La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

APRILE

XXVI. GIORNO

Povero superbo, Ricco bugiardo, e Vecchio fatuo sono l’odio di Dio.

 

« Tres species odivit anima mea, et aggravor valde animae illorum: Pauperem superbum, Divitem mendacem, Senem fatuum et insensatum. — Tre specie d’uomini sono in odio all’anima mia, e mi è duro assai a sopportare la loro vita: il Povero superbo, il Ricco bugiardo, e il Vecchio fatuo ed insensato » (Ecclesiastico o Siracide 25, 3).

 

I.

Considera quanto infelici sieno queste tre specie d’uomini, le quali il Signore dice di aver tanto in odio, che non può sostenerle sopra la Terra senza gravezza: Aggravor valde animae illorum. E quali sono queste? Il Povero superbo, il Ricco bugiardo, il Vecchio fatuo e insensato. Gli è duro sopportare un Povero superbo, Pauperum superbum, perchè se un ricco insuperbisce, par degno di qualche scusa; ma se insuperbisce un povero, non ha scusa di alcuna sorta, mentre la sua vil condizione pare, che lo necessiti alla umiltà: « Quid superbit terra, et cinis? — A che la terra e la polve insuperbisce? » (Ecclesiastico o Siracide 10, 9). Terra in vita, cinis dopo la morte. Gli è duro a sopportare un Ricco bugiardo, Divitem mendacem, perchè se un Povero lascia sedursi dalla fame a mentire ingannevolmente, a usar delle furberie, a usar delle fraudi, non è cosa di maraviglia: ma che mentisca un Ricco, è obbrobrio grandissimo; perchè non è la fame, che a ciò lo spinga, è l’insaziabilità, è l’ingordigia. Quanto conviene, che sia stato accecato dall’interesse chi per non soddisfare a’ suoi creditori si finge povero! « Operiuntur pallio saccino, ut mentiantur. — Si coprono di sacco per ingannare » (Zaccaria 13, 4). Gli è duro a sopportare un Vecchio, qual si disse fatuo e insensato; perchè se da tale si diporti un giovane d’anni, ciascun lo compatisce: il bollar del sangue focoso, il poco studio, la poca speriènza non gli permettono, eh’ egli operi da maturo. Ma qual di queste scuse suffraga a quell’uomo vecchio, che fin talora si colorisce i capelli, si abbellisce, si adorna, e sfoga la sua libidine a par d’un giovane? « Certe vides, fili hominis, quae seniores domus Israel faciunt in tenebris, unusquisque in abscondito cubiculi sui; dicunt enim: Non videt Dominus nos, tanto essi sono impazziti, dereliquit Dominus terram. — Certamente, figliuolo dell’uomo, tu vedi le cose, che i vecchi della casa d’Israele fanno nelle tenebre, ognuno nel segreto di sua camera; imperocchè dicono: Il Signore non ci vede, il Signore ha abbandonata la terra » (Ezechiele 8, 12). Tutti e tre questi pare che nel genere umano sien tanti mostri, e però non è da stupire, se Iddio gli abborrisca così altamente: Aggravor valde animae illorum. E pure quanti di questi mostri s’incontrano tutto dì, non già nelle selve, ma nelle Comunità: non già nelle spelonche, ma nelle case? Ben puoi da ciò raccogliere, quanta sia la misericordia del tuo Signore, mentr’egli dice, che « aggravatur valde animae illorum — gli è duro assai a sopportarli », e contuttociò li sopporta.

II.

Considera, che per questi tre mostri, pur ora detti, misticamente ci si additano a maraviglia il Mondo, la Carne, e il Demonio, i quali sono a guisa di tre furie così crudeli, che mai non cessano sulla Terra di fare alta strage di anime. Se vuoi pertanto vedere un Povero superbo, Pauperem superbum, guarda il Demonio. Non è il meschino stato da Dio ridotto a nudità somma di Grazia, dannato alle catene, dannato a’ ceppi, e poi disarmato di vantaggio 1a Cristo d’ogni possanza? « Detracta est ad inferos superbia tua. — E’ stata cacciata nell’ Inferno la tua superbia » (Isaia 14, 11). E pure oh quanto nella sua povertà ritiene ancora quella superbia medesima, la qual ebbe nella ricchezza! Ben si può dire, che « ipse est Rex super universos filios superbiae — egli è il Re di tutti i figliuoli della superbia » (Giobbe 41, 25), mentre egli è schiavo, e così schiavo ancora, ardisce di muovere guerra a Dio: « Ero similis Altissimo. — Sarò simile all’Altissimo » (Isaia 14, 14). Se vuoi vedere un Ricco bugiardo, Divitem mendacem, guarda la Carne. Oh come sa bene infingersi, affine di non pagare que’ debiti, a cui lo spirito la costringe, come suo creditore, benchè pietoso! Subito dice la perfida, che non può: che non può digiunare, che non può disciplinarsi, che non può tanto attendere all’orazione, quasi che le forze le manchino. E pure mira un poco. se ha forze più che bastevoli, quando si tratti di commedie, di corsi, di spassi infami. A lussureggiare mostra di avere anche il doppio del capitale, che ci vorrebbe a soddisfare lo spirito, e poi si finge fallita: « In tempore redditionis postulabit tempus, con chiedere dilazione, et loquetur verba taedii, et murmurationum. — Quando hassi a restituire chiederà dilazione, e terrà parole di noia e di mormorazione »; « verbo taedii — parole di noia » a favor della sua impotenza, « verba murmurationum — parole di mormorazione » contro le maniere severe del creditore; « Si autem potuerit reddere, adversabitur. — Se è in istato di pagare, farà delle difficoltà », tergiversando sotto novelli pretesti, « solidi vix reddet dimidium —sborserà appena la metà del debito » (Ecclesiastico o Siracide 29, 7), mentre sarà uno sborso non solamente stentato, ma ancora scarso. Tal è il costume della carne bugiarda. Se finalmente vuoi vedere un Vecchione fatuo e insensato, Senem fatuum, et insensatum, riguarda il Mondo. Questi avrebbe oramai dovuto imparare a vivere, tanto è carico d’anni; ne ha presso già a sette mila : e pur si porta da giovane più che mai, nella libertà. nella lascivia, nel lusso, e sopra tutto ne’ dettami stravolti, che egli ha nel capo. Ancor dappoichè Cristo a bello studio è disceso dal Cielo in Terra, affine di ammaestrarlo, seguita a dire, ch’è gran vergogna perdonare al nemico, soggettarsi alla povertà, sottomettersi all’ubbidienza, calcar la via salutevole della Croce: tanto poco mostra di essersi approfittato a così lunga scuola. Ancora è fatuo, mentre si appiglia al suo male; ancora è insensato, mentre non conosce il suo bene. E’ fatuo nella volontà, è insensato nell’intelletto. Questi è però quel figliuolin miserabile di cent’anni, di cui sta scritto, che condannisi a morte senza pietà: Puer centum annorum morietur (Isaia 65, 20), perchè se uno dopo sì grand’età, ha sì poco imparato a vivere, che tuttavia diportasi da fanciullo, vano è sperar che più impari. Ora contro tutti e tre questi dice il Signore di provare un odio grandissimo: « Aggravor valde animae illorum. — Mi è duro assai a sopportarli », cioè « indoli illorum, ingenio illorum — l’indole loro, il loro costume », o come più altri leggono, « vitae illorum — la loro vita », perchè questi son quei tre mostri, i quali ognor gli desertano il Paradiso: e pur tu non solo non gli odii, ma gli tieni piuttosto in un’alta stima, quale ubbidisci di loro, quale accarezzi, e quale anche adori; ubbidisci il Demonio, accarezzi la Carne, adori lo stolto Mondo.

III.

Considera, che le mostruosità di tutti e tre questi generi già spiegati non è gran cosa, che si ritrovino epilogate in te solo; e però è necessario ch’esamini ben te stesso per rimirare come ti porti e nella povertà di natura, e nelle ricchezze di grazia, e nell’antichità della vita spirituale, che tu professi. Quanto alla povertà di natura, sai ch’ella è somma, perchè da te non hai nulla fuor che peccati. E pure oh! come facilmente predomina ancora in te quell’albagia maledetta, ch’è chiamata « superbia vitae —superbia della vita» (Prima lettera di Giovanni 2, 16), non «virtutis — di virtù », non « sapientiae — di sapienza », non « scientiae — di scienza », non « divitiarum — di ricchezze », ma solo « vitae — della vita » : mentre tu sei disposto ad insuperbirti per tanto poco, quanto è sol vivere, come se ciò non fosse un vanto comune ad ogni animale. Quanto alle ricchezze di grazia, che Dio ti dà per avvalorar la tua debolezza, queste son di leggieri così copiose, che se ne fosse toccata la metà sola a qualche ladron di strada, come dicea S. Francesco, sarebbe Santo: e tu lasciandole oziose nelle occasioni di mortificarti, di vincerti, di umiliarti, non dubiti di dolerti di Dio medesimo, quasi che sia teco scarso de’ suoi favori. E non è ciò un genere di menzogna non solo scellerata, ma ancor sacrilega, mentre per iscusar la tua infingardaggine accusi Dio? « Melior est pauper. — E’ meglio esser povero », qual è colui, ch’ è sprovveduto di grazia, « quam vir mendax — che uom bugiardo » (Proverbio 19, 22), qual è colui, che nega di possederla, per non la usare. Quanto finalmente alla vita spirituale, che tu professi, appartiene a te di mirare, come in progresso di tempo guadagni, o scapiti. Più che ti avanzi di età, più di ragione dovresti ancora avanzarti nella sodezza di spirito; e pure è facile, che ad usanza di molti tu torni indietro poco men, che a ringiovanire: mentre al principio della tua conversione eri più franco in vincere virilmente i rispetti umani, più staccato dalle conversazioni, più sciolto dalle creature, più dedito a trattare tra ‘l giorno con Gesù Cristo in un’assidua orazione. E non è questo uno scapitar di saviezza, quando più ne dovresti aver guadagnato? « Cum jam esset senex — Essendo già vecchio », cioè quando appunto doveva un Salomone mostrarsi più saggio, allora (chi il crederebbe?) allora « depravatum est cor ejus per mulieres, ut sequeretur Deos alienos — fu per opera di donne depravato il cuor di lui fino a farlo andar dietro a Dei stranieri » (Primo libro dei Re 11, 4), e divenne pazzo. Oh quante volte rinnovasi a proporzione sì orrendo caso! Comunque siasi, queste sono le tre mostruosità, che il Signore tanto abborrisce, o piuttosto abbomina: « Pauperem superbum, Divitem mendacem, Senem fatuum et insensatum — il Povero superbo, il Ricco bugiardo, il Vecchio fatuo ed insensato ». Se però ciascuna di esse ancor separatamente è di peso sì insopportabile, che sarà quando si trovino insieme unite? Non avrà il Signore più che mai ragion di ripetere: « Aggravor valde — Mi è di peso gravissimo »? Benchè un tal peso per grande, ch’egli si sia, non è finalmente all’aggravato di pregiudizio veruno, ma all’aggravante, e però non dice il Signore: « Aggravor animae meae — mi è grave a sopportare la mia vita », ma « animae illorum — la vita loro ».

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