La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

APRILE

XXVIII. GIORNO

Che l’empio non può goder beni veri.

 

« Vidi impium superexaltatum, et elevatum sicut Cedros Libani: et transivi, et ecce non erat: et quaesivi eum, et non est inventus locus ejus. — Vidi l’empio sopraesaltato, ed elevatosi a par de’ Cedri del Libano: e passai oltre, ed ei più non era; e lo ricercai, e non si trovò neppur il luogo dove egli era » (Salmo 37, 36).

 

I.

Considera, che differente è l’esaltazione dell’empio, della quale qui si ragiona, differente 1′ elevazione. L’ esaltazione è quell’onore estrinseco, in cui l’empio si trova, quell’applauso, quell’aura, que’ passatempi, quella dignità, quel danaro, quella fortuna: « In medio populi sui exaltabitur. — Sarà esaltato in mezzo al suo popolo » (Ecclesiastico o Siracide 24, 3). L’elevazione è quell’interna superbia, che l’empio concepisce dentro il cuor suo da quell’onor, benchè estrinseco: « Elevatum est cor tuum in decore tuo. — Il tuo cuor s’elevò nella tua magnificenza » (Ezechiele 28, 17). L’esaltazione precede l’elevazione. Perchè prima l’empio si vede in quella sua gloria, e dipoi s’inalbera, quasi che a lui sia dovuta. Ma non gli è dovuta altrimenti; che però non si dice, ch’egli è esaltato, ma che egli è sopraesaltato: Vidi impium superexaltatum: perchè è sempre esaltato sopra il suo merito. E così non si può trovar veruna esaltazione dell’empio, che non sia sopraesaltazione. E pure chi il crederebbe? Egli si lascia tanto accecar dal riverbero di quegli esterni splendori, che lo circondano, di quegli ostri, di quegli ori, di quei corteggi, che non solo si crede di meritare una simile esaltazione, ma si crede di meritarla a par di coloro, che ne sono ancora più degni. E però aggiunge il Salmista, che vide l’empio elevatosi a par de’ Cedri: Sicut Cedros. I Cedri sono per verità in somma gloria, ma se la meritano, perchè rendono buon odore, son floridi, son fecondi, dan frutti egregi, e gli danno in alta abbondanza, sicchè quando su i loro rami un frutto matura, già l’altro spunta. Laddove gli empi non producono frutto di sorte alcuna, almeno che vaglia, e pur internamente si stimano a par di quei, che ne producono tanti: « sicut Cedros — a par de’ Cedri ». Se pure tu non vuoi dire, e forse anche meglio, che si stimano a par de’ Cedri, perchè si reputano ancor essi immortali; ond’è che non fu detto assolutamente, « sicut Cedros — a par de’ Cedri », ma « Cedros Libani — de’ Cedri del Libano »; perchè fra tutti i Cedri questi sono quei, che men d’ogni altro soggiacciono a corruzione. E non vedi tu, come appunto si portano questi grandi, che noi chiamiamo di mondo? come se mai non avessero da morire: così amano quel danaro, come se mai non avessero da privarsene; così amministrano quelle dignità, come se mai non avessero da perderle: così accarezzano quel loro corpo feccioso, come se non avesse da divenire ancor egli pascolo a’ vermi. E questo è ciò che volle esprimere acutamente il Re Davidde, quando disse: « Vidi impium superexaltatum, et elevatum sicut Cedros Libani — Vidi l’empio sopraesaltato ed elevatosi a par de’ Cedri del Libano ». Vuol esprimere in breve, che lo mirò nell’estrinseco, e nell’intrinseco sì fastoso, come s’egli fosse immortale. Ma aspetta un poco, e vedrai ciò che ne sarà.

II.

Considera, che a veder ciò non è nè anche di necessità aspettar molto; perchè tutta la gloria fin qui descritta è gloria da scena, che in un momento si cambia: « Transivi, et ecce non erat. — Passai oltre, ed ecco ch’ei più non era ». Apelle pinse Alessandro con un fulmine in mano, per dimostrare quanto presto avea scorso tanto di mondo. Meglio faceva a pingerlo in quella forma, per dimostrare quanto presto n’era sparito. E non vedi ognor quanto breve è la felicità de’ Grandi mondani? « Transivi. — Passai oltre ». Tu non fai altro, che andare un passo più oltre, « et ecce —ed ecco » in un baleno, in un subito, in un istante: « et ecce non erat — ed ecco ch’ei più non era »; non sol « non est — non è », ma « non erat — non era », perchè sempre andò tal felicità trascorrendo col tempo stesso, il quale è sì rapido, che quando ti vuoi mettere a ragionarne, come di cosa presente, egli è già passato: « Gaudium hypocritae ad instar puncti. — La felicità dell’ipocrita è istantanea » (Giobbe 20, 5). Fissati un poco a ripensar, dov’è ora la gloria di quei superbi, che tu medesimo hai conosciuti a’ tuoi giorni in tanto applauso, in tant’aura, in tanta grandezza; non è appunto svanita a guisa di lampo? « Quae est vita vestra? vapor est ad modicum parens, et deinceps exterminabitur. — Che è la vostra vita? Ell’è un vapore, che per poco compare, e poi svanisce » (Lettera di Giacomo 4, 14). Bisogna dunque anche dir, che per verità non sol « non est — non è », ma « non erat — non era », perchè era gloria frivola, gloria falsa, gloria apparente: parens; non era già quel che mostrava di essere, e conseguentemente « non erat — non era ». Quella sola è gloria, che sempre ancor sarà tale: la gloria della virtù: « Gloria nostra est haec: testimonium bonae conscientiae. — Questa è la nostra gloria: la testimonianza della buona coscienza » (Secondo libro delle Cronache 1, 12). Quella gloria che manca, qual è la gloria del vizio, quand’ella fu, nè anche fu vera gloria, perchè in se stessa non era gloria reale, era gloria appresa. E chi può dir, che la gloria appresa sia gloria? Chi così dice, dovrà concedere, che gloria ancora è la gloria che si gode in sogno, allor che dormendo si crede di stare in trono. E tu di essa ti verrai punto ad invaghire? Non l’ammirare, non l’apprezzare, non ti mettere a vagheggiarla, che neppur è degna di un guardo: « Quasi qui persequitur ventum, sic et qui attendit ad visa mendacia. — Qual è colui che corre dietro al vento, tal è chi bada a false visioni » (Ecclesiastico o Siracide 34, 2).

III.

Considera con quanta saviezza dice il Salmista, che in rimirare la gloria falsa dell’empio egli passò innanzi, transivi, non si fermò a contemplarla; che però non dice: « Aspexi impium — Rimirai l’empio » ma « vidi — lo vidi »; perchè forse lo vide, ancor non volendo, per mero caso: e in contrassegno di questo, appena l’ebbe veduto, che il trapassò, transivi. Ed ecco il frutto ch’hai da cavar dall’odierna meditazione. Di non badare alla prosperità de’ malvagi, ma passar oltre: transivi. Perchè se ti fermi a mirarla, correrai subito rischio di mille mali: di accusare la Provvidenza, di mormorare, di malignare, di pentirti della virtù, e forse anche d’innamorarti di simile prosperità, che a te non conviene, come succede a chi fermasi a rimirare la donna d’altri, quando è vistosa: « Speciem mulieris alienae multi admirati, reprobi facti sunt. — Molti, vagheggiando la bellezza dell’altrui donna, diventaron reprobi » (Ecclesiastico o Siracide 9, 11). Però ch’hai da fare, quando a sorte l’incontri? hai da seguir il tuo viaggio, con dire a Dio, supplichevole fra te stesso: « Averte oculos meos, ne videant vanitatem. — Rivolgi gli occhi miei perchè non veggan vanità » (Salmo 118, 37). Non ti fermare a vagheggiar quei bei cocchi, che condannano l’oro, di cui van tutte folgoranti le ruote, a star sotto il fango piuttosto, che su gli altari. Non ti fermare allo stuolo di quei lacchè, per cui spesare tanti poveri non han pane in tempo di fame. Non ti fermare allo sfoggio di quelle livree, per cui spiegare tanti poveri non han panni in tempo di freddo. Non ti fermare alla vista di quei corsieri, le cui stalle sono tenute da alcuni con più decoro di quelle Chiese medesime, che danno fin talvolta da vivere a tali stalle. Ahi che noiosi spettacoli sono questi a un vero Cristiano ! Però passa innanzi, come facea chi qui ti dice, Transivi: e dove avrai da passare? Passa a contemplar col pensiero la sepoltura, dove andrà tra poco a finir tutta quella gloria: passa dalla sepoltura, dove quei miseri marciranno ne’ corpi, a contemplare quel baratro dell’Inferno, dove que’ miseri peneranno nell’anima: passa dal baratro dell’Inferno, dove que’ miseri peneranno nell’ anima, a contemplar quella gloria del paradiso, dove giammai non potranno abitar neppur col pensiero, se tanto più non si vorran sempre accrescere l’alta rabbia, di cui già abbastanza arderanno. Oh che passaggio salutevole è questo, se saprai farlo ! Allora sì, che tanto più giustamente tu potrai dire: « Transivi, et ecce non erat — Passai oltre, ed ecco ch’ei più non era ». Perchè nessuno mai meglio intende la vanità delle cose temporali, che chi da esse trapassa a pensar l’ eterne: « Transivi ad contemplandam sapientiam, et vidi quod tantum praecederet sapientia, stultitiam, quantum differt lux a tenebris. — Passai a contemplar la sapienza, e riconobbi, come tanto la sapienza precede alla stoltezza, quanto la luce è distante dalle tenebre » (Qoèlet 2, 12, 13).

IV.

Considera, che quel medesimo Davidde, il quale non si volle fermare a mirar quell’empio, che accidentalmente egli vide in alta fortuna, ma il trapassò, appena in trapassarlo s’accorse, ch’ era mancato, che subito tornò indietro per ricercarlo: quaesivi eum. E perchè ciò? se non che per darci un altissimo insegnamento: ed è, che quanto è notevole il contemplare la mondana prosperità, quando ella è presente, tanto è dipoi giovevole il contemplarla, quando è passata. Allora solo si finisce d’intendere quanto è vana. Va dunque, cerca pure l’empio sopra la terra poi che egli è morto. Lo troverai? « Quaesivi eum, et non est inventus locus ejus. — Lo cercai, e non si trovò neppur il luogo dov’egli era ». Altrove dice il Salmista: « Adhuc pusillum, et non erit’ peccator, et quaeres locum ejus, et non invenies. — Per poco ancora, e il peccatore più non sarà, e cercherai del luogo dov’egli stava, e nol troverai » (Salmo 36, 10); cioè « non invenies eum in eo loco — non lo troverai in quel luogo »; l’andrai a cercare tra que’ superbi palazzi, ove egli abitava, e non saprai ritrovarlo, et non inverzies: in que’ teatri, e non invenies: in que’ giardini, e non invenies: in quelle gallerie, e non invenies: in quelle ville, e non invenies — e non lo troverai — e per dir breve, in qualunque luogo più delizioso di quelli, in cui solea stare, e mai « non invenies — non lo saprai trovare ». Ma adesso dice di più, che non ritrovò neppure il luogo medesimo: non est inventus locus ejus, perchè non solamente mancano i Principi, ma mancano i Principati. Dov’è ora la Monarchia così celebre de’ Romani, de’ Medi, de’ Macedoni, degli Assiri? neppur si possono ritrovar più le città, nelle quali già dominavano i lor Monarchi, non che le Curie. Tutto sparì, come un sogno: Velut soinnium avolans non invenietur (Giobbe 20, 8). Or tanto più capisci dunque, s’è falsa la felicità de’ mondani. E tu ciò non ostante vuoi metterti a contemplarla? Contemplala pur se vuoi, ma con questo patto, che almeno a giudicarne contentiti di aspettare, come si fa nelle statue, nelle scritture, e nelle altre opere tutte, che sia finita.

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