ha finalmente distolto il suo cuor da Dio.

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