La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

XXIII. GIORNO

La vera Religione in che consista e quanto importi tener moderata la lingua.

« Si quis putat se Religiosum esse, non refraenana linguam suarn, sed seducens cor suum, itujus vana est Religio. — Se taluno si crede d’essere Religioso, senza raffrenare la propria lingua, ma seducendo il suo cuore, la Religione di costui è vana » (Lettera di Giacomo 1, 26).

 

I.

Considera, che Religiosi sono, a parlar più ampiamente, tutti coloro, i quali con modo particolare si sono dati a servire Iddio; perciocchè questi, a quelle obbligazioni universalissime, con cui giàper altro si trovano a Dio ligati, hanno aggiunte le altre delle proprie costituzioni, o consuetudini. Ma a parlar più ristrettamente, Religiosi son quei che si sono consagrati al Divin servizio co’ voti solenni di castità, di povertà, e di ubbidienza; perciocchè questi si sono iteratamente ligati a Dio co’ lacci più forti che sieno al Mondo, mentre a’ precetti han sopraggiunti i consigli; nè si sono ligati a tempo, ma stabilmente, cioè tutta la vita loro. Or non ha dubbio, che a quanti mai con modo più speciale servono Dio, è necessario il saper frenar la lingua ; ma se tra questi è necessario saper frenarla ad alcuni più ancor, che ad altri, sicuramente è necessario a coloro, che più che altri si godono come proprio questo nome ora detto di Religioso, si caro al Cielo. Perchè, o questi Religiosi attendono puramente alla vita contemplativa, o attendono puramente alla vita attiva, o pure attendono all’una, ed all’altra insieme, imparando da Dio, e insegnando agli uomini, che è tra loro ordini il genere più perfetto. Se attendono puramente alla vita contemplativa, già vedi quanto rilevi ad essi il saper frenare la lingua : perchè il silenzio è quel, che dispone l’anima a conseguire il dono della contemplazione: « Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor ejus. —La menerò nella solitudine, e le parlerò al cuore » (Osea 2, 14). E il silenzio è quello, che conseguito, glielo conserva : « Sedebit solitarius, et tacebit, quia levavit super se. — Ei sederà solitario, e si tacerà, perchè si è alzato sopra se stesso » (Lamentazione 3, 28). Se attendono puramente alla vita attiva, vedi anche quanto il frenar la lingua debba essere loro a cuore: perchè essendo eglino astretti a conversare di molto co’ loro prossimi, è vero che non hanno a tacer, come quei della via opposta, ma hanno a saper parlare senza scandalo, e senza sdrucciolamento, che forse ancor è più difficile, che il tacere : « In multiloquio non deerit peccatum — Nel molto parlare si troverà il peccato ». E se finalmente attendono all’una, e all’altra, con la bella sorte di quegli a’ quali alluse Davidde, quando disse: « Memoriam abunciantiae suavitatis tuae eructabunt — Rammenteranno a piena bocca l’abbondanza di tua soavità » (Salmo 145, 7); convien che sappiano insieme tacere a tempo per provvedersi di questa soavità, e insieme parlare a tempo per comunicarla ad altrui: « Tempus tacendi, et tempus loquendi. — Vi è tempo di tacere, e tempo di parlare » (Qoèlet 3, 7). Il che non è se non d’uomini assai sensati : « Qui moderatur labia sua, prudentissimus. — Chi sa moderare la sua lingua, è uomo di perfetta prudenza » (Proverbio 10, 19). Tu qual dominio hai fin ora acquistato della tua lingua nel grado tuo? Se non l’hai finor acquistato, senti che ti dice qui di sua bocca l’Apostolo del Signore. Ti dice, che ti glorii a torto del nome di Religioso, perchè la tua religiosità tutta è vana, cioè vuota di quell’utile che ella dovrebbe per sua natura produrre sì a te, sì agli altri: « Si quis putat, etc., hujus vana est religio — Se taluno si crede, ecc., la Religione di costui è vana ».

II.

Considera come la lingua è un puledro così vizioso, che niuno mai può arrivare a domarla perfettamente, s’egli non è più che uomo : « Linguam autem nullus hominum domare potest. — La lingua poi nessun uomo può domarla » (Lettera di Giacomo 3, 8). Ci vuole un dono troppo eminente di grazia ad ottenere ch’ella mai non faccia scappata di sorta alcuna : « Quis est enim, qui non deliquerit in lingua sua? — Poichè chi è colui, che non pecchi colla sua lingua? » (Ecclesiastico o Siracide 19, 17). Però qui non dice l’Apostolo : « Si quis putat se Religiosum esse non domans linguam suam, hujus vana est Religio — Se taluno si crede d’essere Religioso senza domar la propria lingua, la Religione di costui è vana » : ma dice sol « non refraenans — senza raffrenare », perchè se non si può giugnere a domarla di modo che lasciata in sua balìa, non metta mazi, per così dire, l’orme in fallo, neppur per inconsiderazione, o per imprudenza, si può almeno giugnere a farle temere il freno. Questo freno è l’imperio della ragione, la quale come soprintende a tutte l’altre membra del corpo per tenerle ossequiose a sè, così dee soprintendere parimente alla lingua; anzi più alla lingua, che all’altre, per esser ella fra l’altre la più difficile a lasciarsi ben regolare. E la ragion è perché l’altre membra trascorrono per lo più in un solo genere di peccati.. la gola in intemperanze, gli occhi in compiacimenti, gli orecchi in curiosità, il tatto in impudicizie, e così dell’altre; ma la lingua trascorre in qualunque genere, che però è chiamata un’ampia università di scelleratezze: Universitas iniquitatis (Lettera di Giacomo 3, 6). Anzi non è ella contenta di quei peccati, i quali son tutti suoi, come sono i vanti ambiziosi, le menzogne, le mormorazioni, le imprecazioni, gli spergiuri, i sussurri, ed altri sì fatti mali : ma concorre anche a quei che non le appartengono, come sono gli omicidi, i furti, le fraudi, le oscenità; essendo indubitatissimo, ch’essa è colei, che spesso ardita non teme d’insegnar questi mali, innanzi che si commettano; di consigliarli, di comandarli, e commessi che sieno, ancor di difenderli. Sicchè a volersi guardare da’ peccati di lingua non è bastevole tenere a freno lei sola, ma conviene aver vinte per verità le passioni tutte; l’alterigia, l’ira, l’interesse, l’invidia, l’impurità, che sono quelle che l’incitano a dir ciò che non si dovrebbe: « Dixi: custodiam vias meas, ut non delinquarn in lingua mea. — Dissi : starò attento sopra le mie passioni, per non peccare colla mia lingua » (Salmo 39, 2). E questa è un’altra ragione universalissima, per cui non può darsi vanto di Religioso chi non raffrena la lingua : Si quis putat se Religiosum esse, non ref ramans linguam suam, hujus vana est Religio: perché ciò è segno chiaro, che egli non ha vinte ancora le sue passioni. Vuoi tu che la tua lingua ubbidisca al freno? Attendi bene nel tempo stesso a umiliare quelle passioni, che più di tutte le sogliono dar baldanza a ricalcitrare : « Cum defecerint ligna, extinguetur ignis — Al mancar delle legna si spegne il fuoco » (Proverbio 26, 20).

III.

Considera, che in maniera assai differente trascorrono con la lingua gli uomini che sono di vita scorretta, e gli uomini che sono di vita spirituale. I primi veggono, che fanno male a parlar com’essi parlano, nè però se ne prendono pena alcuna; anzi a bello studio si aguzzano, e si assottigliano, per avere una lingua più pronta al dire ciò che detta loro lo sdegno, l’astio, l’ambizione, l’audacia, non la ragione. I secondi, affine di parlare con libertà, cercano prima ingannar se medesimi, con darsi a credere, che in tali circostanze di tempo sia conveniente il parlare, com’essi parlano. Però tu vedi, che qui dice l’Apostolo : « Si quis putat se Religiosum esse, non refraenans linguam suam, sed seducens cor suum, hujus vana est Religio — Se taluno si crede d’essere Religioso senza raffrenar la propria lingua, ma seducendo il suo cuore, la Religione di costui è vana » ; perciocchè questo è proprio de’ Religiosi, per non obbligarsi a tenere la lingua in freno, sedur se stessi con argomenti più frivoli, che fondati. Se vogliono rompere più del dovere il silenzio sì necessario al raccoglimento interiore, cominciano a dir tra sè, che l’arco teso lungamente si spezza, e che l’allentarlo spesso, giova a poter poi ritirarlo con maggior lena. Se vogliono dir parole di propria lode, si studiano nel cuor loro di persuadersi, che il loro fine altro non è, che conciliarsi quel credito, il quale poi vale ad operare con frutto. Se vogliono condannare le ordinazioni de’ superiori, si fanno animo a ciò con dire a se stessi, che non bisogna adular, come fanno tanti; e così l’altre mormorazioni battezzano, o per magnanimo amore da loro sempre portato alla verità, o per zelo di correzione, o pér zelo di carità, o per zelo d’onor Divino. Tieni però tu quanto a te per indubitato, che se facendo professione di spirito, sei libero nella lingua, hai sedotto il cuore. E però qui ti convien di certo applicare la prima cura. Comincia a raddrizzare le opinioni travolte, che in esso albergano; e persuaditi, che sono tutti pretesti orditi a ricoprire le tue passioni. Almeno ponti con qualche studio speciale ad esaminarle; nè voler credere alla loro prima apparenza, perciocchè questo propriamente è sedursi; è un gettarsi la polvere da sè sopra gli occhi proprii, lusingarsi, lisciarsi, ed approvar con facilità le ragioni suggerite a te dall’affetto, ma non discuterle: Noli seduci. E perchè? Perchè, sotto qualunque pretesto giammai si tengano, i discorsi men buoni fan sempre danno: « Corrumpunt mores bonos colloquia mala. — I discorsi cattivi corrompono i buoni costumi » (Prima lettera ai Corinzi 15, 33).

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