La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

AGOSTO

 

XVI. GIORNO

Con qual premio ricompensi il Signore chi fatica per lui.

« Venite ad me omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos. — Venite a me voi tutti, che affaticate, e siete aggravati, ed io vi ristorerò » (Vangelo di Matteo 11, 28).

 

I.

Considera chi sieno costoro i quali faticano, e poi in cambio di ricevere premio, ricevon peso : Laborant, et onerati sunt. A parlare ampiamente, ma veramente, son tutti quei che ricercan la loro consolazione ne’ beni detti di Mondo, quali sono voluttà corporee, grandezze, gloria, ricchezze, e più altri tali, se pure ve ne son altri, che a questi non si riducano. Certo è, che tutti costoro durano fatiche grandissime a ritrovare una tale consolazione, perchè la cercano dove non può ritrovarsi, essendo i suddetti beni, qualunque sieno, simili all’acque salmastre, che non son atte ad ismorzare la sete, ma ad inasprirla : « Omnis, qui bibet ex aqua hac, sitiet iterum. — Tutti quelli che bevono di quest’acqua, torneranno ad aver sete » (Vangelo di Giovanni 4, 13). E però scorgi, che più costoro hanno soddisfatto il loro corpo, più bisogna che cerchino nuovi modi di soddisfarlo, atteso che gli ordinari già si hanno a vile: più hanno di grandezze, più aspirano ad avanzarsi, più han di gloria, più ambiscono di apparire, più posseggono di ricchezze, più studiansi parimente di accumularne; e così durano a tante fatiche estreme : « In moltitudine viae tuae laborasti; non dixisti: Quiescam. — Nella moltitudine de’ tuoi disegni ti sei affaticato, e mai dicesti : mi darò posa » (Isaia 57, 10). Tanto più, che sì fatti beni nè anche si possono da veruno mai conseguir senza grave costo, non sol della sanità, che però si logora, ma talvolta ancor della vita. E pur chi lo crederebbe? Questi medesimi, di cui noi qui ragioniamo, dappoi che hanno faticato così altamente, in cambio di ricevete il premio delle loro fatiche, ch’è quanto dire, in cambio di ricevere quella consolazione, alla quale le indirizzavano, ricevon peso, perchè si vengono a caricar di peccati ancora gravissimi, e con ciò dànno al loro male anche l’ultimo compimento : « Laborant, et onerati sunt — Affaticano, e sono aggravati ». E pare a te che per ventura i peccati sien lieve peso? Anzi eglino sono il peso maggior di tutti: « lniquitates meae sicut onus grave gravate sunt super me. —Le mie iniquità mi premono come grave peso » (Salmo 38, 5). Ogni peso assai grave ha tre qualità. Affligge, abbatte, e fa talvolta cadere, anche in precipizio. E così fanno i peccati. In prima certo è, che ti affliggono più di qualunque altro peso; perchè qualunque altro peso ti fa sotto di sè puramente gemer il corpo, questi ti fan gemer il cuore, con sollevarti in esso quell’alta ambascia che dà la inala coscienza : « Rugiebam a gemitu cordis mei. — Sfogava in ruggiti l’ambascia del mio cuore » (Salmo 38, 9). Dipoi ti abbattono altresì più d’ogni altro, perchè ti snervano quelle forze che sono le più stiinabili, voglio dir le spirituali, rendendoti affatto inabile a far del bene: « Devoratum est robur eorum, et facti sunt quasi mulieres. — Se n’è andato il loro valore, e sono divenuti come femmine » (Geremia 51, 30). E ultimamente ti fanno tracollare in un precipizio il più spaventoso di tutti, ch’è il baratro dell’Inferno, dove chi cade non può in eterno sperar mai più di risorgerne : « Gravabit eum iniquitas sua, et corruet, et non adjiciet ut resurgat. — Sarà a lui grave peso la sua iniquità, e cadrà, nè potrà più rialzarsi » (Isaia 24, 20). E così non ti sembra pur troppo vero, che questi, i quali cercano la loro consolazione ne’ beni di questo Mondo, sono coloro i quali faticano, ancor gravissimamente, e poi in cambio di ricevere premio, ricevon peso : Laborant, et onerati sunt? Che se per disgrazia tu fossi appunto un di questi, ch’hai qui da fare? Procurar davvero di apprendere la miseria di un tale stato, affine di disporti ad uscirne.

II.

Considera, che se ami veramente di uscire da un tale stato, tu lo puoi fare, ancor con facilità: e per qual cagione? Perchè hai subito pronto il ricorso a Cristo, che ti darà quello che vanamente tu cerchi altrove. Eccoti però qui l’ invito amorevolissimo di sua bocca: « Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos — Venite a me voi tutti, che affaticate, e siete aggravati, ed io vi ristorerò ». Oh che parole da farti scoppiare il cuore per tenerezza! Ma prima di passar oltre, fermati in queste tre: « Venite ad me omnes — Venite a me voi tutti », e pensa attento fra te, chi sia. che ti chiama. E’ il tuo medesimo Dio, il quale non ha bisogno alcuno di te. E nondimeno egli stesso, egli è che si degna di dir Venite, nè sol Venite, ma Venite anche a me, nè solo Venite a me, ma Venite tutti; Venite ad me omnes. Di ragione toccherebbe a te, che sei un verme vilissimo della terra, di supplicare il Signore con calde istanze a compiacersi di darti luogo nel numero de’ suoi servi: e pur egli è il primo a invitarti con dir Venite. Dipoi, chiamandoti, ti potrebbe chiamare affin di comunicarti quei soli doni che sono distinti da lui, sieno di grazia, sieno di gloria : ma non è pago di ciò; ti chiama affin di donarti anche se medesimo, che in sè contiene ogni bene, cioè affine di donarti un bene infinito; e però dice Venite, e « Venite ad me — Venite a me ». E finalmente, chiamandoti egli affine di donarti un tal bene, potria chiamarti, quando in te scorgesse alcuna disposizione da te premessa per meritarti così onorevole chiamata; ma ti chiama, con tutto che ti vegga anche indispostissimo, tanto ama di prevenirti; e però non solo dice: « Venite ad me —Venite a me », ma di più dice ancor «omnes— voi tutti », e il dice senza eccezione. Che sarebbe pertanto, se facendoti egli un invito così cortese, tu per contrario non ti degnassi dì ammetterlo? Non avrebbe egli una ragione giustissima di dolersi, con dire appunto di te: « Servum meum votavi, et non respondit, ore proprio deprecabar illum. — Chiamai il mio servo, e non mi rispose, benchè il pregassi di propria bocca »? (Giobbe 19, 16).

III.

Considera con quanta ragione, chiamandoti Cristo a sé, ti prometta di reficiarti. E così, ponderate le tre parole pur ora dette: « Venite ad me omnes — Venite a me voi tutti », trapassa in ultimo a quelle ch’or sole restano a meditare: « Et ego reficiam vos — Ed io vi ristorerò ». La refezione è doppia, l’una negativa, l’altra positiva, ed ambedue ti promette qui Cristo con tali parole. La negativa sarà lo sgravamento dal peso, e cllla fatica. Perchè se accetti l’invito che ti fa Cristo, primieramente egli scaricherà la tua anima da que’ peccati, che al presente la tengono tanto oppressa : « Et erit in die illa, auferetur onus de humero tuo. — E in quel giorno sarà tolto dalle tue spalle il peso » (Isaia 10, 27). E poi ti libererà da tante fatiche, quante son quelle, che ora duri, ma vanamente, in cercare ne’ beni umani quella consolazione, la qual non può ritrovarsi se non in Dio : « Et erit in die illa, cum requiem dederit tibi Deus a labore tuo. — E in quel tempo, allorchè Iddio ti avrà dato di respirare da’ tuoi travagli » (Isaia 14, 3). L’ altra refezion poi, che a questa si aggiungerà, sarà, come abbiamo detto, la positiva: e questa refezione consisterà, sì in colmarti il cuore di quella consolazione che senza frutto tu andavi cercando altrove, che però è scritto : « Qui replet in bonis desiderium tuum — Che sazia co’ beni suoi il tuo desiderio » (Salmo 103, 5); sì in operare in te tre effetti contrari a quei che cagionavati il peso delle tue colpe. Perchè dove quelle ti tenevano afflitto con quell’angoscia, che dà la mala coscienza, egli ti terrà allegro con quella quiete che dà la buona : « Cogitationes meae dissipatae sunt, torquentes cor meum, noctem verterunt in diem. — I pensieri che crucciavano il mio cuore sono svaniti, cambiarono la notte in giorno » (Giobbe 17, 11). E dove quelle ti snervavano affatto a ben operare, egli ad un tratto ti renderà vigoroso coi conforti interiori di quella grazia, che spezialmente egli infonde ne’ Sagramenti, che son quell’acqua sì famosa, chiamata di refezione, che rimette a un tratto le forze : « Super aquam refectionis educavit me: animam meam convertit —Mi ha allevato a un’acqua di ristoro : convertì l’anima mia » (Salmo 23, 2), cioè « convertit — la convertì » di debile in poderosa. E dove quelle finalmente ti avrebbono fatto precipitar sino in perdizione, egli ti ergerà per contrario a speranze certe di quella gloria che ti tiene apprestata in Cielo, dove è per ultimo la refezione perfetta: « Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus — Mi sono rallegrato di ciò che mi è stato detto : noi anderemo nella casa del Signore ». Che s’è così, non ti pare ornai ch’abbia Cristo ragione di dire: « Venite ad me omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos — Venite a me voi tutti, che affaticate e siete aggravati, ed io vi ristorerò »? Vero è, che l’uomo, se ben riguardasi, è nato per faticare: Homo nascitur ad laborem (Giobbe 5, 7). E però qualche fatica dovrai durare altresì nel Divin servizio, mercè l’esatta osservanza che Dio ricerca de’ suoi precetti. Ma vedrai quanto più leggiera fatica è quella, che si tollera in servir lui, di quella che si sopporta in servire il Mondo : « Liberati a peccato — Liberati dal peccato » (Lettera ai Romani 6, 18), ch’è il peso duro, « servi fatti estis justitiae — siete divenuti servi della giustizia », ch’è il soavissimo. Prima però fia necessario d’udire quali sieno quei termini ch’usò Cristo in questo luogo medesimo, nell’invitarci ad una tale osservanza : e così essi ti suggeriran la materia da meditare nel dì seguente.

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