La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

FEBBRAIO

XXVI. GIORNO

Salute dell’Anima da preferirsi a qualsivoglia ricchezza.

 

« Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?— Che giova all’uomo guadagnare il Mondo intero, se perciò soffre il pregiudizio dell’anima sua? » (Matteo 16, 26).

 

I.

Considera, che Cristo in questo luogo non dice: « Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae jacturam patiatur — che giova al l’uomo guadagnare il Mondo intero, se perciò soffre la perdita dell’anima sua », ma « detrimentum — il pregiudizio » ; perchè tu sappia, che non solo non torna conto di perder l’anima per acquistar l’Universo, ma neppur torna conto di sottoporla a qualunque pregiudizio spirituale, per minimo eh’ egli sia. Perciocchè quando mai le potrai dar tanto, quanto le togli? Sai tu quanto vale un minimo grado di gloria? Val più, che tutte le Monarchie messe insieme de’ Romani, de’ Medi, de’ Macedoni, de’ Persiani, e di quanti mai siano ascesi su troni augusti. Sicchè quando tu per sottometterle al tuo dominio, ti risolvessi a un sol peccato veniale, saresti uno sconsigliato. Anzi non meno sconsigliato anche sei, quando abbi difficoltà di fare a Dio qualunque gran sagrifizio di quei che non sei sotto colpa tenuto fargli. Perocchè qual cosa gli potrai mai donare, ch’egli non ti abbia un dì da contraccambiar con sommo vantaggio? « In terra sua duplicia possidebunt — Nella sua patria avranno doppia porzione » (Isaia 61, 7), disse Isaia degli Eletti mortificatisi qui per amor di Dio. Ma ciò a Gesù parve poco. E però mira, che formola più espressiva egli amò di addurre: « Mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum. — Misura giusta, e calcata, e scossa, e colma sarà versata in seno a voi » (Luca 6, 38). Hai tu mai veduto uno, che vendati uno staio di formento alla foggia che si costuma a un amico? Prima egli toglie uno staio, il quale secondo la legge non sia manchevole, e questo è darti « mensuram bonam — una misura giusta » : poi te l’empie di grano; e di ciò non pago, te lo colma, e tel calca ancor colle mani, e questo è darla « confertam — calcata »: poi scuote quello staio, e lo sbatte sì, che i granelli calino bene all’ingiù, e questo è darla « coagitatam — scossa »: poi vi sovrappone di nuovo dell’altro grano sì, che d’ogni parte si spanda, e questo è darla ancor «supereffluentem — colma». Misura più cortese di questa non si può usare. E questa è quella, che userà il Signore anche a te nel contraccambiarti ogni quattrino, che donato avrai per suo amore, ogni parola detta, ogni passo dato, ogni ricreazione perduta. Oh che Signor buono! Pondera però un poco adesso, ch’errore è il tuo, quando tralasci di sagrificare a Dio volentieri tutto ciò, che possa prometterti l’Universo. E pur talora tu dici : come solo io arrivi ad esser salvo, ciò mi è bastevole: io non mi curo esser Santo. Oh inganno! oh inganno! Se a sorte tu fossi Imperator de’ Romani, non saresti in vero stoltissimo a dichiararti di non voler perdere un fiore, benchè perdendolo dovessi aggiugnere all’imperio di Europa, tutta l’Africa, tutta l’America, tutta l’Asia? Ma sappi certo, ch’è molto più da stimarsi un fiore ancora di prato, rispetto a tutte queste tre parti di Mondo, che non son tutte queste tre parti di Mondo rispetto al minimo grado di quella beatitudine più sublime, che a te par niente: « Melior est dies una in atriis tuis super millia. — Val più un sol giorno nel tuo atrio, che mille fuori » (Salmi 84, 11), disse il Salmista. Ma io ti ripiglio così. Se chi sta sull’atrio solo del Paradiso non avrebbe a cambiare un giorno de’ suoi per tutti i dì più fortunati, che meninsi sulla terra; che sarà di chi si ritrovi nel Santuario, dove tu non curi inoltrarti? Qual dubbio adunque, che per nessun altro acquisto, che qui tu faccia, quantunque del Mondo tutto, ti può tornar conto un minimo pregiudizio spirituale, che rechi all’anima tua colle immortificazioni, colle imperfezioni, e molto più con quei peccati veniali, che pur dovrai poi scontare a costo di tanto fuoco nel Purgatorio? Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur non che, jacturam?

II.

Considera, che se non ti torna conto recare all’anima tua un minimo pregiudizio spirituale per tutto l’oro del Mondo; molto meno di certo potrà giammai tornarti conto di perderla. Perocchè dimmi : che ti gioverà tutto quello, che avrai goduto di piaceri, di grandezze, di gloria, se tu ti danni? Credi tu, che a quanti gran Monarchi ora fremono nell’Inferno sia mai cagion di sollievo la rimembranza di quel felicissimo stato, che a’ giorni loro goderono sulla terra? che si confortino coi loro antichi tesori? che si consolino co’ loro antichi trionfi? Tutto il contrario. Il ben perduto ha virtù solo di affliggere. E così quanto fu maggior la caduta, tanto in loro è maggior il lutto. Nè solo ciò. Ma è indubitato, che a proporzione de’ godimenti passati saran le pene presenti. Chi ha più sguazzato, dovrà laggiù più arrabbiarsi, chi ha più sfoggiato, dovrà laggiù più abbruciare, chi ha più esultato, dovrà laggiù dileguarsi in più amari pianti. « Incurvabitur sublimitas hominum, disse Isaia, et humiliabitur altitudo vivorum. — La sublimità degli uomini sarà incurvata, e chinata l’altura de’ grandi » (Isaia 2, 17). Chi già fu alto, dovrà laggiù star chinato per quel gran carico, che terrà addosso di pene; ma chi sublime, vi dovrà stare anche curvo. Qual dubbio adunque, che nulla ti gioverà, l’aver fatto tanto per avanzare, per accumulare, per esaltare follemente lo stato di casa tua, mentre questo medesimo esaltamento, se perdi l’anima, dovrà tornare a tua maggior depressione.

III.

Considera, che non solo « non proderit — non gioverà » nell’Inferno l’aver trascurata l’anima per l’acquisto dell’ Universo, ma che nemmeno ora « prodest — giova » qui sulla terra. Perocchè finalmente, che è tutto ciò, che ti può mai la terra recar di bene, ancorchè si svisceri tutta per farti ricco, se affine di ciò ottenere tu ti hai da esporre ad un pericolo, benchè minimo, di dannarti? « Quam dabit homo commutationem pro anima sua? — Qual adeguata compensazione darà l’uomo per l’anima sua? » (Vangelo di Matteo 16, 26). «Quid dabit homo commutationis pro anima sua? — Che di compenso darà l’uomo per l’anima sua? » (Vangelo di Marco 8, 37). Non solo qui tu non puoi dare a te stesso commutationem, cioè una compensazione, che sia totale alla perdizione dell’anima, ma neppur « quid commutationis — un qualche compenso ». V’è proporzione alcuna, benchè leggierissima, tra questi piaceri di senso, i quali ora godi, e quelle pene, che patirai nell’Inferno? tra questi tesori, e tra quelle mendicità? tra questi trionfi, e tra quelle maledizioni? Senti però ciò che dicono negli Abissi « qui peccaverunt — i peccatori »: « Quid nobis profuit superbia? aut divitiarum jactantia quid contulit nobis? — Che ci giovò la superbia? e la ostentazione delle ricchezze qual pro ci fece? » (Sapienza 5, 8). Hai tu osservato, che non dicon « prodest — giova », ma « profuit —giovò », che non dicono « confert — fa pro », ma « contulit nobis — ci fece pro»? Mercè che avendo ora i miseri aperti gli occhi, cioè acquistata una notizia sperimentale di ciò, di cui solo avevano prima una fede debole, veggono chiaro, che in rispetto ai tormenti, in cui son caduti, tutti i lor godimenti furono inezie da non comperarsi, neppur con un pomo fracido. Quindi è, che Cristo, il quale spesso trattò di questo argomento, siccome disse una volta: « Quid proderit homini? — Che gioverà all’uomo? » (Vangelo di Marco 8, 36) in riguardo al tempo futuro; così volle anche con provvido avvedimento dire un’altra volta, « quid prodest — che giova? » in riguardo al tempo presente. Son tanto poco tutti i maggiori godimenti di questa misera terra, ancora possibili, rispetto al tormento minimo dell’Inferno, ch’è una pazzia farne caso. « Quid prosunt — Che giovano » i tuoi riguardevoli Magistrati? « quid prodest — che giova » il Pastorale? « quid prodest — che giova » la Porpora? « quid prodest — che giova » non solamente una Corona libera, ma un Triregno, se tu però ti metti a rischio di perderti eternamente? Ma così va. « Mendaces filii hominum in stateris — Bugiardi i figliuoli degli uomini nelle stadere » (Salmi 61, 10), mentr’essi fanno, che del continuo preponderi il temporale all’eterno, con cui non può neppur avere una minima proporzione. Non si troveranno mai certo stadere tali, che possano da se dire bugie sì grosse. Però non sono « mendaces staterae in filiis hominum — bugiarde le stadere nei figli degli uomini », ma « mendaces filii hominum in stateris — bugiardi i figli degli uomini nelle stadere ». Perocchè gli uomini danno ad esse il tracollo avvedutamente, come lor piace, con ribellarsi a qualunque lume vivissimo di ragione: Ipsi fuerunt rebelles lumini (Giobbe 24, 13).

IV.

Considera, che quantunque Cristo dicesse: « Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur etc. — Che giova all’uomo guadagnare il Mondo intero ecc. »; contuttociò neppur uno si troverà, il quale veramente si danni per tanto acquisto. I più si dannano per conseguire di questo Mondo, non solo una particella, ma una particella sì poverina, una particella sì piccola, che non si può pensarvi bene, e non piagnere. Non accade, che il Demonio afferrando gli uomini stretti per i capelli, “li porti sopra la cima di un monte Olimpo, per fare ad essi vedere « omnia regna Mundi — tutti i regni del Mondo »; e dipoi soggiugnere: « Haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me. — Tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai » (Vangelo di Matteo 4, 9). Oh di quanto meno si appagano tanti e tanti, per chinar le ginocchia a rendergli omaggio ! Sono contenti, come Acab, di una vigna così spallata, che tornava pro di spiantarla per farne un orto. Sono contenti d’una povera Chiesa, sono contenti d’una povera carica, sono contenti, come tanti Giuda infamissimi, di una doppia; e per sì poco non si asterranno dalle oppressioni de’ poveri, da simonie, da spergiuri, da tradimenti. E pur v’è di peggio. Perocchè quanti ritroverai di coloro, i quali nulla si fan pagare a commettere de’ peccati; piuttosto pagano! L’ultimo infortunio, predetto già dal Signore ai poveri Ebrei, fu quando egli disse : « Venderis inimicis tuis in servos, et ancillas, et non erit qui emat. — Sarete venduti a’ vostri nemici per essere schiavi e schiave, e mancheran compratori » (Deuteronomio 28, 68). E si verificò sotto Tito, allor che i meschini si affaticavano a ricercar tra’ Romani chi gli volesse condur seco in catene, e non lo trovavano, attesochè di schiavi tali si aveano a trenta il soldo. Così fanno alcuni Cristiani. Si raccomandano in certo modo al Demonio, perchè gli comperi, ed egli piuttosto vuol essere comperato. Vede, che quelli vanno perduti dietro a’ diletti sensuali; ma già non possono, tanto son conquassati: e il Demonio ne ride, e lascia che s’industrino a ricercare nuove invenzioni da ravvivar la libidine, quasi morta. Vede, che i meschini si struggono tutti in rabbia, e pure non hanno il modo di vendicarsi di chi gli offese. Vede, che spasimano di avarizia, e pur non fanno un contratto, che sia felice. Vede, che smaniano di ambizione, e pure non incontrano un clima, che sia favorevole. E così, che provano i miseri dal peccato? Il solo amor doloroso alla schiavitudine. Nel rimanente non trovano chi gli paghi a prezzo anche vile: Non est qui emat. Dì dunque tu, se ti scorgessi per disgrazia nel numero di costoro sì sventurati, non saresti uno stolto a volerti ancora dannare con tanto costo? Non torna conto dannarsi per tutto il Mondo. Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? E vuoi, che torni conto dannarsi per un peccato, il quale è sì sterile; oppure è fertile sì, ma di mera pena?

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