La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XVI. GIORNO

Sopra il « Pater noster » in generale.

« Sic ergo vos orabitis: Pater noster qui es in Coelis, etc.  — Voi dunque pregherete così: Padre nostro, che sei ne’ Cieli, etc. » (Vangelo di Matteo 6, 9).

 

I.

Considera, che se quel figliuolo stesso del Re, presso cui risiede 1′ immediato maneggio del principato, ti dettasse egli di sua bocca la supplica, la quale tu devi porgere al Re suo padre, certa cosa è, che nessun’altra tu ne andresti a cercare più abile ad impetrar ciò, che addimandi. Tal è per tanto la famosa Orazione, detta da noi volgarmente del Pater noster, che piacemi or di proporti da meditare per tuo gran pro. Ella è una supplica da presentarsi a Dio Padre: ma supplica, che ci fu dettata da Cristo di bocca propria : da Cristo dico, che non solo è figliuolo di sì gran Re, e figliuolo, su cui si appoggia l’immediato maneggio del Principato : ma figliuolo ancora, che fa presso l’istesso Re l’Avvocato nostro, Avvocato amantissimo, onde non si può dubitare, che non abbia voluto insegnarci il modo di chieder bene; ed Avvocato avvedutissimo, onde nemmen può temersi che volendocelo insegnare non abbia saputo farlo. Mira però se verun altra più sicura di questa potrai trovarne. E tu tante volte t’invaghisci delle altre affannosamente, e trascuri questa, che avanza di tanto l’altre, quanto l’Oceano avanza tutti i fiumi, anche usciti dal Paradiso ! Se fai così, ti meriti di udire anche tu da Cristo : « lrritum fecistis mandatum Dei propter traditionem vestram. — Voi avete annichilato il comandamento di Dio a cagion della vostra tradizione » (Vangelo di Matteo 15, 6). Animati pertanto ad usare questa Orazione incessantemente, e per poterla usar come si conviene, disponti fra te stesso ad intendere quanto vaglia, con darle innanzi un’occhiata più generale, come si fa sul primo ingresso di una villa magnifica, e con andare dipoi riconoscendola a parte a parte.

II.

Considera come affine che un’Orazione sia valida ad impetrare, conviene, ch’ ella in prima sia retta nelle dimande: « Oratio est petitio decentium a Deo. — Orazione è la domanda a Dio di cose convenienti ». Perchè se nemmeno a un re della terra si porgono suppliche irragionevoli, o inette, quanto meno si hanno da porgere al Re del Cielo? E tale è questa Orazione Dominicale. E’ Orazion rettissima. Perciocchè due cose son quelle, che a Dio si possono chiedere rettamente. L’una è, che ci dia quello, ch’è vero bene; ch’è ciò che chiamasi propriamente Orazione. L’altra, che ci salvi da quello, ch’è vero male; ch’è ciò che più propriamente si chiama deprecazione. E queste son le due cose, che qui chiediamo; se non che quanto al bene, non ci contentiamo di chiedergli solo il ben nostro, ma ancora il suo : anzi il suo più ancora, che il nostro. E perché il ben suo non può esser altro che la sua glorificazione estrinseca, questa glorificazione appunto noi gli addimandiamo con dire: « Sanctificetur nomen tuum. — Sia santificato il tuo nome ». Il ben nostro poi è di tre generi, ben celeste, ben spirituale, e ben temporale. Il celeste dee dimandarsi assolutamente, e ciò facciamo dicendo : « Adaveniat regnum tuum. — Venga il tuo regno ». Lo spirituale dee dimandarsi secondo ciò, che più ci conduce a conseguire il celeste. E ciò facciamo dicendo: « Fiat voluntas tua, etc. — Sia fatta la tua volontà, ecc. ». Il temporale dee dimandarsi fin a quel segno, che non si opponga allo spirituale, ma che l’aiuti. E ciò pur facciamo dicendo : « Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. —Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». Quanto al male poi dobbiamo a Dio chiedere, che ci salvi da tutto quello, il quale è contrario al bene pur ora detto. Ora il ben di Dio, che fu il primo, non teme contrario alcuno, perciocchè nessuno può punto diminuirglielo: « Si peccaveris, quid ei nocebis? — Se tu peccherai, qual danno farai a lui? » (Giobbe 35, 6). Anzi come Iddio cava gloria da quell’onore, che gli rendono gli eletti, così ne cava altrettanto da quel disonore, che gli vien fatto da’ reprobi : mentre nel medesimo tempo, con pari mostra della sua Onnipotenza, e rimunera quelli, e punisce questi. Ond’è, che quanto a lui non gli chiediam, che sia salvo da male alcuno, mentr’egli è libero da sì funesto bisogno. Gli chiediam solo, che salvici da quel male, il qual è contrario al ben nostro. E perchè al celeste (ch’è la consecuzione del Paradiso) è contrario solo il peccato : però diciamo : « dimitte nobis debita nostra — rimettici i nostri debiti ». E perchè allo spirituale è di sua natura contraria la tentazione, però diciamo : « Et ne nos inducas in tentationem — E non ci indurre in tentazione ». E perchè al temporale è di sua natura contraria ogni avversità, però diciamo : « Sed libera nos a malo — Ma liberaci dal male ». Se dunque tu ben osservi, rimiri qui una rettitudine somma nelle dimande. E s’è così, come vuoi dunque dubitar punto, che Iddio non l’esaudisca? « Qui retta loquitur, diligetur. — Chi parla secondo equità, sarà amato » (Proverbio 16, 13).

III.

Considera come affine che l’Orazione sia sicura, dev’essere non solo retta, ma regolata, perchè l’Orazione è interprete de’ desideri. E però qual sarà colui, che voglia esaudire, chi desideri più quello, che va desiderato assai meno, o chi desideri meno quello, che va desiderato assai più? Ecco però come Cristo ha ordinato bene quelle dimande, che dobbiamo a Dio presentare nella nostra supplica. Le ha ordinate secondo l’ordine, che noi dobbiamo tenere ne’ desideri, giacchè pur troppo è naturale a ciascuno l’addimandar prima quello che più desidera. Così tu vedi, che quanto al bene, prima egli fa, che qui chiediamo il Divino, e poi il nostro. E quanto al nostro bene medesimo, prima egli fa, che gli chiediamo il celeste, poi lo spirituale, poi il temporale. Il celeste è il nostro fine, cioè il suo Regno : e però egli ha il primo luogo. Lo spirituale sono i mezzi da conseguir un tal fine, cioè l’adempimento della sua volontà: e però si pon nel secondo. Il temporale sono i sussidi, che agevolano tali mezzi, cioè il nostro pane quotidiano : e però si pone nel terzo. E quanto al mal parimente, prima egli fa che chiediamo d’esser liberi dal peccato, che si oppone al ben celeste, poi dalle tentazioni, che si oppongono allo spirituale, e poi dalle avversità, che si oppongono al temporale. E posto ciò, non devi tu concepire una gran fiducia di essere esaudito, mentre ori in sì fatta guisa? Iddio vede che non solo sei retto nei desideri, ma regolato. Adunque di che sospetti? « Desiderium suum justis dabitur. — I giusti otterranno quel che desiderano » (Proverbio 10, 24). Ma chi è mai più giusto in desiderare, che chi non solo desidera quello che va desiderato, ma di più lo desidera con quell’ordine, con cui deve desiderarsi? « Ordinavit in me charitatem. — Dispose in cuor mio la carità con ordine » (Cantico dei Cantici 2, 4). Questa è nell’uomo la melodia più delicata, e più dolce, ch’egli offra a Dio : il concerto de’ desideri. Ma che altro intendesi per Orazion regolata?

IV.

Considera come affine che l’Orazion sia sicura, dev’essere di più concepita con gran fiducia : perchè ciascun di noi prova per esperienza quanto c’inviti ad esaudir le dimande giuste, il veder che chi ce le porge confida assai nella nostra amorevolezza, e però ce le porge con animo, con affetto, e con brevità. Laddove chi fa l’opposto, ci disamora dal fargli bene. E pur noi siamo tutti di razza sì permalosa. Che sarà dunque di quel Dio, che si gloria di essere sopra tutti inclinato al beneficare? « Erit tibi anima tua in salutem, quia in me habuisti fiduciam. — Tu salverai l’anima tua, perchè hai confidato in me » (Geremia 39, 18). Vedi pertanto come queste dimande sono a Dio proposte, con animo, con affetto, e con brevità, che sono i tre requisiti a costituire una supplica confidente. Sono proposte con animo : che però altri termini non usiamo che questi : « Sanctificetur. Adveniat. Pial. Da. Dimitte. Ne inducas. Libera. — Sia santificato. Venga. Sia fatta. Dacci. Rimettici. Non c’indurre. Liberaci ». Termini, che potrebbono apparir poco meno che imperiosi, se non ci fossero suggeriti da Cristo, per farci intendere, che chi dimanda a Dio cose giuste, non le dee mai dimandar con esitazione, come si fa quando si dimanda agli uomini : « Postulet autem in fide, nihil haesitans. — Ma chieda con fede senza mai esitare » (Lettera di Giacomo 1, 6). Sono proposte con affetto : perchè scaturendo l’affetto da quella dolcezza di carità, che si mostra con Dio, e con gli uomini, ecco che ad insinuare la carità verso Dio, diciamo qui « Pater — Padre », e ad insinuare la carità verso gli uomini, diciamo « Pater noster — Padre nostro », e non solo aggiugniamo « dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris — rimettici i nostri debiti, come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore », ma di più quello, che addimandiamo per noi, addimandiamo similmente per tutti, orando sempre in plurale, come si fa quando cantasi a coro pieno. E sono altresì proposte con brevità, mentre tutto ciò che si chiede, non si può chiedere con formole più succinte, nè più spedite. E con ciò dimostrasi una fiducia grandissima. Perchè l’usare di circonlocuzioni, come si costuma co’ principi della terra, è segno assai manifesto di diffidenza. Ond’ è, che in questo proposito disse Cristo : « Orantes autem nolite multum loqui — Non vogliate nelle vostre orazioni parlar molto » : non disse « multum orare, multa petere, multa precari — pregar molto, dimandar molte cose, porgere molte suppliche », ma « multum loqui — parlar molto », e « multum loqui sicut Ethnici — parlar molto come i Pagani », i quali si persuadevano di muover gli Dei loro con l’eloquenza : « putant enim quod in multiloquio suo exaudiantur — imperocchè essi si pensano d’essere esauditi mediante il molto parlare » (Vangelo di Matteo 6, 7). Quello che ci fa esaudire da Dio, non sono le parole, ma il desiderio : « Desiderium pauperum exaudivit Dominus. — Il Signore esaudì il desiderio dei poveri » (Salmo 10, 37). E questo può durar quanto piace : anzi se si dee sempre orare, come pur Cristo impose, dee durar sempre.

V.

Considera come la fiducia richiesta nell’Orazione non conviene che fondisi mai da noi sui meriti nostri, ma puramente sulla bontà del Signore. E però affinchè l’Orazion sia sicura, ricercasi finalmente, ch’ella provenga da un cuore pieno di spirito d’umiltà: « Oratio humiliantis se, nubes penetrabit. — L’Orazion di colui che si umilia, penetrerà le nubi » (Ecclesiastico o Siracide 35, 21) : perchè, secondo il nostro modo d’intendere, sa ella gire infimo a ritrovare i latiboli dell’Altissimo, e questa umiltà apparisce mirabilmente nell’Orazione insegnataci qui da Cristo. Perchè la vera umiltà consiste in diffidar affatto di sè, come miserabile, e in aspettar tutto il bene da Dio. E chi usa questa Orazione così dimostra : perchè non solamente dimostra d’aspettar da Dio solo ogni bene possibile, ma da Dio solo la liberazion d’ogni male, e passato, e presente, e futuro, a cui del pari con umiltà presuppone di star soggetto. Ben ebbe adunque il Signore ragione grandissima quando disse : « Sic orabitis — Voi pregherete così ». Perciocchè questo è il vero modo di orare, per essere esaudito. Non disse, « his verbis orabitis — pregherete con queste parole » : per non escludere altre Orazioni diverse, quali sono quelle, che santamente recita ogni giorno la Chiesa, intenta a sollevare Io spirito de’ fedeli con la varietà delle formole. Ma disse « sic — così », per avvisarci, che affinchè le altre formole sieno buone a impetrare, hanno ad essere tutte conformi a questa; conformi nella qualità delle dimande, e nell’ordine, e conformi nella fiducia del domandare, e nella umiltà. E però vuole S. Agostino, che a questa sola Orazione sia di necessità, che riducansi tutte le altre, se sono buone. Se non che questa si dovrà ancora stimare migliore dell’altre, mentre ella è la norma di tutte : « Sic orabitis — Voi pregherete così ». Non si prefigge la norma nel lodar Dio, perchè le lodi, che sono ad esso dovute, non hanno termine : « Exaltate illum quantum potestis, major enim est omni laude. — Esaltatelo quanto potete, perocchè egli è maggior d’ ogni lode » (Ecclesiastico o Siracide 43, 33). Ma si prefigge la norma di supplicarlo; perchè le dimande hanno a star tutte ne’ termini qui prescritti da Gesù Cristo, il quale però disse qui : « sic orabitis — voi pregherete così », e nè qui, nè altrove disse mai, « sic laudabitis — voi loderete così ».

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