La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

APRILE

XVIII. GIORNO

Sopra la morte.

 

« O mors, quam amara est memoria tua homini pacem habenti in substantiis suis! O morte, quanto è amara la tua memoria per un uomo, che in pace vive tra le sue sostanze! » (Ecclesiastico o Siracide 41, 1).

I.

Considera quanta sia l’infelicità di chi ha riposta la propria pace ne’ beni di questa Terra, nelle ricchezze, nelle comodità, nelle crapole, negli onori. Non può pensare alla morte; ch’è quanto dire, non può pensare a ciò, per cui solo è fatta la vita. E qual è il fine, per cui da Dio siam tenuti sopra la Terra? Perchè attendiamo a pigliarci i nostri piaceri, a scapricciarci, a sfogarci? No certamente. Vi siam tenuti, perchè ci apparecchiamo alla morte, che è quanto dire, a quel passo, da cui dipende un’eternità o di premio, o di pena. Non è dunque una somma infelicità non potere neppur pensarvi? Eppure così è di tutti coloro, che vivono tra molti agi: non san pensare a doversi un dì distaccarsene: O mors, quam amara est memoria tua homini pacem habenti in substantiis suis! Deplora la miseria, in cui si ritrova così gran parte di Mondo, e non la conosce.

 

II.

Considera, che questa miseria apparisce più da quei medesimi termini, ch’ora udisti. Perchè si dice, che a costoro riesce amara non solamente l’aspettazion della morte, ma la memoria: O mors, quam amara est memoria tua! Par che dovrebbe dirsi l’aspettazione, e non la memoria, perchè la morte è futura, e la memoria è delle cose preterite. Contuttociò non si dice, che l’aspettazion della morte a questi sia amara, perciocchè questi non se l’aspettano mai, o almeno mai non l’aspettano, non la dimandano, non la desiderano, non si dispongono ad essa; e interrogati, che facciano sulla Terra, non possono mai rispondere prontamente col santo Giobbe: « Expecto donec veniat immutatio mea. — Sto aspettando, che venga il mio cangiamento » (Giobbe 14, 14). Ma si dice bene, che ne sia loro amarissima la memoria, perchè se mai non pensano di proposito a quella morte, che lor succederà, non possano far di meno di non pensare a quella, ch’è già succeduta di giorno in giorno a più d’un di coloro, ch’essi conoscevano. Ora odono dirsi, ch’è morto loro un amico, ora ch’è morto un paesano, ara ch’è morto un parente, ora ch’è morto quel servidore, che appena infermo mandarono via di casa, perchè non avesse loro a morir su gli occhi; ed a quella rimembranza anche semplice di un tal male, a cui son essi soggetti, chi può dir l’amarezza di cui si colmano! subito van tra sè meditando qualche ragione, per cui promettersi di non avere a temerlo; e però non vogliono dir giammai che esso, ch’è morto, sia morto solo perciò, perchè era mortale. Se sono giovani, dicono che quegli è morto, perchè era carico di anni. Se sono gagliardi, dicono che quegli è morto, perchè era consumato di sanità. Se sono ricchi, dicono che quegli è morto, perchè era povero, non potè aver Medici, non potè aver medicine, non potè curarsi a ragione : e così sempre vanno adulando se stessi con qualche simile disparità mendicata. E perchè vanno adulandosi in questa forma? per medicar l’amarezza, di cui gli ha colmi la morte, solo affacciatasi alla lor mente. Quindi pur nascono mille superstizioni, con cui procedono in tutte le opere loro, nel vestirsi, nel viaggiare, nel cibarsi, a segno tale, che se invitati a banchetto, veggano quivi per disgrazia apprestato un numero di posate, secondo loro, ferale, non sosterranno di sedervi in eterno, benchè affamati. Tanto ogni loro dolce vien subito esacerbato da quell’amaro, che versa loro su ‘l pensiero la morte, benchè comparsa in una falsa immagine di se stessa. Or che sarà quand’ella giunga in persona?

 

III.

Considera, che quando giunga la morte recherà a questi un’amarezza sì strana, che sarà inesplicabile, perchè non dovrà staccarli dal corpo solo, ma dovrà staccarli altresì da tutti quei beni, che amavano, non solo al pari del corpo, ma più dell’anima; da quei guadagni, da quelle glorie, da quelle ricreazioni; e però oh che dolorosa separazione sarà mai quella! Allora sì, che i miseri dovran dire: « Siccine separas amara mors? — Così dunque ne distacchi, amara morte?» (Primo libro dei Re 15, 32). Perchè la morte non farà in essi un sol taglio; ne farà tanti, quanti sono quei beni, da cui gli dovrà distaccare: che però, « siccine separas — così ne distacchi », dovranno replicare ogni tratto, « siccine separas — così ne distacchi »? Separas da quei superbi Palazzi, in cui si abitava, separas da quelle Gallerie, separas da quei Giardini, separas da quelle Ville, separas da tanti deliziosi trattenimenti, separas dalle caccie, separas dalle commedie, separas dalle cene, separas dagli amori, separas dal parentado, separas dalla patria, separas dagli onori, dalle dignità, da’ dominii, da che non separas? Aggiugni, che questo taglio per loro sarà improvviso, sarà impensato, sarà del tutto novissimo, e però tanto farà di nuovo gridarli più acerbamente, « siccine separas? siccine separas — così ne distacchi? così ne distacchi »? ch’è quanto dire, nel corso appunto più prospero di fortuna, su ‘l favore dell’aura, sul fior degli anni? « Siccine separas amara mors — Così ne distacchi, amara morte »? Quanto meglio dunque farebbero gl’infelici a cominciare a poco a poco a staccarsi spontaneamente da quelle cose, da cui se non si distaccano per amore, saranno al fine distaccati per forza, con tanti tagli, quanti ora sono gli attacchi!

 

IV.

Considera, che questo sì necessario distaccamento de’ beni umani si può fare in due forme, coll’affetto, e coll’effetto: coll’effetto, rinunziandoli tutti per Dio prima di morire: coll’affetto ritenendoli seco sino alla morte, ma non amandoli. Di certo basta distaccarsene coll’affetto, che però il savio non dice: « O mors, quam amara est memoria tua homini possidenti substantias suas. — O morte, quanto è amara la tua memoria per un uomo, che possiede le sue sostanze» ! dice solo « pacem habenti — che vive in pace ». Ma oh quanto è meglio, se si può, distaccarsene, non solo coll’affetto, ma coll’effetto! E perchè? perchè ritenerli, e non amarli è prodigio. Sai per qual cagione il Mondo ha chiamate sostanze questi suoi beni? Perchè ha creduto di non poter mai sussistere senza di essi. Però fin a tanto che non arriva a provare, che senza d’essi anche può sussistere, e trovar contento, e trovare consolazione, non sa lasciare di amarli. Ma vuoi veder, che s’inganna? Rinunziali, e proverai, che Dio solo ti basterà a tenerti allegrissimo. Sia questo in luogo di tutte quelle sostanze, ch’or tu possiedi. Sia egli ogni tuo sollazzo, sia egli ogni tua gloria, sia egli ogni tuo guadagno; e così quando verrà la morte per te, non dovrà recarti dolore, perchè non avrà che levarti. Vuoi tu per sorte, ch’ella ti tolga il tuo Dio? Non te lo leverà, te lo recherà, perchè te lo sarai guadagnato con ridurti per esso a vivere in povertà, a vivere in purità, a vivere in ubbidienza, ch’è quanto dire, a dedicargli in un tempo ogni tua sostanza: Substantia mea apud te est (Salmo 38, 8). Questo è da molti riputato un morire innanzi alla morte; ma è un vero vivere. Anzi, se questo è un morire innanzi la morte, per questo medesimo è più degno di essere eletto, perchè è la vera disposizione al morire: « Beati mortui, qui in Domino moriuntur. — Beati i morti, che muoiono nel Signore » (Apocalisse di Giovanni 14, 13).

 

V.

Considera, che quando più tu non possa lasciar per Dio tutte le proprie sostanze, convien che almen daddovero ti aiuti a lasciar di amarle: Divitiae si affluant, nolite cor apponere (Salmo 61, 11). E come lo potrai fare? Con pensare ogni giorno, ch’ hai da lasciarle, siccome quelle, che se « affluunt — vengono in copia », ancora « fluunt — presto sen vanno ». Così la morte cesserà a poco a poco di esserti tanto amara; nè solo più non temerai la memoria così vilmente, ma nemmeno l’aspettazione. Perchè il pensiero della morte è simile a quel volume, che da Dio fu posto in bocca al Profeta Ezechiello, affinchè mangiasselo: Comede volumen istud (Ezechiele 3, 1). Al primo saggio egli riesce amarissimo: ma poi masticato a poco a poco riesce ognor più soave: Factum est in ore meo sicut mel dulce. Chi pensa spesso alla morte, distacca il cuore da tuttociò, che la morte gli può levare, e così si avvezza a sprezzarla.

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