La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

MARZO

XIV. GIORNO

Sopra la Superbia.

 

« Superbiam numquam in tuo sensu aut in tuo verbo dominari permittas: in ipsa enim initium sumpsit omnis perditio. — Non permettere, che regni giammai nella tua mente, o nelle tue parole la superbia: perocchè in lei ebbe principio ogni perdizione » (Tobia 4, 14).

 

I.

Considera, come nella superbia, ch’è un disordinato appetito di maggioranza, ebbe veramente principio ogni perdizione: Initium sumpsit omnis perditio. Perchè doppia è stata la perdizione del Mondo. Una è venuta dall’Angelo, l’altra è venuta da Adamo. E l’una e l’altra non solo derivò da superbia, come è proprio d’ogni peccato, ma consistè formalmente in superbia, che però non si dice solo « ab ipsa initium sumpsit omnis perditio — da lei ebbe principio ogni perdizione », ma « in ipsa — in lei ». Mercè che sì l’Angelo, come Adamo aspirarono, sopra i limiti a loro prescritti, a farsi simili a Dio, non già totalmente, perchè ciò non potea cadere in pensiero; ma fino al segno maggiore, che si potesse. Mira però, che gran tarlo sia la superbia, mentre ha potuto magagnare anche Cedri, che poteano sembrare sì incorruttibili, Cedri non di Libano no, ma di Paradiso. Oh quant’ella è da temersi! Alligna per tutto, e nelle piante nobili, e nelle vili.

II.

Considera in che consiste questo trasgredimento di limiti, sì nell’Angelo, sì in. Adamo. Tre sono gli attributi Divini, Potenza, Sapienza, e Bontà. Ora l’Angelo era assai già simile a Dio, sì nella bontà, perchè era « perfectus decore — perfetto in bellezza », sì nella scienza, perchè era « plenus sapientia — pieno di sapienza » (Ezechiele 28, 12). Gli mancava la podestà, e però ambì di esercitare dominio sopra le Stelle: Super, astra Dei exaltabo Solium meum (Isaia 14, 13). Già Adamo era assai simile a Dio, sì nella bontà, perchè era stato dotato della giustizia originale, e sì nella podestà, perchè era stato costituito Signore di tutti i viventi. Gli mancava la scienza, perchè nella sua creazione non 1’aveà ricevuta in atto, siccome l’Angelo, ma dovea procacciarsela a poco a poco; e però ad essa sregolatamente aspirò, o volendo per virtù propria sapersi determinare al bene, ed al male, o pur volendo per propria virtù antivederlo. Vero è, che Adamo peccò (come molti vogliono) ancor di gola. Ma se ciò fu, non potè questo essere in lui il primo appetito disordinato, che si svegliasse. La ragion è, perchè il senso non era ancor in lui ribelle allo spirito, e così egli non potè col primo interno disordine, che facesse, aspirare a un bene sensibile, ma a un bene spirituale, a lui non dovuto. Vedi però tu, quanto importa, in qualunque genere, sapersi contenere dentro quei limiti che il Signore a ciascuno ha determinati. Chi vi si contiene, è detto umile; chi li vuol trapassare, è detto superbo.

III.

Considera quanto orribili perdizioni siano state queste, derivate dalla superbia. Andare dal Cielo Empireo precipitati nel più profondo baratro dell’inferno tanti milioni, e milioni, e milioni di spiriti sublimissimi, opere le più esimie, che fossero uscite dalle mani di Dio, le più amabili, le più adorne : nè solo precipitati, ma trasformati nelle più mostruose creature dell’Universo. Se tu sapessi, che un Monarca, per altro piacevolissimo, fa in un’ora stessa impiccar sulla piazza pubblica un centinaio di nobili personaggi, altri Marchesi, altri Marescialli, altri Duchi a lui già carissimi; che diresti tu? Non diresti, che troppo insopportabile dev’essere certamente stato il delitto da lor commesso? Ora che son tutti questi rispetto agli Angeli? Neppure si potrebbono accomodar per loro garzoni. E pure in tutti fu esercitata giustizia così tremenda. Oh che gran. male adunque dev’essere la superbia ancorchè di solo pensiero !

IV.

Considera, che perdizione parimente fu quella, che successe nel Paradiso Terrestre. Adamo Principe di sì grand’eccellenza spogliato del suo Dominio è miserabilmente punito, non solo in sè, ma ancora in tutti i suoi posteri. Fa pure un cumulo di quanti mali si trovano sulla terra, di fatiche, d’ignominie, d’infermità, di frenesie, di dolori, di disgrazie, di guerre, di sacchi, di stragi, di desolazioni, d’ ignoranze, d’ iniquità, e poi di’ teco medesimo: Qual torrente ha mai potuto arrecare sì brutta piena? Fu la superbia. Però l’innondazione è stata sì irreparabile, perchè è venuta dall’ alto. Oh che gran male adunque dev’ essere questa superbia medesima maledetta! E tu permetterai, che in te domini un sol momento?

V.

Considera però, che questa superbia vien qui distinta singolarmente in sensu, et in verbo, ch’è quanto dire nella mente, e nella parola, perchè queste sono le più frequenti. E l’una e l’altra convien che sempre tenghi da te lontana: ma prima quella, ch’è « in sensu — nella mente », perchè da essa procede quella, ch’è « in verbo — nelle parole ». Se tu vuoi reprimere quella, ch’è nella mente, pondera spesso chi sei tu, chi sia Dio; e vedrai, quanto sia giusto, che tu in tutte le cose gli stii soggetto, conformandoti al suo volere: « Nonne Deo subjecta erit anime mea? — Non sarà ella soggetta a Dio l’anima mia? » (Salmo 61, 2). Se vuoi reprimere quella, la quale è nelle parole, considera quanto una tal superbia sia dispiacevole, sia derisa, anche presso di te medesimo, quando tu la scorgi negli altri. Fa però conto, che così sia presso gli altri, quando la scorgono in te. Vero è, che « Verbum — la parola » nelle Divine Scritture significa bene spesso qualunque cosa: perchè qualunque cosa al Signore non costò più: costò una semplice voce. E però quando si dice, che sfuggi la superbia « in sensu, et in verbo — nella mente e nelle parole », vorrà significarsi, secondo ciò, che la sfuggi sì nell’interno, sì nell’esterno, ch’è restare in tutto mondato « a delicto maximo —da massimo delitto ».

VI.

Considera, che per essere la superbia un peccato spiritualissimo, non si può dire quanto sia però facile ad occultarsi qual aspide malizioso insino tra le buone opere. Bisogna dunque, che tanto più vegli sopra te stesso, affine di tenerla lontana. Mira perciò, che non dice: « Superbia numquam dominetur in tuo sensu, aut in tuo verbo — Non regni giammai la superbia nella tua mente, o nelle tue parole » ma « Superbiam numquam in tuo sensu, aut in tuo verbo dominari permittas — Non permettere che regni giammai nella tua mente o nelle tue parole la superbia », perchè è impossibile, che talor ella non ti sorprenda improvvisa, e che non ti domini. Ma che hai da fare? Scacciarla subito, quando tu te n’avvedi, o con un atto positivo contrari di umiliazione, o pure, quando è importuna, con disprezzarla e divertire ad altro il pensiero. Nel resto, oh quanto tu sarai sventurato, se ad essa mai darai d’accordo lo scettro di te medesimo! Subito n’andrai in perdizione. Vuoi tu sapere, quanto Dio odii la superbia? Ti basti ciò. Nessun medico savio, affine di curare un infermo pericoloso, permette che egli mai cada in un altro male, se non è molto minore di quel che pare. E pure Iddio per curar un superbo lascia, che più volte precipiti in quei peccati, che mostrano chiaramente la lor bruttezza, e così lo umilia.

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