La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

XXII. GIORNO

Quali siano i peccatori che più tormentano il cuor di Dio, o sia gli abusi della grazia, e l’ostinazione.

« Servire me fecisti in peccatis tuis; praebuisti mihi laborem in iniquitatibus tuis. — Mi hai fatto servire ne’ tuoi peccati; mi hai recata fatica colle tue iniquità » (Isaia 43, 24).

 

I.

Considera chi sien questi, de’ quali si duole, come di uomini, che l’obbligano a servirlo ne’ loro peccati : Servire me fecisti in peccatis tuis. Generalmente sono tutti coloro, che per peccare si abusano di quei doni, ch’han ricevuti sì largamente da Dio, come autore della natura. Si abusano della libertà, si abusano dello spirito, si abusano del sapere, si abusano delle ricchezze, si abusano della sanità, si abusano della signoria, si abusano della bellezza, si abusano per dir breve di quelle forze, che loro aggiugne a far del male, se vogliono, lo stato più rispettato in cui Dio li tiene. Ma più specialmente sono ancora coloro, che per peccare si abusano di quei doni ch’han ricevuti da Dio, come autor della grazia. Tali sono quegli Ecclesiastici, i quali vorrebbono, che l’immunità del loro abito sagrosanto si trasformasse anche spesso in impunità. Tali quei, che tolgono ai poveri il loro pane, per donarlo a’ congiunti che M’han d’avanzo, o per darlo a’ cavalli, o per darlo a’ cani. Tali quei, che s’inducono a far bottega su’ benefizi, che talor loro tocca di conferire. Tali quei, che vendono, per dir così, i Sagramenti, mentre non si sanno ridurre ad amministrargli, se non sono a ciò tirati dall’interesse. Tali quei, che chieggon le Chiese per ambizione. Tali quei, che cercan le cure per avarizia. Tali quei, che anelano ai Pergami assai lucrosi, per far guadagno non di anime, ma di soldi. Se tu probabilmente non sei di questi secondi, quanto è facile almeno che sii de’ primi? E però guarda se pare a te ragionevole, che quel Dio, a cui dovresti servire con tanto affetto, debba con tanto obbrobrio (se pur così può mai dirsi) servire a te. E pur è certo, mentr’egli di sua bocca s’induce a parlar così, ch’egli del continuo ti serve ne’ tuoi peccati: non di buon grado, che però egli non dice : « Servivi tibi — io ho servito a te » : ma contra voglia, che però dice : « Servire me fecisti — Mi hai fatto servire ». Contuttociò pur è ridotto a servirti; perchè prestandoti egli copiosi i suoi doni, affinchè ti valga di essi a glorificarlo, tu per contrario gl’impieghi tutti, o quasi tutti, in offenderlo, mentre d’ordinario gl’impieghi affine di dar un esito più felice a’ tuoi rei disegni : « Ego confortavi brachia eorum; et ipsi in me cogitaverunt malitiam. — Io diedi vigore alle loro braccia, ed eglino pensarono a mal fare contro di me » (Osea 7, 15). E non ha dunque ragion grande il Signore di lamentarsi, con doglianza sì tenera, dello smacco, che tu gli fai? « Servire (che ti può egli mai dire di più afflittivo?) Servire me fecisti in peccatis tuis — Mi hai fatto servire ne’ tuoi peccati ».

II.

Considera, che se tutti i peccatori affliggono Dio, con obbligarlo, per così dire, a servirli ne’ lor peccati, i peccatori ostinati passano innanzi, ed arrivano insino ad affaticarlo. Non perchè il Signor sia capace di durar mai fatica in veruna cosa; che però non dice « laborare me fecisti — mi hai fatto affaticare », che disse anzi servire: ma perchè, se ne fosse per sè capace, la durerebbe: tanto i peccatori ostinati non mancano, per quello si appartiene alla parte loro, di somministrargliene un’abbondante materia; che però dice « praesebuisli mihi laborem —mi hai recata fatica ». Che se poi brami d’intendere in che consista questa fatica, consiste a parer de’ Santi in tre cose. I. Nella pazienza, con cui Dio sopporta tutto dì quelle ingiurie, che quanto son più continue, e più contumaci, tanto ancora riescono più insoffribili: « Laboravi sustinens. — Mi stancai di sopportarvi » (Isaia 1, 14). II. Nella longanimità, con la qual egli aspetta a penitenza coloro che glie le fanno: neppur gli aspetta, ma di più ancora gl’invita, gli anima, gli ammonisce, gli stimola: « Laboravi rogans. — Mi stancai di pregarvi » (Geremia 15, 6). III. Nella bontà, con la qual frattanto si mette ancora a difenderli da’ demonii, che si vorrebbono condurre ornai le loro anime nell’Inferno, come saria di ragione. Che però queste parole medesime, che qui ponderi: « Praebuisti mihi laborem in iniquitatibus tuis — Mi hai recata fatica colle tue iniquità », sono spiegate da’ Settanta così: « In iniquitatibus tuis defendi te — Io ti ho difeso dalle tue iniquità ». Rientra dunque con serietà in te medesimo, e mira un poco, se a sorte tu sia di questi che porgano al Signor loro sì gran fatica: e se tu sei, com’è dunque possibile, che nemmeno tu te ne accorga? « Laborare fecistis Dominum — Voi avete recata fatica al Signore ». Così diceva Malachia a’ suoi duri Ebrei. Ed essi non dubitavano di rispondergli arditamente: « In quo eum fecimus laborare? — In che gli abbiamo noi recata fatica? ». A tanto di cecità finalmente pervengono i peccatori, se tardano a ravvedersi.

III.

Considera, che se queste parole, ch’hai meditate, d’ogni tempo s’intesero bene, assai molto più s’ intendono adesso, quando il Signore vestito di umana carne, si è indotto a patir tanto, per salvar l’uomo. Mettiti dunque innanzi agli occhi Gesù, per te crocifisso, e miralo attentamente in un tale stato, di nudità, di dolore, di disonore, di abbandonamento. Allora sì, che intenderai pienamente ciò che vuol dire: « Servire me fecisti in peccatis tuis, praebuisti mihi laborem in iniquitatibus tuis — Mi hai fatto servire ne’ tuoi peccati; mi hai recata fatica colle tue iniquità ». E non ti servì egli pur troppo ne’ tuoi peccati, quando per salvarti da essi non dubitò di pigliar forma di servo, e di servo vile? « Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens. — Annichilò se stesso, presa la forma di servo » (Lettera ai Filippesi 2, 7). E non durò fatiche ancor gravissime, quando per amor tuo si ridusse a sostentarsi qual umile garzoncello in una bottega co’ suoi sudori? « Pauper sum ego, et in laboribus a juventute mea. — Povero son io, e in affanni fin dalla mia prima età » (Salmo 88, 16). E pure tutto ciò è un nulla, rispetto a quello ch’egli poi fece per te, quando oppose se stesso a guisa di scudo per salvar te da que’ dardi, che tanto giustamente ti sovrastavano dalla grand’ira divina, « et proferens servitutis sue scutum — e dato di mano allo scudo del suo ministero » (Sapienza 18, 21), come in figura d’esso sta scritto nella Sapienza, « restitít irae — si oppose all’ira », non solo con la pura orazione, come fe’ Aronne, ma con lasciarsi flagellar tanto altamente da capo a piedi, e trapanare, e trafiggere, e trucidare. Che però dove il latino Interprete dei Settanta, allegato di sopra, non disse più, che « In iniquitatibus tuis defendi te — Io ti ho difeso dalle tue iniquità »; hanno alcuni Santi tradotto con maggior enfasi : « In iniquitatibus tuis scutum opposui pro te —Per te mi posi scudo nelle tue iniquità » : tanto essi intesero questo luogo nel senso pur ora addotto letteralissimo di Gesù, fattosi per te vivo bersaglio all’ira di Dio. Ma s’è così, sarà dunque possibile che a tal vista non ti confondi? Certo almen è, che affine di corrispondere in qualche parte a sì buon Signore, non solamente tu sei tenuto a desistere dalle offese, che gli hai fatte sino a quest’ora, ma di più ancora a servirlo con la maggior fedeltà che si trovi al Mondo : ed a servirlo, non solo in ciò che non ti è di fatica alcuna, ma ancora in ciò che paia a te di gravissima. Oh quanto la tua pigrizia è abile a ritardarti dal travagliare per amor suo ! Se però tu vuoi scuoterla, che hai da fare? Pensar frequentemente a queste parole, che Dio ti dice di bocca propria : « Servire me fecisti in peccatis tuis; praemebuisti mihi laborem in iniquitatibus tuis — Mi hai fatto servire ne’ tuoi peccati; mi hai recata fatica colle tue iniquità » : e se bisogna, tenertele ancora scritte a piè del tuo Crocifisso, aflinchè quivi assiduamente ti vagliano, o di rimprovero, o di ricordo. Se il tuo Signore ti ha, come si è detto, servito tanto ne’ tuoi peccati, i quali non sono altro alla fine, che le tue voglie scorrette; non è ragione, che tu serva ora a lui, nell’adempimento de’ suoi voleri Divini, che son sì santi? E s’egli ha tanto faticato per te nelle tue iniquità, cioè ne’ peccati, non solamente attuali, ma abituali; non è dovere che tu fatichi incessantemente per lui nella propagazione della sua gloria?

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