La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

MARZO

XXX. GIORNO

Sopra l’interesse

 

« Radix omnium malorum est cupiditas, quam quidam appetentes erraverunt a fide, et inseruerunt se doloribus multis. Radice di tutti i mali è la cupidità di danaro, appetendo il quale, alcuni hanno errato dalla fede, e si sono immersi in molti dolori » (Prima lettera a Timoteo 6, 10).

 I.

Considera, che in diverso modo è principio de’ frutti il tronco, in diverso n’è la radice. Quanti frutti dà la radice, tanti dà ‘l tronco. Ma la radice ha poi questo di vantaggioso, che gli alimenta. Or ecco la differenza, che passa tra la superbia, e tra l’interesse, ch’è quello solo, di cui qui parla l’Apostolo, chiamandolo cupidigia, o come ancora più chiaramente apparisce dal testo suo originale, philargyria, che vuol dire cupidità di danaro : amor pecunia?. La superbia genera ancor ella ampiamente tutti quei mali, che genera l’interesse, ma l’interesse di più ancora li nutre. E così dove la superbia è semplicemente chiamata « Initium omnis peccati. — Principio di tutti i peccati » (Ecclesiastico o Siracide 10, 15); l’interesse è chiamato « Radix — Radice ». Se la gente non attendesse con avidità tanto grande ad avanzare, ad accumulare, credi tu che mai la superbia potrebbe tanto? Mira un superbo, ma povero : non può a gran lunga sostentare assai tempo tutto quel male, a cui giunge un superbo ricco, anzi neppur può effettuarlo. E però sembra, che la superbia, considerata per se medesima, sia piuttosto principio di tutti i mali nell’ordine d’intenzione, perchè la prima cosa, che l’uomo voglia, è la sua eccellenza; e che così piuttosto sia ancora tronco : « Initium oinnis peccati superbia est — Principio di tutti i peccati ell’è la superbia » ; e che l’interesse sia piuttosto principio di tutti i mali nell’ordine di esecuzione, perchè questo è il primo a somministrare all’uomo le forme di procacciarsi la eccellenza bramata, con quel danaro, che vale in luogo di tutto; e che così piuttosto ancor sia radice : « Radix omnium inalorum est cupiditas — Radice di tutti i mali è la cupidità di danaro ». Non si dice poi, che l’interesse sia radice di tutti i mali, perchè egli partoriscali tutti in tutti, ma perchè egli li può partorire, e sempre ancora li partorisce attualmente in gran copia; ch’è ancor quel senso, nel qual si afferma, che la superbia di tutti i mali è un pedale sì rigoglioso. Non sempre un albero dà tutti ín una volta quei frutti, ch’egli può dare. Ma ciò che prova? Non fai tu subito spiantar via dal tuo orto quello, che non ne dà mai veruno, se non pestifero? Non mirar dunque, che l’interesse non abbia ancora prodotti in te tutti que’ pessimi effetti, che son suoi propri : li produrrà quanto prima. Non odi dall’Apostolo dirti, ch’egli è radice?

II.

Considera come, per dir compendiosamente, che l’interesse non solo può partorire, ma di fatti anche ha partorito qualunque effetto, per pessimo, che egli .sia, dice l’Apostolo, ch’egli ha fin partorita l’infedeltà: « Radix omnium malorum est cupiditas (o vogliam dire amor pecunia’), quam quidam appetentes erraverunt a fide — Radice di tutti i mali è la cupidigia di danaro, appetendo il quale alcuni hanno errato dalla fede » ; dove per chiarezza maggiore hai tu da osservare, che il relativo « quam — la quale » non cade sulla cupidità, ma sulla pecunia, la quale nel testo latino non viene espressa, ma sottintesa. Questa è quella, ch’è sospirata. Poteva dir pertanto l’Apostolo, che l’interesse genera durezza di cuore verso de’ poveri, genera violenze, genera fallacie, genera frodi, genera tradimenti : ma si è contentato di dir, che arriva a produrre l’infedeltà: ma guarda come : fin nell’istesso intelletto. Molti sono stati, che per timor de’ tormenti hanno rinnegato la fede: ma il male loro non fu nell’intelletto venutosi a impervertire, fu nella volontà venuta ad ismarrire, venuta ad infievolirsi, come fu appunto in S. Pietro. Ma l’interesse può molto più di qualsisia gran timore; perchè fa, che il male non solo sia nella volontà, ma sia ancora nell’intelletto. E però non disse l’Apostolo, «Quam quidam appetentes negaverunt fidem — Appetendd il quale negarono la fede », ma « erraverunt a fide  hanno errato dalla fede». E la ragione si è, perchè la fede Cristiana è troppo contraria a tutta la volontà degli interessati. E però essi non potendo resistere agli aspri rimorsi della coscienza, a poco a poco vanno ingannando se stessi, con volersi dare ad intendere, che tante cose della vita futura non sian sì certe, come alcuni le spacciano : « Venite et fruamur bonis, quae nunc sunt — Venite e godiamo de’ beni presenti ». Ma perchè fiducia sì grande? « non est qui agnitus sit reversus ab inferis — non v’ha chi sappiasi esser tornato dall’inferno » (Sapienza 2, 1). Nè solo ciò. Ma siccome essi in ogni modo pretendono sostenere i lor mali acquisti, perchè questo è il primo principio, quando non trovano più a favor loro dottrine sane, si volgono a procacciarsi dottrine larghe, insussistenti, infedeli, e così presto si affezionano al falso, di tal maniera, che non solamente lo abbracciano, ma lo adorano : « Commutaverunt veritatem Dei in mendacium, et coluerunt. — Cambiarono la verità di Dio per la menzogna, e le resero culto » (Lettera ai romani 1, 25). Or vedi un poco s’è però ragionevole, che tu ti lasci signoreggiar, come fai, da questo maledetto interesse. Ti pervertirà l’intelletto di tal maniera, che ti toglierà fin la fede. Mira a che giungono questi amatori insaziabili del danaro : ad idolatrare : «Argentum suum, et aurum suum fecerunt sibi idola, ut interirent. — Del loro argento, e dell’oro si formarono degli idoli per loro morte » (Osea 8, 4). Ma non ti credere, che sieno solo Idolatri. Sono Scismatici, sono Eretici, sono Ebrei, sono Turchi, sono tuttociò che tu vuoi, perchè l’interesse fa che si mettano in lega con quella fede, che stimano più confarsi di mano in mano alla loro presente ragion di stato. E così pare, che a dire il vero non abbiano fede certa, ma che piuttosto se ne vadano errando di fede in fede, come torna loro più conto : « Secundum multitudinem fructus sui multiplicaverunt altaria. — Secondo l’abbondanza de’ loro beni moltiplicaron gli altari » (Osea 10, 1). E questo è ciò, che con senso più maschio vuol dir l’Apostolo, quando dice, che « erraverunt a fide — errarono dalla fede ». Vuol dire che « erraverunt a fide in fidem — errarono di fede in fede », che però giustamente sono Atei.

III.

Considera, come non dice l’Apostolo, che « habentes pecuniam erraverunt a fide — coloro che hanno pecunia errarono dalla fede », ma « appetentes — coloro che l’appetiscono ». Perchè uno, che l’abbia, e non l’appetisca, non giungerà a tanto male; ma uno, che l’appetisca, vi giungerà (quando egli ancora non l’abbia) per farla sua. Non è il mal dunque nell’avere il danaro, perchè da questo hanno ancora alcuni cavato profitto grande : è solo nell’appetirlo; « Nihil est iniquius quam amare pecuniam, disse l’Ecclesiastico; — Nulla v’ha di più iniquo che amar il danaro » (Ecclesiastico o Siracide 10, 10); disse amare, non disse habere. Contuttociò nota bene, che quelli che hanno cavato dal danaro profitto grande, non l’han cavato, sinchè hanno ritenuto il danaro, ma l’han cavato, quando l’han dispensato abbondantemente ne’ poveri, nelle Chiese, ne’ Chiostri, ch’è quanto a dire, quando hanno già cominciato a non l’aver più. Anzi sai tu chi sian quelli, che n’han cavato profitto, non solo grande, ma ancor grandissimo? Chi calpestandolo l’ha lasciato tutto per Dio. Sicchè tu vedi in qualunque modo procedasi, finchè il danaro è presso di te, non val niente; ti può far più male, che bene, perchè può da te, se non altro, ottener che l’ami. Allora solo ti farà bene grande, quando tu per Dio te ne venga a privare in parte, come fanno i limosinieri, i liberali, i santamente magnifici : allora ti farà ben grandissimo, quando tu per Dio te ne venga a privare in tutto, come fanno i ricchi, che si consagrano a Dio nella Religione. Che però vedi chiaro, che il sommo onore di assessore di Cristo, non è permesso nel Giudizio a quei ricchi, che per lui vadano di tempo in tempo distribuendo gran parte del loro avere in opere sante : ma a chi per lui lasci tutto : « Deus potentes non abficit, cum ipse sit potens ; sed non salvat impios, et judicium pauperibus tribuit. — Dio non rigetta i potenti, essendo pur egli il Potente; ma non salva gli empi, e ammette i poveri a giudicare » (Giobbe 36, 5).

IV.

Considera, che quando anche cessi quel male, che l’interesse a molti suoi seguaci cagiona nell’intelletto, con tor la fede; ve ne sono altri oltre numero, che tutto dì reca lor nella volontà. E però dice l’Apostolo che questi Uomini infelicissimi « inseruerunt se doloribus multis — s’immersero in molti dolori ». « Dolor — Dolore » nelle sacre carte ha doppio significato. Alle volte significa il mal di colpa : « Dimitte me, ut plangam paululum dolorem meum. — Lascia ch’io pianga arcun poco il mio dolore » (Giobbe 10, 20), mercè che i Santi non ritrovavano al Mondo dolor maggiore del lor fallo. Altre volte significa il mal di pena : « Haec mihi sit consolatio, ut affligens me dolore non parcat. — Questa sia consolazione per me, che egli in affligermi co’ dolori non mi risparmii » (Giobbe 6, 10). Però in qualunque senso tu vuoi, sempre fu verissimo, che questi miserabili interessati « inseruerunt se doloribus multis — s’immersero in molti dolori ». Perchè quanto a’ peccati, tu ‘vedi, che non vi cadono solamente, ma inserunt se, vi s’inviluppano, vi s’intricano sì, che non ne sanno più uscire, ma vogliono piuttosto morir dannati, che adempir le dovute restituzioni con fedeltà. E questa è la ragione, per cui si dice, che « qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem, et in laqueum Diaboli. — Quelli che vogliono arricchire, incappano nella tentazione, e nel laccio del diavolo » (Prima lettera a Timoteo 6, 9). Il danaro a chi non l’ha serve prima di tentazione ad acquistarlo malvagiamente; a chi poi l’ha malvagiamente acquistato, serve ancora di laccio, perchè con esso il Demonio lo lega in modo, che non lo perde mai più: « Qui aurum diligit, non justificabitur. — Chi è amante d’ oro non sarà giustificato » (Ecclesiastico o Siracide 31, 5). E quanto alle pene, chi può mai dubitar, che questi infelici « non instrant semper se doloribus multis — non s’immergano sempre in molti dolori »? Oh che folte spine son quelle, tra cui si vanno ad involgere sino agli occhi! Spine sono i travagli, che durano in adunare il loro danaro. Spine sono i tormenti, che patiscono nel privarsene. Però giustissimamente puoi dir di loro, che seminant dolores, et metunt eos. — Seminan dolori, e dolori raccolgono » (Giobbe 4, 8). Perchè « seminant dolores — seminan dolori » in quanto questi dicono il male di colpa, « et metunt eos — e raccolgono dolori » in quanto questi dicono il male di pena, in cui si convertono. E pure piacesse a Dio, che i dolori finissero in questa vita! Vi restano quei dell’altra, ne’ quali pur troppo « inserunt se — si immergono » parimente da se medesimi. Perchè se Cristo avesse detto : « Beati divites, quoniam ipsorum est regnum ccelorum — Beati i ricchi, perchè di questi è il regno de’ cieli », potrebbero giustamente di lui dolersi, non si salvando, perchè il salvarsi non sarebbe sempre in man loro : ma mentre chiaramente egli ha detto : « Beati pauperes — Beati i poveri », non possono lamentarsi se non di sè, che si potrebbero facilmente far poveri, e pur non vogliono. Ma tu frattanto che dici? Pare a te giusto dar luogo nel cuore a quell’interesse, che non produce altri frutti che di dolore?

V.

Considera, che se per disgrazia ve l’hai già dato, convien che adoperi ogni possibile sforzo affin di levarglielo. Dico sforzo, perchè qui non basta qualunque volgar fatica ; « Radix omnium malorum est cupiditas — Radice di tutti i mali è l’interesse ». Quando si ha da fare col senso, coll’invidia, coll’ira, o con altri simili affetti, si ha da far co’ rami dell’albero; e però convien certo sudar di molto a spezzarli, perchè sono rami di un albero, qual è quello della malizia, ma pur al fine si spezzano. Quando si ha da fare colla superbia, non può negarsi che convien sudare ad abbatterla, molto più, perchè si ha da fare col pedale dell’albero : ma finalmente, a’ colpi replicati di scure, convien che a suo dispetto questo anche cada. Ma, quando si ha fare coll’interesse, si ha da far colla radice dell’albero, e però, oh che braccia vi vogliono a sbarbicarla, oh che strappate, oh che scosse, oh che gran sudori! e piaccia a Dio che riescano a sufficienza. Vedi però, che non bisogna persuadersi di poter vincere questo affetto al danaro, se non a forza di molti atti contrari, di mezzo molta applicazione, di molta animosità, di molta orazione. Questo è l’affetto più veemente di tutti; nè ti stupire, perchè gli altri affetti tendono tutti a un bene determinato : il senso agli sfoghi della carne, l’invidia all’abbassamento dell’emolo, l’ira all’abbattimento dell’inimico. La superbia tende ad un bene molto più ampio, ch’è l’avanzamento di sè: contuttociò tende ancor essa a un ben solo. Ma l’interesse tende ad un bene, ch’è riputato contenere in sè tutti i beni, qual è il danaro: « Pecunix obediunt omnia. — Tutto ubbidisce al danaro » (Qoèlet 10, 19). Chi ha gran danaro si stima di poter giugnere con somma facilità all’avanzamento di sè, all’abbattiMento dell’inimico, all’abbassamento dell’emolo, agli sfogamenti di carne, anche più bramati : e così chi ama il danaro, stima di amare un bene, il quale almeno equivaglia a un bene infinito, e per conseguente anche l’ama infinitamente: « A varus non implebitur pecunia. — L’avaro non si sazierà mai di danaro » (Qoèlet 5, 9). Che se tu dici non conoscere in te questo brutto affetto, tanto fin qui detestato, sta ben attento, perchè io temo assai, che tu appunto non lo conosca. E non sai tu, che l’interesse è radice? Radix omnium malorum est cupiditas? Il senso, l’invidia, l’ira, son tutti rami, si conoscono presto; la superbia è tronco, si conosce assai più. Ma l’interesse è radice : e però qual maraviglia, se non si sappia fino a qual segno ell’arrivi? Sta sotto terra. Oh sotto quanti pretesti, di necessità, di convenienza, di carità, di maggior gloria Divina, viene questo maledetto interesse, nel cuore di più d’uno, a restar sepolto! Non vedi tu com’egli alligna ne’ Religiosi medesimi, che pur hanno lasciato il tutto? Vi sarà tal Predicatore, che fulmina dal suo Pergamo l’interesse, qual Idra di mille capi. E pur piaccia a Dio, ch’egli non si abbia procacciato quel Pergamo a suggestione pur dell’istesso interesse! Però bisogna, che tu con sottil esame entri a ricercar te medesimo, perchè l’interesse è profondo. Nel rimanente maggior amore può essere, che tu abbi a un tuo picciolo peculietto, di quello che altri abbia a una splendida eredità. Di che si nutre il Serpente, fuor che di polvere? E pur l’appetisce con quell’affetto, il quale tu porti al pane : « Et serpenti pulvis panis ejus.— La polvere è pane al serpente » (Isaia 65, 25). Bisogna dunque, che tu ti avvezzi a pigliar pruova di te in quelle picciole cose, che a te appartengono secondo lo stato tuo : a donar volentieri, a spropriarti volentieri, a spendere volentieri, a fare, quando puoi, volentieri delle limosine, ancorchè sieno picciole, a’ poverelli. E se vedrai, che veramente fai ciò più che volentieri, sarà buon segno. Ma se vi pruoverai nel tuo cuore difficoltà, non ti lusingare. Non saranno in te, per favor Divino, quei frutti così pestiferi che l’interesse produce, perchè egli ha poco pascolo da nutrirsi : ma credi tu, che non vi sia la radice?

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