La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XXVI. GIORNO

Sopra le parole « Et ne nos inducas in tentationem ».

« Et ne nos inclueas in tentalionem. — E non c’indurre in tentazione ».

 

I.

Considera, che il proposito è il paragone a cui provasi il pentimento, prima che dal Cielo si accetti, qual oro fino. Però se davvero vogliamo al nostro buon Padre apparir dolenti de’ torti usatigli, convien che gli dimostriamo, ma daddovero, quell’efficace risoluzione, ch’abbiam fatta di non usargliene più; giacchè tal è la riprova : « Deprecatio pro peccatis, recedere ab injustitia. — Chi prega per ottenere il perdono dei peccati, deve allontanarsi dall’ingiustizia » (Ecclesiastico o Siracide 35, 3). Ma ciò non possiamo nel caso nostro eseguire in miglior maniera, che con pregar lui medesimo a tenerci lontani da tutto ciò, che ci può condur nuovamente a prevaricare, e potendo noi bensì non andare a metterci da noi stessi nelle occasioni di prevaricar nuovamente, come chi tra sè già diceva : « Observabo me ab iniquitate mea — Mi guarderò dalla mia iniquità » (Salmo 18, 24); ma non potendo far di modo, che queste non vengano da se medesime a ritrovarci, non ti figurare però, che quando a Dio qui diciamo : « Et ne nos inducas in tentationem — E non c’indurre in tentazione », gli addimandiamo di non venir mai tentati in veruna forma : prima, perchè questo non sarebbe possibile, essendo la vita medesima un campo d’arme : « Tentatio est vita hominis super terram. — Tentazione è la vita dell’uomo sopra la terra » (Giobbe 7). Secondo, perchè non sarebbe utile, portando la tentazione con esso sè infiniti profitti a chi se ne sa prevalere : « Omne gaudium existimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis. — Abbiate, fratelli miei, come argomento di vero gaudio le varie tentazioni nelle quali urterete » (Lettera di Giacomo 1). Terzo, perchè non sarebbe conveniente, sembrando cosa troppo fuor di ragione il voler esentarsi da ogni battaglia, e contuttociò voler essere coronato : « Hoc autem pro certo habet omnis, qui te colit, quod vita ejus, si in probatione fuerit, coronabitur. — Ma questo è tenuto per certo da chiunque ti onora, che se la sua vita sarà messa alla prova, ei sarà coronato » (Tobia 3, 21). Chiediamo dunque di non venir mai tentati di modo tale, che cadiam nella tentazione, come gli uccelli, i cervi, i capri, ed altri animali simili cadono nella rete con restar colti: Et ne nos inducas in tentationem. E così in sostanza chiediamo a Dio di venir preservati, non già da qualunque sorta di tentazione in universale, ma da quelle in particolare, nelle quali egli prevede, che dobbiam cedere, o adescati dal piacere, come avviene agli uccelli, che per un gran di miglio si lascian prender nelle ragno, o abbattuti dal patimento, come avviene ai cervi, ai capri, e ad altri animali selvaggi, che perseguitati agremente da cacciatori, per non poter più resister, dan ne’ lacci. E ciò si cava dal modo con cui parliamo qui a Dio, mentre gli diciamo : « Ne inducas —Non ci indurre ». Nell’ altre tentazioni che a noi riescono buone, noi non cediamo, ma stiam forti, con restar quasi superiori alla rete : e però in quelle non si può dir che c’induca. C’induce in queste che son le perniciose : non già perchè egli ci dia mai spinta positiva a cadervi, ma perchè ci lascia cadere. E ben tu sai che nell’idioma Divino così favellasi ancora di Dio medesimo; favellasi al modo umano. Si dice che Dio induri il cuor nostro, quando prevede che s’egli non ci porge opportunamente un tal aiuto efficace, c’indureremo, ed egli lascia indurarci: « Indurasti cor nostrum, ne timeremus te. — Indurasti il cuor nostro, onde non avessimo timore di te » (Isaia 63, 17). Si dice, che ci acciechi gli occhi, quando lascia che ci acciechiamo. Si dice, che ci aggravi le orecchie, quando lascia che le aggraviamo. Si dice, che ci faccia infin traviare da’ suoi precetti, quando lascia che traviamo : « Quare errare nos fecisti, Domine, de viis tuis? — Perchè, o Signore, facesti tu che deviassimo dalle tue vie? » (Isaia 63, 17). E così nel caso presente, allor si dice, che Dio ci faccia restar nella tentazione, quando lascia che vi restiamo : « Induxisti nos in laqueum. — Ci hai condotti al laccio » (Salmo 66, 11). Questa propriamente dunque dev’essere la tua mente, quando dici al Signore queste parole: « Et ne nos inducas in tentationem. — E non c’indurre in tentazione ». Che non ti permetta giammai quella tentazione, nella qual vede che tu dovrai restar colto. E così qui, a parlar giusto, chiedi due cose, che finalmente si riducono ad una, ma pur son due. La prima di non cader nella tentazione, cioè di non consentirvi; e con ciò chiedi la preservazion dal peccato. La seconda di non patir quella tentazione, nella qual egli prevede, che tu cadrai; e con ciò non sol confessi umilmente la tua fiacchezza, ma la voglia ch’hai parimente di non cadere.

II

Considera, che due sono le tentazioni notevoli. Alcune intrinseche, alcune estrinseche. Le prime sorgono in noi dalla innata concupiscenza, la quale è dentro di noi. Le seconde sorgono in noi dagli oggetti esterni, che sono fuori di noi. Le prime si dice che vengono dalla carne, la quale con le sue molestie intestine mira a due cose; a ritirarci dal bene, a cui per altro lo spirito intenderebbe, e a incitarci al male : « Unusquisque tentatur a concupiscentia sua, abstractus, et illectus — Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo tragge, e lo alletta » (Lettera di Giacomo 1, 14) : « abstractus a batto, illectus ad malum — che lo tragge dal bene, e lo alletta al male ». Le seconde si dicon venir dal mondo, il quale anela ancor egli allo stesso fine, al quale anela la carne, ch’è di ritirarci dal bene, e incitarci al male; ma no ‘l procura però, come fa la carne, in un modo solo. La carne ci assalta sol per via di lusinghe, come faceva già Dalila con Sansone. Il mondo per via di lusinghe, e per via di persecuzioni, come faceva già Saulle con Davidde. Per via di lusinghe, con rappresentarci tutti i suoi beni sensibili; e per via di persecuzioni, con porne innanzi vilipendi, carceri, croci, e strapazzi orribili. Vero è che questi due dannosissimi tentatori, sarebbono tuttavia meno poderosi, se non avessero un soccorso ognor validissimo dall’Inferno. E così a tentarci, non è sola la carne, nè solo il mondo; ma vi si aggiugne il demonio, il quale ha parte egualmente in ambe le tentazioni; nelle intrinseche, e nell’estrinseche. Nelle intrinseche, con istigare la carne a lusingare incessantemente lo spirito, e con dire ad essa, come diceva già a Dalila per bocca de’ Filistei : « Blandire viro tuo. — Guadagna tuo marito colle carezze » (Giudici 14, 15). E nell’estrinseche, con accrescere al mondo ora frodolenza, or furore, secondo i tempi, e con agitarlo a danno de’ buoni, come agitò già Saulle a danno di Davidde : « Exagitabat eum spiritus nequam. — Lo vessava uno spirito malo » (Primo libro di Samuele 16, 14). E così il demonio per se medesimo in verità non può nulla. Tanto egli vale, quanto può concitarti contro la carne, e ‘l mondo. E posto ciò, tu devi stabilire in te questa massima, che il primo studio dee da te porsi in difenderti dalla carne : perciocchè questa è una tentatrice intestina, che non si diparte da te, neppure un momento, nè solamente ti tiene fra le sue braccia, come Sansone era tenuto da Dalila, ma ti sta chiusa nell’intimo delle viscere. Il secondo studio in difenderti dal mondo; perchè questo è, che ti circonda d’ intorno immediatamente, sicchè dovunque ti volgi, n’hai da temere, come avveniva ad un Davidde, perseguitato da Saulle pe’ campi, per le città, per le case, per le caverne, ed in ogni lato. Il terzo studio in difenderti dal demonio, il quale , se tu ti guardi dalla carne, come dovea fare Sansone, e se ti guardi dal inondo, come fece Davidde, pochissimo avrà di forza per superarti. Nè creder già, che per quanto studio tu ponga in andar guardato da questi tre crudelissimi insidiatori, sia forse inutile il dire a Dio del continuo : « Et ne nos inducas in tentationem — E non ci indurre in tentazione », perciocchè, per quanto ti guardi da te medesimo, oh quanto hai tuttavia di necessità, che il Signor ti assista! tanto sono incessanti le tentazioni, che possono sopraggiugnerti ogni momento, senza che te ne avveda, e tanto rabbiose : « Vigilate, et orate, ut non intretis in tentationern. — Vegliate, ed orate, per non cadere in tentazione » (Vangelo di Marco 14, 38). Non basta vegliare, bisogna orare, come si fa contro i ladri, da cui si salva chi veglia a un tempo, e chi chiede aiuto a’ vicini, con gridare di subito, al ladro, al ladro.

III.

Considera quanto sia grande la tua pazzia, se tu non aspettando, che questi tre insidiatori sì maliziosi ti sian addosso, per coglierti nella rete, ti vadi in essa a cacciare da te medesimo: « Nuniquid cadet avis in laqueum terre absque aucupe? — Caderà forse nel laccio sopra la terra un uccello senza l’opera dell’uccellatore? » (Amos 3, 5). Dicea Amos, come di un caso, che mai non fosse possibile ad accadere. E pur ciò succede ogni volta, che tu non aspetti altrimenti d’essere tentato, ma vai da te stesso a incontrare la tentazione : « Cadis in laqueum terrae absque aucupe — Vai a cadere nel laccio sopra la terra senza l’opera dell’ uccellatore ». E quando è ciò? Quando da te stesso ti metti in qualche grave occasion di prevaricare. Devi però saper, che tu in tal caso porgi a Dio vanamente questa preghiera : « Et ne nos inducas in tentationem — E non c’indurre in tentazione ». Perciocchè non è un beffar Dio, addimandargli che non ti lasci cader nella tentazione, mentre la vai tu a provocare di proprio senno? Non è però questa una Orazione ordinata, sebben si pondera, a salvarsi da quelle reti, in cui si va l’uomo ad involgere per curiosità, per capriccio, per passatempo; ma da quelle che sopravvengono contro voglia, com’erano quelle reti già tese a Davidde: « Praevenerunt me laquei mortis. — Mi strinsero i lacci di morte » (Secondo libro di Samuele 22, 6). Perchè nel resto è legge infallibilissima, che chi va a mettersi nella rete da sè, come fe’ Sansone, vi rimanga colto : « Immisit in rete pedes, tenebitur planta illius laqueo. —Ha posto i suoi piedi nella rete, il suo piede sarà preso al laccio » (Giobbe 18, 9). Chi compatirebbe agli uccelli, ch’avesser senno da scorger i loro lacci, e non gli schivassero? In tanto son compatiti, in quanto son tutti semplici animalucci, che non capiscono, quando van sì lieti alla ragna, dov’essi vadano: « A vis festinat ad laqueum, et nescit quod de periculo animae illius agitur. — L’uccello vola al laccio, e non sa che si tratta del pericolo di sua vita » (Proverbio 7, 23). Chi compatisce chi va a stuzzicare il vespaio? Chi compatisce chi va a sfidare le vipere? Chi compatisce chi va a provocar le pantere nelle lor tane? « Quis miserebitur omnibus, qui appropiant bestiis? — Chi avrà compassione di tutti quelli che si accostano alle fiere? » (Ecclesiastico o Siracide 12, 13). Nessuno affatto. Or così fai tu, quando cerchi la tentazione : « Appropias bestiis. — Ti accosti alle fiere ». Ti provochi da te contro i tuoi tentatori. E poi tu vuoi, che il Signore ti abbia compassione, s’essi ti saltano addosso, e che ti preservi? Sai tu quando hai da fare quest’Orazione, con gran fiducia di venire esaudito, ancorchè l’occasion cattiva non abbia cercato te, ma tu l’occasione? E’ quando ad incontrar l’occasione tu ti sia mosso, o ti muova da fine buono, ch’è quanto dire, o per debito dell’ufficio, o per disposizione dell’ubbidienza, o per legge di carità, come fu in Giuditta, la quale allora che si dispose di andare da se medesima a trovar l’iniquo Oloferne nel padiglione, potè con buona fronte dire al suo Dio : « Da mihi in animo constanttam ut contemnam illum, et virtutem ut evertam illum — Dà al mio spirito fermezza per disprezzarlo, e virtù per abbatterlo » (Giuditta 9, 14), perchè vi andava per liberare il suo popolo. Ma fuori di questi casi, se cerchi la tentazione, come vuoi pregar Dio che te ne preservi? « Qui amat periculum, in illo peribit. — Chi ama il pericolo, vi perirà » (Ecclesiastico o Siracide 3, 27). Non si dice ch’ami il pericolo chi si va a mettere in esso per fine onesto; ma solo chi si va a mettere senza pro. E però se tu senza pro cerchi la tentazione, ch’è la tua rete, e scherzi intorno ad essa, e ti ci trastulli, non voler poi dimandare a Dio, che preserviti dall’entrarvi : Et ne nos inducas in tentationem. Perchè questo è dimandare a lui de’ miracoli, sol perchè tu ti possa liberamente pigliare i tuoi passatempi. E posto ciò, non è questo più dimandargli, che non ti lasci cader nella tentazione, è tentar lui stesso : «Non tentabis Dominum Deum tuum. — Non tenterai il Signore Dio tuo » (Vangelo di Matteo 4, 7).

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