La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

APRILE

XXIII. GIORNO

Sopra l’orazione.

 

« Oportet semper orare, et non deficere. — Bisogna sempre orare, nè mai stancarsi » (Vangelo di Luca 18, 1).

 

I.

Considera, che sia ciò, che il Signore da te ricerca, mentre ti dice, che ti bisogna orar sempre, se tu desideri di ottener le grazie, e non mai restare: Oportet semper orare, et non deficere. Forse che debbi star colle ginocchia piegate ad ogni momento? No, perché pur egli stesso ti impone altrove, che ti eserciti in molte opere di misericordia sì corporali, come spirituali, le quali con ciò non sarebbero compossibili. Vuol dire adunque, che tu primieramente non tralasci di orare ai debiti tempi. Questa è la prima forza di quella parola semper. Così il Re Davidde disse a Mifibosetto, che sempre se 1 sarebbe tenuto a tavola seco: « Comedes panem in mensa mea semper. — Mangierai sempre alla mia mensa » (Secondo libro di Samuele 9, 7). Che vuol dir sempre? Vuol dire ai tempi destinati al cibarsi. Non hai tu per altro i tuoi tempi, in cui doni ogni giorno il suo cibo all’anima? In essi sempre dimanda a Dio quella grazia, che da lui brami. Secondariamente vuol dire, che tu sii dedito all’orazione, sicché lo faccia più che puoi, oltre ancora ai debiti tempi. E questa è la seconda forza di quella parola semper. Di chi è dato al giuoco, si dice, che sempre giuoca; di chi al dormire, che sempre dorme; di chi al digiunare, che sempre digiuna; di chi allo studiar parimente, che sempre studia. E perché si dice? perchè questi per l’affetto, che portano a cose tali, piuttosto sogliono dare ad esse molto più del tempo consueto, che darne meno. E in questo senso disse ancora il Re Davidde: « Benedicam Dominum in omni tempore, semper laus ejus in ore meo. — In ogni tempo io benedirò il Signore; le laudi di lui saran sempre nella mia bocca » (Salmo 34, 2), perchè non sapeva saziarsi di lodar Dio. Così tu pure hai da fare: non ti appagare di domandare a Dio quella grazia ne’ tempi, che sono i proprii dell’orazione; dimandala più che puoi, fuori ancora di detti tempi. In terzo luogo vuol dire, che se anche orando con tanta assiduità, quanta qui si è detta, tu non ti scorgi esaudito, non però rimanga di orare, non ti atterrisca, non ti abbandoni, quasi che il Signore non si curi de’ fatti tuoi, ma perseveri fedelmente. E questa è la terza forza della parola semper, conforme a ciò, che a Dio disse Davidde stesso: « Ut jumentum factus sum apud te, et ego semper tecum. — Fui qual giumento innanzi a te, e mi tenni sempre con te » (Salmo 73, 23). Volendo inferire, che comunque il Signore l’avesse trattato, mai non gli avrebbe però voltato le spalle, quasi che diffidasse del suo favore. Anzi questo terzo senso pare nel caso nostro il più proprio di tutti gli altri : perché in questo proposito disse Cristo: « Oportet semper orare, et non deficere. — Bisogna orar sempre, e non mai restare » (Vangelo di Luca 18, 2): lo disse, quando volle animare ciascuno a chiedere con istanze indefesse, non ostante che si vedesse quasi ributtato da Dio, come fu già ributtata dal crudo Giudice iniquo la Vedovella. Tocca a te ora di applicare a pro tuo tutti e tre questi sensi pur ora addotti, ed esaminare se tu, secondo tutti, ori sempre. Se ori, sta pur sicuro di conseguire finalmente la grazia, qualor ella ti sia di salute all’anima, perché già fai ciò che « oportet — bisogna ».

II.

Considera per qual ragione il Signore con forma sì risoluta ci dica, Oportet: parola che non solo significa convenienza, ma ancor necessità. Conciossiachè già da una parte gli è noto il nostro desiderio innanzi che l’ esponiamo: « Ipse enim novit abscondita cordis. — Imperocchè egli conosce i segreti del cuore » (Salmo 44, 22). E dall’altra parte è di sua natura inclinato infinitamente a sollevarci, a soccorrerci, a favorirci, come chiaro apparisce da tanti benefizi, ch’egli ci ha fatti innanzi che neppur fossimo abili ad invocarlo: « Prius quam te formarem in utero, noci te. — Anzi che ti formassi nel sen della madre, io ti conobbi » (Geremia 1, 5). Perché dir dunque, che « oportet — bisogna »? Se ci ama tanto, non sembra, che gli disdica il voler esser ricercato con prieghi anche infaticabili? Tutto il contrario: perciò vuole tanto essere ricercato, perchè ama tanto. Sai tu però dove il tuo inganno consiste? consiste in questo, che ti figuri, che il supplicare a Dio sia lo stesso, che il supplicarè a’ Principi della terra. Presso di questi il supplicare non è di guadagno alcuno, è di mera perdita: se non si ottiene, la fatica è gettata: e però meglio è ottenere, non supplicando. Mà non è così parimente rispetto a Dio. Rispetto a Dio l’istesso supplicare è un guadagno indicibilissimo: « Tantummodo invocetur nomen tuum super nos. — Dacci soltanto d’invocar il tuo nome » (Isaia 4, 1). Perchè mira un poco quanti atti eserciti di virtù supplicandolo. Eserciti prima il maggiore di quanti se ne ritrovino in tutta la bella schiera delle Virtù intitolate morali, che è quel della Religione: e poi con questo eserciti ancora gli atti delle altre virtù sue confederate o congiunte, che l’accompagnano. Eserciti la fede, perchè se dimandi, è segno che ancora credi aver Dio potere di donarti ciò che dimandi. Eserciti la fiducia, perchè se dimandi, è segno che ancor speri aver lui volere di donartelo. Eserciti l’umiltà, perchè se dimandi. già con ciò ti protesti di riconoscerti bisognoso di altrui soccorso. Eserciti la pazienza, perchè dimandando ti convien incontrar più d’una ripulsa, come avvenne alla Cananea. Eserciti la longanimità, perchè non ostante le ripulse tu seguiti a dimandare, com’essa fece, nè mai ti stanchi, non deficis. Però tu vedi, che nissuna supplica fatta a Dio si può dire, che sia gettata: « Idem Dominus omnium, dives in omnes, qui invocant illum. — Desso è Signor di tutti, liberale in tutti que’ che l’invocano » (Lettera ai Romani 10, 12): « dive — liberale » in quei che ottengono: « dives — liberale » in quei che non ottengono. Perchè chi ottiene, riporta da lui quel bene, che gli addimanda: chi non ottiene, riporta il bene di averglielo dimandato; e così sempre ciascun da lui torna carico di ricchezze. E se ciò è vero, non ha dunque il Signore ragion di dire, che « Oportet semper orare et non deficere. — Fa d’uopo orar sempre, e non mai stancarsi »? Per questo « oportet — fa d’uopo »; perciocchè orando si sta a guadagno sicuro: se si lascia d’orare, allora si scapita.

III.

Considera, che supplicare il Signore è di ben sì esimio, che quando fosse riposto ancora in tua mano di conseguire l’istesso dono da Dio senza suppliche, tu non dovresti curartene; ma molto più dovresti desiderare di conseguirlo per via di suppliche. E la ragion è, perché nel primo caso faresti un guadagno solo, ch’è il benelizio, che tu da lui riportassi. Nel secondo tu ne fai due, che sono il benelizio, che ne riporti, ed il modo di riportarlo. Perchè, se ponderi bene, questo è il benefizio molto più nobile, esser da Dio fatto degno non solo di ricevere i doni dalla sua mano, ma d’impetrarli. Il ricevere è comune ancora alle bestie: « Aperis tu manum tuam, et imples omne animai benedictione. — Apri tu le tue mani, e ogni animale di benedizione ricolmi » (Salmo 145, 16). Mira i Giumenti, mira i Colombi, mira i Corvi, mira quei medesimi Passeri così vili, che sdegni di ricoverare sotto i tuoi portici; continuamente ricevono da Dio tutti ogni lor bene: « Unus ex eis non est in oblivione coram Deo. — Uno solo di questi non è dimenticato da Dio » (Vangelo di Luca 12, 6). Ma se tutti ricevono, niuno impetra. L’impetrare è sulla terra dovuto agli uomini soli; e però quando Iddio ti fa bene non supplicato, non ti dichiara con tal atto da più, che da meritevole di ricevere. Quando te lo fa supplicato, ti dichiara ancor meritevole d’impetrare. E questo è l’onore eccelso: « Elevabis ad Deum faciem tuam: rogabis eum, et exaudiet te. — Alzerai a Dio la tua faccia: lo pregherai, ed egli ti esaudirà » (Giobbe 22, 26). Di più, qualor senza suppliche tu ricevi alcun ben da Dio, rare volte lo riconosci. Non ti costò niente il riceverlo, e però lo dimentichi: lo disprezzi di tal maniera, che spesso ti vien ritolto, come ad ingrato. Ma non così quando tu l’abbia ottenuto per via di suppliche; allora costumi di essere più avveduto nel conservarlo. Sicchè è di molto maggior tuo pro, che il Signore ti benefichi supplicato, che senza suppliche: e però ti necessita a supplicarlo con tanta assiduità: Oportet semper orare, et non deficere.

IV.

Considera, posto ciò, che il maggior pregiudizio, che tu ti possa arrecare non impetrando, è lasciar d’orare; perchè non impetrando, tu perdi un dono; ma lasciando di orare, tu perdi un merito. E così persuaditi, che l’orare non ha da esser mezzo, ha da esser fine: e posto ciò si ha da fare più che si possa: Sine intermissione orate. Quando tu scorgi, che la mutazione dell’aria non ti conferisce punto a guarire dell’infermità, che ti fe’ partir dalla patria, tu risolvi di ritornarvi; ma ritornato, non però lasci di procurare egualmente la sanità. E per qual cagione? perchè la mutazion dell’aria fu da te voluta sì bene, ma come mezzo: e però solamente ad un certo segno, che la riputassi giovevole ad ottenere la sanità; ma la sanità è da te voluta qual fine, e però mai non tralasci di procurarla. Così è l’orare; è fine, non è mezzo; e però se non impetri, che importa a te? Hai già quello, che ti è più desiderabile, ch’è di essere ammesso a trattar con Dio. Ti par, che questo solo onore per sè non sia da stimarsi? Va in Corte, e guarda ciò che fanno quegl’intimi favoriti, a te già forse notissimi. Non tornano già sì spesso a trattar col Principe, affine di poter porgergli i memoriali, ch’han ricevuti or da un Cittadino, or da un altro; perciocchè questi più di, una volta non premono loro niente: ma tornano spesso a porgere i memoriali, affine di poter con tale occasione trattar col Principe. Questo è ciò, che ti hai da prefiggere ancora tu, quando torni ad invocare il tuo Dio. L’hai da invocar puramente per invocarlo. Misero chi da ciò si ritira per impazienza di non vedersi esaudito! S’impone da se medesimo quel gastigo, che Giobbe fulminò sull’uomo malvagio, allor ch’egli disse: « Numquid poterit in Omnipotente delectari, et invocare eum ornai tempore? — Forse potrà egli trovar consolazione nell’Onnipotente, e invocarlo in ogni tempo? » (Giobbe 27, 10). E posto ciò, non ti accorgi, quanto sia vero, che « Oportet semper orare, et non deficere Bisogna orar sempre e non mai stancarsi »? Or pensa poi, che sarà, mentre l’impetrare, orandosi in questa forma, è indubitatissimo, sol ch’egli sia di salute.

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