La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

NOVEMBRE

 

III. GIORNO

Sopra il timor di Dio, ed in che questo consista.

« lnitium Sapientiae timor Domini. — Il principio della Sapienza è il timor di Dio » (Salmo 111, 10).

 

I.

Considera come il principio della Sapienza initium Sapientiae può aver due significati : può significare ciò ch’è principio di lei quanto alla sua essenza, e può significare ciò ch’è principio di lei quanto a’ suoi effetti. Nell’arte, a cagion d’esempio, di fabbricare, vi sono i principii d’essa quanto all’essenza; e questi sono quelle regole su cui tal arte essenzialmente si fonda; cioè quelle regole le quali noi intitoliamo di architettura. E vi sono i principii di essa quanto agli effetti; e questi sono que’ fondamenti, i quali pone tal arte, scavato il suolo, per shè da essi comincia ad alzar la fabbrica. Così accade nella Sapienza, ch’è l’arte massima, la quale si propone per fine d’incontrar sempre più in tutte le cose sì il gradimento, sì la gloria di Dio. Però sentendo qui dirti che il principio della Sapienza è il timor di Dio, Initium Sapientiae timor Domini, non hai da pigliare questo nome di principio nel primo significato, perché in tal significato i principii della Sapienza sono le regole della Fede, su cui governasi affine di non errare. L’hai da pigliar nel secondo, perchè il timor di Dio è il primo effetto che provenga dalla Sapienza, allora ch’ella comincia già a lavorare nel cuor del giusto. Conciossiachè per Sapienza non hai da credere che s’intenda qui quella, la quale è solamente ordinata a conoscer Dio, cioè la specolativa; s’intende quella ch’è di più ordinata a servirlo con perfezione, cioè la pratica. Quando per tanto questa Sapienza comincia ad operar, come tale, nel cuor del giusto, ecco quello che fa _prima d’ogni cosa : fa che il giusto tema quel Dio, che a poco a poco ella vuol fargli amare, ancora altamente, giacchè: « Timor Domini Initium dilectionis est. — Il timor di Dio è cominciamento del suo amore » (Ecclesiastico o Siracide  35, 16). E perchè sopra questo fondamento ella poi segue ad ergere la sua mole, però si dice « Initium Sapientiae timor Domini. — Il principio della Sapienza è il timor di Dio ». Vedi però tu, che vuol dire il timor di Dio? Vuol dire il fondamento di tutto l’edifizio spirituale. E posto ciò, che sarà di te, s’egli crolli mai come debole? Ecco l’edifizio in rovina : « Si non in timore Domini tenueris te instanter, cito subvertetur domus tua. — Se tu non istarai costantemente fisso nel timor del Signore, anderà presto la tua casa in rovina » (Ecclesiastico o Siracide 27, 4).

II.

Considera come per timor di Dio non s’intende quello qui ch’è detto servile : cioè quel timore il quale fa, che i Cristiani procedano come servi, e si astengano è vero di offender Dio, ma perchè sanno, che se l’offendono, non andranno impuniti. Questo timore in se medesimo è buono, perchè questo è quel timore di cui sta scritto, che disfaccia il peccato : Timor Domini expellit peccatum (Ecclesiastico o Siracide 1, 27). Ma non però questo è quello di cui qui tratta il Salmista, mentre egli dice : « Initium Sapientiae timor Domini — Il principio della Sapienza è il timor di Dio », perchè il Salmista tratta qui di principio intrinseco ; e il timor servile, siccome può stare in un col peccato innanzi che lo discacci; così rispetto all’opere procedenti dalla Divina Sapienza, è quasi un principio estrinseco, il qual le dispone ad esse quel cuore in cui hanno ad incominciarsi « nam qui sine timore est non poterit justificari — perciocchè chi non ha timore non potrà esser giustificato ») (Ecclesiastico o Siracide 1, 28) non è un principio intrinseco di esse già incominciato. Il timore di cui qui si favella, è il timor filiale, il quale è principio intrinseco di tali opere : Initium dilectionis: e fa che il giusto riconoscendo quanto sia Dio meritevole per se stesso di un sommo apprezzamento, e di un sommo amore, si sottoponga tutto a lui riverente qual figliuolo al Padre per timore di non offenderlo. Vuoi tu vedere, se la Divina Sapienza ha incominciato dentro di te veramente le sue belle opere, e non solo fuori di te? Guarda qual timore sia quello che ti predomina verso Dio. E’ di figliuolo, o di servo?

III.

Considera come questo timor medesimo il quale è di figliuolo, non suole da principio in tutti essere perfettissimo; perchè non subito lascia chi si converte di pensare alla pena annessa alla colpa : anzi pur troppo vi pensa, col suo proprio timor ch’è detto iniziale. Ma, secondo che la Sapienza va a poco a poco perfezionando nel cuore l’apprezzamento, e l’amor che a Dio deve aversi, va a poco a poco purificando parimente il timore che vi eccitò, sicchè quando è già perfetta la Carità, il timor iniziale diventa casto, cioè lontano dal pensar punto alla pena. Ed ecco qual timor sia quello di cui propriamente si parla laddove è scritto : « Perfecta charitas foras mittit timorem. — La carità perfetta manda fuora il timore » (Prima lettera di Giovanni 4, 18). Il timor della pena : non pur il servile, perchè già questo, quantunque in sè non cattivo, fu considerato star fuori come disposizion al lavoro : timor extra sumptus; ma ancor l’iniziale, ch’è del lavoro già parte: timor intra sumptus. Questo dico dalla Carità già perfetta è mandato fuora, foras mittitur. Perchè quanto uno più s’innamora di Dio, tanto meno egli pensa ai propri discapiti, o ai propri danni: pensa a Dio solo. Ti hai dunque da figurare che di un tal timor della pena, pur ora detto, la Sapienza si vaglia come una principessa si vale nel ricamare del fil di lino per semplice imbastimento. Cioè sen vale soltanto, quanto le basti a tener fermo quell’ormesino, o quell’ostro su cui vuole ella formare il riporto d’oro, ch’è il timore della colpa, ma non più oltre. E così lo adopera è vero quasi di sopra più, ma non ve lo lascia, perchè secondo che ella nel cuor del giusto già dato a Dio, va più perfezionando il lavoro, più ancor lo scaccia. Quel timor ch’ella lasciavi è il timor casto in cui consiste il ricamo, ed è quel timor sì beato, che resta sempre: Timor Domini Sanctus permanens in saeeculum saeculi; e tal è il timor della colpa, il quale tanto è da lungi che manchi mai, ch’anzi cresce sempre. Perchè quanto uno più avanzasi in amar Dio, tanto più diventa geloso di non far cosa, la quale possa a lui essere di disgusto, o di disonore. Tu sei di quegli, i quali non sono punto paurosi di non averlo ad offendere? E’ indizio manifestissimo che finora tu non sei giunto ad apprezzarlo, e ad amarlo con perfezione. Confida di non avere ad offenderlo, ma pur temi. Anzi temi anche di poterti a un tratto dannare, offeso che l’abbi, perchè così converrebbesi di ragione. Ma no ‘1 temere con timore di servo : temilo con timor di figliuolo, il quale nel discacciamento dalla sua casa paterna non sa altro più apprendere di funesto, o di formidabile, che l’andar lontano dal padre. Un tal sentimento di orrore nulla affatto pregiudica al timor casto : « Ego dixi in excessu mentis meae: Projectus sum a facie oculorum tuorum. — Nella costernazione dell’animo mio io dissi: sono stato rigettato dalla vista degli occhi tuoi » (Salmo 31, 23).

IV.

Considera, che mentre il timor di Dio riman sempre nel cuore del giusto, anzi cresce sempre; non si può dunque capir come sia chiamato il principio della Sapienza; initium Sapientiae timor Domini. Sembra che dovesse anzi dirsi, è il principio, è il progresso, è la perfezione, è tutto il suo più onorevole compimento : Corona Sapienti»’ timor Domini (Ecclesiastico o Siracide 1, 22). Onde par che più giustamente favellasse Giobbe ove disse, che tutto l’essere al fine della Sapienza è _il timor di Dio : Ecce timor Domini ipsa est Sapientia (Giobbe 28, 28), che non il Salmista ove disse che n’è il principio : Initium Sapientiae timor Domini. Ma non discorrerai più così, se capirai bene qual principio sia questo di cui qui trattasi. Egli è senza dubbio il principio di tutta la vita umana ben regolata; la quale siccome è tutta l’opera fatta dalla Sapienza nel cuor del giusto, così si può ancora dire che sia tutta la Sapienza : Dilectio Dei honorabilis Sapientia (Ecclesiastico o Siracide 1, 14). Ma non è principio qualunque. E’ principio in genere di radice. E la radice è quasi fondamento anch’essa dell’albero, ma fondamento vitale, il qual non solamente sostiene l’albero, ma lo alimenta, lo accresce, lo adorna, lo arricchisce, e gli dà quanto ha mai di buono : « Radix Sapientiae est timere Dominum. — Radice della Sapienza è il timor del Signore » (Ecclesiastico o Siracide 1, 25). E però siccome della radice si afferma con verità, ch’ella sia in virtù tutto l’albero, ancorchè sia propriamente il principio d’esso, così del timor di Dio pur si afferma ch’egli sia in verità tutta la Sapienza : Plenitudo Sapientie est timere Dominum (Ecclesiastico o Siracide 1, 20) : cioè tutta la vita umana ben regolata dalla Sapienza. Vedi per tanto quanti sieno que’ rami in cui si diffonde tutta la vita umana ben regolata, quante le frondi, quanti i fiori, quante le frutta. Tutti al fin si debbon al santo timor di Dio come loro propria radice. Se mancasse questo, ecco che quelli tutti a un tratto verrebbono a inaridire. Non è però che il giusto non faccia altre opere buone, oltre al temere Iddio, che son senza fine. Fa opere di giustizia, di umiltà, di ubbidienza, di misericordia, di purità, di prudenza, di pietà, di fortezza, ed altre infinite: « Qui timet Deum, faciet bona — Chi teme Dio, farà buone cose » (Ecclesiastico o Siracide 15, 1) : ma tutte hanno il loro principio dal santo timor di Dio. E qual principio? principio il qual va sempre unito con esse, somministrando ad una ad una il vigore a quante mai sieno : principio dissi in genere di radice: Radix Sapientiae est timere Dominum: e però l’altre virtù si chiamano rami d’esso, che mai non mancano, se non ove manchi ancor esso: « Et rami illius longxvi.  E i rami di lui sono di lunga vita » . Vedi per tanto che bella cosa si è mantenere il timor di Dio! « Beatus homo, cui donatum est habere timorem Dei. — Beato l’uomo a cui è stato dato il dono del timore di Dio » (Ecclesiastico o Siracide 25, 15). Non v’è al mondo chi lo pareggi. Vero è, che non basta per ! tal effetto l’averlo in sè solamente: bisogna tenerlo forte: « Qui tenet illum cui assimilabitur? — Chi n’ha il possesso, a qual cosa mai sarà paragonato? ». Perchè la radice tanto ella vale, quanto ella è ben barbicata.

V.

Considera come senza dubbio tu brameresti assaissimo di sapere, se in te si ritrovi questo santo timor di Dio, da cui procede ogni bene: Initium Sapientiae timor Domini. Ma non ti maravigliar se non puoi saperlo, almeno con evidenza. Egli è radice, e però qual maraviglia si è s’egli sta sotterra? Iddio ce ‘l tien occultato per nostro pro: « Radix Sapientia cui revelata est? — La radice della Sapienza a chi fu mai rivelata? » (Ecclesiastico o Siracide 1, 6) perchè in tal modo conservasi un tal timor più perfettamente, col perpetuo temere di non averlo: « Beatus homo qui semper est pavidus. — Beato l’uomo che è sempre timoroso » (Proverbio 28, 14). Però siccome quanto la radice è coperta più dalla terra, tanto anche ha più di vigore, così accade nel caso nostro. Vero è, che i frutti, i quali son propri di tal radice, se mai non cessano, fanno a lungo andare assai noto, che moralmente la radice sta viva: altrimenti da chi prendono l’alimento, o l’accrescimento? Se tu ti astieni dal male per rispetto umano, per avanzarti, per accreditarti, o per non ti pregiudicare, almeno, fra gli uomini; tu senza dubbio non puoi avere certezza alcuna di possedere il santo timor di Dio, come si conviene; perchè i tuoi germogli hanno altronde la loro radice: « Radix tua, et generatio tua de terra Chanaan — La tua radice, e la tua origine è dalla terra di Canaan » (Ezechiele 16, 3), ch’è la natura corrotta. Ma se puramente tu te n’astieni per non fare offesa al tuo Dio, non ti sbigottire, perchè quantunque tu non vegga in te quella radice, che vorresti vedervi evidentemente, ella vi dev’essere, tanto migliore, quanto sta più sepolta.

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