La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XV. GIORNO

Santa Teresa.

Modo di ben fare l’ orazione vocale.

« Sicut pullus hirundinis sic clamabo: meditabor ut columba.  — Io griderò qual tenero rondinino : gemerò qual colomba » (Isaia 38, 14).

 

I.

Considera con quant’ansia l’avido rondinino, dentro il suo nido, apre la bocca gridando verso la madre, per notificarle la brama, ch’egli ha di cibo. Se ben rimiri, vedrai, che fra tutti i teneri pulcinetti, nessuno a proporzione l’apre forse più largamente. Però non ha dubbio, che egli molto bene ti vale a rappresentar quella istanza, con cui tu devi ogni giorno supplicar Dio, quando recitando le tue orazioni vocali, gli chiedi ciò, che torna specialmente in pro del tuo spirito; giacchè ciò solo deve esserti il cibo caro : « Sicut pullus hirundinis sic clamabo — Io griderò qual tenero rondinino ». Ma che vale, che la lingua affatichisi in chieder molto, se chiede sola? Convien che la mente uniscasi con la lingua : « Si orem lingua, spiritus meus orat — Se io fo orazione con la lingua, il mio spirito ora » ; cioè « flatus meus — il mio fiato » ; « mens autem mea sine fructu est. Quid ergo est? Orabo spiritu, orabo et mente — ma la mente mia riman priva di frutto. Che farò adunque? Orerò collo spirito, orerò colla mente » (Prima lettera ai Corinzi 14, 14). Però nell’istesso tempo, che tu a Dio gridi qual avido rondinino, hai da meditare qual attenta colomba, che manda gemiti dall’ intimo del suo petto : Meditabor ut columba. Ma che vuol dir qui meditare? Vuol dir discorrere sopra ciò, che tu chiedi a Dio, e procurare di penetrar bene il senso delle parole che a lui indirizzi, la forza, il fine, e tutto ciò che vale a rendere le istanze tue più giovevoli. E non è forse cosa di gran rossore, veder che tu da tanto tempo già reciti il Pater noster, e che non sii contuttociò giunto ancora ad intenderne bene il senso? Se vuoi però sapere in poche parole donde nasca un tale male, nasce da ciò, che tu qualvolta lo reciti, gridi qual rondine, non mediti qual colomba: Sicut pullus hirundinis sic clamabo: meditabor ut columba. 

II.

Considera, che il meditare, parlando in genere, altro non è che il pensare con attenzione. Ond’è, che talvolta è tolto in senso anche reo. « Iniquitatem meditatus est in cubili suo. — Meditò nel suo letto l’iniquità » (Salmo 36, 5). Tuttavia tra noi di presente è un tal vocabolo, come proprio assegnato alle cose pie. Però in tre modi tu puoi per cagion d’esempio pensare alle petizioni, ch’hai tutto dì sulle labbra, del Poter noster. Puoi pensarvi senza alcuna sorta di applicazione al significato. E questo è un puro pensare. Puoi pensarvi con applicazione al significato, ma per cavarne qualche concetto ingegnoso : come si fa ancor da quei detti, che non san sacri. E questo è puro studiare. E puoi pensarvi con applicazione al significato, non per curiosità, ma per eccitare in te il sentimento di divozione. E questo oggi addimandasi meditare. Hai tu osservato ciò che succede nel tuo fiorito orticello? Sulle medesime rose volan le mosche, volan le canterelle, volano le api. Ma molto diversamente. Le mosche non fann’altro che passare di rosa iri rosa. E però di lor non può dirsi nulla di più se non che vi volino: e tale è il puro pensare. Le canterelle vi volano, e vi si posano, ma per cavarne ciò che vaglia solo a nutrirle ordinariamente : tal è il puro studiare. L’api vi volano, vi si posano anch’esse all’istesso modo, ma per trarne solo quel sugo più delicato, e più dolce, che forma il mele. E tal figurati, che appunto sia il meditare. Quindi è che il meditare ancor egli è studio : ma non è di solo intelletto : è d’intelletto insieme, e di volontà. E questo è ciò che devi far quando reciti il Pater noster. Cercare d’ intendere, più che puoi, l’alto senso delle preghiere che porgi a Dio, ma affine di giovar frattanto allo spirito, con affetti ora di fiducia, or di confusione, or di compunzione, or di amore, che sono quegli, onde formasi il mele eletto, chiamato di divozione. Quando tu, nel modo ora udito, applicherai l’intelletto insieme e la volontà su ciò, che tratti con Dio; allor dirassi propriamente che mediti: siccome appunto della colomba si dice, che allora mediti anche essa, quando al tempo medesimo pensa, e geme: « Quasi columbae meditantes gememus. — Gemeremo meditando come colombe » (Isaia 59, 11).

III.

Considera come a te forse parerà grave uno studio tale, benchè ordinato a puro nutrimento di spirito. E però dirai, che il meditare non è buono, che è meglio assai il contemplare, giacchè dalla contemplazione si cava per una parte l’istesso frutto, che caverebbesi dalla meditazione, e ancor maggiore, e per l’altra si cava senza fatica, nè si dà in essa occasione alcuna allo spirito di distrarsi o di disseccarsi, come gli si dà nella meditazione, che troppo è più di suo genere laboriosa. Ma se tu parlassi così, ti mostreresti per verità poco esperto nella scuola dell’Orazione; perchè erreresti ne’ suoi primi elementi. E qual è mai la differenza, che passa tra la meditazione, e la contemplazione almeno ordinaria? Secondo tutti la differenza si è, che la contemplazione è senza dubbio una meditazione ancor essa, ma una meditazione adulta, avanzata, la quale non si fa più con un lungo discorso, come si faceva una volta, ma con una semplice occhiata, che non dà pena, anzi infonde un gaudio grandissimo, benchè or maggiore, or minore, secondo i gradi d’amore, a’ quali ella è giunta. Come vuoi però con una semplice occhiata arrivar di lancio ad intendere tutto ciò, che non hai prima procurato d’intendere a parte a parte? La Sposa basta ch’oda nominare il suo Sposo e senza più si sente tutta distruggere di dolcezza : Totus desiderabilis: talis est dilectus meus. — Egli è tutto desiderabile : tale è il mio diletto » (Cantico dei Cantici 5, 16). Ma perchè ciò? Perchè già prima si è trattenuta lungamente a distinguere ad una ad una tutte le fattezze di lui, e a disaminarle con una compiacenza individuale in ciascuna d’esse : « Caput ejus aurum optimum: comae ejus sicut elatae palmarum: oculi ejus sicut columbae, etc. — Il capo di lui oro ottimo : le chiome del suo capo come l’ involto de’ fiori delle palme : gli occhi di lui come colombe, ecc. » (Cantico dei Cantici 5, 11). E tu vuoi tosto aver i doni più eminenti di amore nell’ Orazione, senza aver prima faticato assai bene per guadagnarteli, meditando? Oh quanto vivi ingannato ! Nella contemplazione si gode il fuoco dell’amor Divino, ch’è sì soave, non può negarsi ; ma nella meditazione egli suole accendersi : « In meditatione mea exardescet ignis. —Un fuoco divamperà nella mia meditazione » (Salmo 39, 3). E però non ti vergognare di far ancora tu, come dicea : « Sicut pullus hirunclinis sic clamabo: meditabor ut columba — Io griderò qual tenero rondinino : gemerò qual colomba » : altrimenti nelle occasioni di vincere te medesimo ti avvedrai, che l’Orazione, da te affettata, è una pianta bensì da frondi, e da fiori, ma non da frutto; perchè non ha messe in te le radici ferme.

IV.

Considera come questa dottrina, ch’hai qui sentita, è tratta da’ principi di quella Santa che nella sublimissima scuola dell’Orazione è divenuta a’ giorni nostri maestra sì accreditata : cioè di S. Teresa. Ella comparve già nella Chiesa il passato secolo, qual amabile rondinella, annunziatrice di prossima primavera. Perchè a’ suoi giorni, anzi per suo consiglio, e per sua cooperazione, rifiorì quel grande ordine del Carmelo, che nato (come dicono) il primo, qual Giardino di scelti contemplativi, fra cui trovasse il Signore le sue delizie; era poi stato, per la lunghezza del tempo, sopraffatto ormai quasi tutto da un crudo verno. Quindi compito ch’ella ebbe interamente un tal debito, spari via : ma sparì trasformata in una colomba, quale appunto alcuni la videro al suo passaggio: forse perché intendessero l’alto posto sul quale ella si andava a posare in Cielo. Ora questa gran Santa, siccome ha dati precetti proporzionati a qualunque grado, in cui l’uomo m_ai trovasi, di Orazione; così praticò sempre in se stessa, ed insegnò a tutti gli altri ciò, ch’io ti dico, di non voler aspirare a’ più eccelsi voli, prima di aver poste le penne. Ella quanto a sè gridò sempre qual umile rondinella dal proprio nido, accusando la sua miseria, e implorando la Divina Misericordia : e quanto a sè pur meditò qual colomba : perché solea cominciare generalmente la sua Orazione dal meditare un passo della Passione, secondo i dotti consigli, ch’ella avea ricevuti in questa materia da un uomo Santo; e poi abbandonava il suo spirito in mano a Dio, come un vascello, il quale si pone in mare a forza di braccia, e poi, quando è sull’alto, si lascia portar dal vento. Quindi per additare alle sue figliuole una forma di Orazione la più bella che far potessero, ella nel suo cammino spirituale, dichiarò il Pater noster, non in altra maniera che meditandolo, come innanzi a lei avean fatto già tanti sacri Dottori, e come tanti hanno fatto anche dopo lei. Piglia tu però questa Santa per avvocata a saper fare queste due parti utilissime ch’hai sentite: di rondinino, che ardentemente si raccomandi al Signore, e di colomba al tempo stesso, che mediti attentamente. E perchè queste non possono farsi meglio, che nella sopraddetta Orazione del Pater noster, questa anch’io qui voglio assegnarti per più mattine da meditare, secondo i sensi più schietti, e più salutevoli, ch’ho saputo cavare dal veder, s’io non erro, i più di coloro, che n’hanno finora scritto di professione. Affinchè tu, quando poi dovrai recitarla, ti riduca sempre a memoria, che a dirla bene, queste due cose ci vogliono: brama ardente, ed attenzione affettuosa: « Sicut pullus hirundinis sic clamabo: meditabor ut columba — Io griderò qual tenero rondinino: gemerò qual colomba ».

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