La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

XIV. GIORNO

Che voglia dire il morire nel Signore.

 

« Beati mortui, qui in Domino moriuntur. Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis ; opera enim illorum sequuntur illos.—Beati i morti, che muoiono nel Signore. Lo Spirito da quel punto in poi dice, che riposino dalle loro fatiche; poichè li sieguono le loro opere » (Apocalisse di Giovanni 14, 13).

 

I.

Considera chi sieno costoro, che « in Domino moriuntur — muoiono nel Signore ». Sono coloro che sono vivuti « in Domino nel Signore » ; perciocchè così avviene comunemente. Ciascuno muore dove ha la sua stanza ferma. Può talora succedere questo caso, che uno muoia, dov’egli per sorte trovasi di passaggio; ma è caso raro : l’ordinario è, che muoia dov’egli vive. Chi vive in peccato, muore in peccato, chi vive « in Domino — nel Signore », muore « in Domino — nel Signore ». Tu dove vivi? Figurati per tanto, che dove vivi, ivi sarà la tua morte. Se non sarà in quel peccato, che commetti per accidente, sarà almeno in quello, che commetti per abito, in quello di lascivia, in quello di livore, in quello, che può già dirsi proprio tuo : In peccato vestro moriemini (Vangelo di Giovanni 8).

II.

Considera che vuole dire morire « in Domino — nel Signore ». Vuol dire, morire, se non pel Signore, come fanno i Martiri, almeno nel Signore, come fanno i suoi Confessori, cioè coloro, che, fedelmente servitolo, non solo sono vivuti in lui per la grazia, com’è comune di tutti i giusti; ma vivuti in lui per ispezialissimo affetto di carità. Questi propriamente muoiono in Domino, non solo, perchè muoiono in grazia, come pur è comune di tutti quei che muoiono giusti; ma perchè muoiono con un totale abbandono di sè nel seno del loro Signore, muoiono nel suo costato, muoiono nel suo cuore, muoiono negli amplessi felici delle sue braccia. Che bella morte, morire « in osculo Domini — nel bacio del Signore » ! Guai a coloro che vivono tra le braccia dell’inimico, come a lui più cari degli altri. Tra le braccia anche dell’inimico si aspettino di morire.

III.

Considera, come in prova, che questa morte così beata, di cui dicemmo, non tocchi generalmente a tutti coloro, i quali muoiono giusti, ma solo a quei che sono vivuti con singolar perfezione, dice il Signore ; « Beati mortui, qui in Domino moriuntur — Beati i morti, che muoiono nel Signore ». Qui pare indubitato, che trattisi di due morti fra loro distinte, di cui una seguiti l’altra; perchè nel resto, come si può giammai dire, che i morti muoiono? Muoiono i vivi, non muoiono coloro che son già morti. E pur qui si dice così: « Beati mortui, qui in Domino moriuntur — Beati i morti, che muoiono nel Signore ». Sicuramente ciò non è senza mistero : tanto più che se in tutte le Carte sagre non v’ha facilmente un apice, che ridondi, molto meno si è nell’Apocalissi, dove espressamente minacciasi di cancellare dal libro della vita, non pure chi contraddica ad una parolina di essa, come ad insussistente, ma chi ancor la cancelli, come superflua : « Si quis diminuerit de verbis libri Prophetiae hujus, auferet Deus partem ejus de libro vitae — Se alcuno torrà qualche cosa delle parole di profezia di questo libro, torrà Dio la porzione di lui dal libro della vita » (Apocalisse di Giovanni 22, 19). Posto ciò, tutti gl’Interpreti sbigottiti da una tal protesta, come da un fulmine, convengono a giudicare con somma uniformità, che qui singolarmente favellisi di coloro, i quali essendo prima morti a se stessi per vivere totalmente nel seno del loro Signore, hanno poi questa sorte fortunatissima di morirvi. E però vedi se tanto più si verifica, che la sorte di morir nel Signore tocca a coloro, che vivono nel Signore! Ma che è morire a se stesso? È staccarsi anticipatamente da tuttociò, che finalmente la morte dovrà levarne; dalla roba, dalla patria, da’ parenti, dalle vanità, da’ piaceri, da’ passatempi, e sopratutto dall’amore scorretto di se medesimo, per vivere nel corpo, se così sia possibile, senza corpo. Questi sono coloro a cui potè scrivere l’Apostolo : « Mortui estis, et vita vestra abscondita est cum Christo in Deo. — Siete morti, e la vostra vita è ascosa con Cristo in Dio » (Lettera ai Colossesi 3, 3). Vero è, che ad essere coronato non basta cominciare il bene, bisogna continuarlo sino alla fine costantemente. Però non son qui detti beati quei, che semplicemente muoiono a sè : ma quei, che morti prima a sè, dipoi muoiono nel Signore : Beati mortui, qui in Domino moriuntur. Che vale, che tu a te sii morto una volta per vivere nel Signore, se poi risusciti, e torni a vivere a te? Convien che ti contenti di startene morto a te infimo a tanto che morrai nel Signore.

IV.

Considera, che se ti spaventa questa prima morte, che precede, ti dee consolare la seconda, che seguita, mentre questa alla fine ti recherà un riposo perpetuo da tutte le tue fatiche. Però si soggiunge: « Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis. — Lo Spirito da quel punto in poi dice, che riposino dalle loro fatiche ». Qual è però quello Spirito, il quale ora ti stimola a patir molto per Dio, a stentare, a sudare, a mortificarti? Lo Spirito del Signore, non è così? Ora questo Spirito stesso, il quale ora ti dice, che tu fatichi, allora ti dirà, che già cessi di faticare : Amodo, significa da quel punto in poi. Però avverti primieramente, che qualunque sia quello Spirito, il qual prima di quel punto ti dica, che tu cessi dal faticare, non è di certo lo Spirito del Signore, sarà lo spirito proprio, sarà il mondano, sarà il maligno. Lo Spirito del Signore mai non lo dice a veruno sino a quel punto : Amodo jam dicit Spiritus; ma non prima. Oh se sapessi, quanto lo Spirito del Signore abborrisce, che sulla Terra veruno mai viva in ozio! Vuol che sempre fatichisi, sempre, sempre, finchè si può: « Labora sicut bonus miles Christi.— Affatica come buon soldato di Cristo » (Seconda lettera a Timoteo 2, 3). Ne è ma, raviglia, perchè come l’ozio, per’ dettato de’ Medici, genera nel corpo due effetti perniciosissimi, fiacchezza, e fiussioni: così fa ancora nell’anima: la rende debole al bene, e disposta al male. Vero è, che come nel corpo non appariscono subito tali effetti, ma solo allora ch’han pigliata possanza, pigliato polso; così è nell’anima. Però bisogna tanto più ancora temerli : perchè le indisposizioni, che occultamente si generano a poco a poco, riescono finalmente le più incurabili. E tali sono le indisposizioni generate dall’ozio. Dipoi avverti, come dice a questi beati morti lo Spirito del Signore, ch’essi riposino, perchè hanno già faticato bastantemente: Requiescant a laboribus suis. Il riposo è doppio : l’uno negativo, l’altro positivo. Il negativo è la pura cessazione dalle fatiche, il positivo si è la Beatitudine, la quale alla cessazione dalle fatiche aggiugne quella perfettissima quiete, che prova l’anima in posseder ciò che vuole, con sicurezza. Ora sì dell’uno, come dell’altro riposo intende qui di favellare il Signore. Dice che riposino dalle fatiche, ch’è il negativo; e dice che riposino a cagione delle fatiche, ch’è il positivo. Se solo volesse egli intendere il primo senso, primieramente direbbe poco : perchè, che gran premio è questo cessare dalle fatiche? E poi gli sarebbe bastato dire « a laboribus — dalle fatiche », senza volervi aggiugnere ancora « suis — loro » ; conciossiachè chi è, che cessi giammai d’altre fatiche, che dalle proprie? Se aggiugne « suis —loro », è, perchè egli intende anche il secondo senso : intende, che ricevano la Beatitudine a cagione delle fatiche, a laboribus; ma delle loro, non di quelle sol, che per loro tollerò Cristo, come pur vorrebbono alcuni, che si promettono il Cielo sol per la fede, benchè disgiunta dalle opere. Non è sciocchezza, che tu pretenda il riposo per quelle pure fatiche, ch’altri han sofferte? Se vuoi che tuo sia il riposo, convien che le fatiche altresì sieno state tue.

V.

Considera come da questo luogo i moderni Eretici con gran trionfo pretendono di dedurre, che sia ridicola cosa 1′ ammettere Purgatorio, mentre chi muore in grazia, va subito a riposare: Amodo, cioè da quel punto, amodo jarn dicit Spiritus, ut requiescant. Sciocchi che sono. Coloro, che muoiono in grazia, han forse faticato all’istessa forma sino a quel punto? No certamente. Adunque com’è dovere, che da quel punto comincino a riposare all’istessa forma? Notino però gl’infelici, chi sieno questi, a’ quali dice lo Spirito del Signore, che « requiescant — riposino ». Lo dice a coloro, che hanno faticato di molto, morendo a sè per viver tutti a Dio : « Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis — Lo Spirito da quel punto in poi dice, che riposino dalle loro fatiche », non « a labore — dalla fatica », ma « a laboribus —dalle fatiche ». Se questi avesser voluto faticar poco per l’acquisto del Paradiso, come fanno coloro, che pretendono di giugnervi quasi in cocchio, non v’entrerebbero di sicuro sì presto. Andrebbon prima tra le fiamme a scontar la loro pigrizia. Ma perchè hanno faticato di molto, però sì presto sono chiamati a godere. Oh se intendessero tutti ciò, che significhi quella parola « a laboribus —dalle fatiche » ! Ma molti non ne intendon la forza, perchè non ne hanno giammai fatta la prova. Dipoi, altra cosa è, che « amodo dicat Spiritus — Lo Spirito da quel punto in poi dica » a questi beati morti : « ut requiescant — che riposino »; altra è, che « dicat ut requiescant amodo — dica, che riposino da quel punto in poi ». « Dicit amodo, ut requiescant — Da quel punto in poi dice che riposino », perchè subito che sono spirati, pronunzia a loro pro la sentenza di eterna requie. Ma « non dicit, ut requiescant amodo — non dice che riposino da quel punto in poi », perchè tra la sentenza, e l’esecuzione, si dà d’ordinario qualche tempo di mezzo, benchè maggiore, o minore, secondo il debito che rimane ancor da scontarsi. Però piuttosto può questo luogo ritorcersi giustamente contro coloro, che ardiscono di valersene contro noi. Perchè se tra la sentenza, e la esecuzione, non si desse mai tempo alcuno di mezzo, « diceret Spiritus, ut requiescerent amodo — direbbe lo Spirito, che riposassero da quel punto in poi »; ma perchè si dà questo tempo, però « amodo dicit, ut requiescant — dice da quel punto in poi, che. riposino », cioè « ut requiescant — che riposino », quando giugnerà la lor ora. Vero è, che questa per chi ha faticato molto per Dio giugne presto, e però qui non se ne fa caso alcuno, perchè questi beati morti sono coloro, di cui ci dice l’Apostolo, che « salvi erunt sic tamen quasi per ignem — saranno salvati, così però come per mezzo del fuoco » (Prima lettera ai Corinzi 3, 15), tanto sarà breve il passaggio eh’ essi faranno per quelle fiamme, se pur le avranno a provare.

VI.

Considera, che perchè appunto favellasi di sentenza, si usa qui la formola sol di dire, che « requiescant — riposino », e non si usa piuttosto quella di fare : « Dicit ut requiescant — Dice che riposino », non « facit ut requiescant — fa che riposino », quantunque al detto abbia a corrispondere il fatto. Non sarà però questa una sentenza data punto a capriccio; e però soggiugne : « Opera enim illorum sequuntur illos — Poichè le lor opere li sieguono » perchè le opere di quei, che tanto han faticato per Dio, saranno in quel Tribunale testimoni fedeli del loro merito, conforme a quello : « Laudent in portis opera ejus. — Le opere sue lo celebrino alle porte » (Proverbio 31, 31). Si afferma però, che queste opere loro « sequuntur illos — li seguono », perchè le opere de’ giusti non sono come quelle de’ peccatori. Queste sono tutte opere corruttibili, e però tutte finiscono con la vita dell’operante: « Omne opus corruptibile in fine deficiet. — Tutte le opere soggette alla corruzione verran meno una volta » (Ecclesiastico o Siracide 14, 20). Quelle sono opere sode, permanenti, perpetue, e però vanno dietro a chi le operò. Che avranno i peccatori giù nell’Inferno di quelle rose, di cui s’inghirlandarono le loro tempie per passatempo? Non altro, se non le spine, ch’è il pentimento. Laddove i giusti delle loro fatiche avran colto il frutto : « Bonorum laborum gloriosus est fructus — Glorioso è il frutto de’ buoni travagli » (Sapienza 3, 15), e così sempre ancora lo goderanno, consolandosi sempre con la memoria d’aver patito per Dio. Dipoi si dice, che « opera illorum sequuntur illos — le opere loro il, seguono », perciocchè i giusti non si condurran tutte seco le opere buone, che fecero sulla Terra; ma molte se ne vedranno venire appresso di mano in mano, secondo che si saranno ite perfezionando. Mira, a cagion di esempio, tanti incliti fondatori di Religioni. Sono dalla morte loro trascorsi già molti secoli : e pure si può dir, che tuttora « opera illorum sequuntur illos — li sieguono le lor opere », perchè sempre raccolgono nuovi frutti delle loro passate fatiche : « Cum semine eorum permanent bona. — La loro stirpe resta posseditrice de’ loro beni » (Ecclesiastico o Siracide 44, 11). Finalmente si dice, che « opera illorum sequuntur illos — le lor opere li sieguono », perchè come gli antichi conquistatori ne’ loro trionfi non avevano seguito più glorioso di quello delle loro opere, Re incatenati, Capitani sconfitti, Consoli soggiogati, Immagini di Città fatte loro serve; così sarà di questi beati morti. Andranno ancor essi al Campidoglio celeste, accompagnati da moltitudine grande, non può negarsi, di schiere Angeliche; contuttociò non avran seguito in tutto il loro trionfo paragonabile a quello delle loro opere. Questo sarà il più glorioso : e però qui non si fa d’altro menzione, fuorchè di questo : Opera illorum sequuntur illos. Vadano pure i peccatori alla tomba con bella pompa di tamburi scordati; di trombe sorde, di gramaglie strascinate per fasto fin sulla polvere. Dove sono l’opere loro, che gli accompagnino? Converrà che con somma loro ignominia, nudi, squallidi, soli, si presentino innanzi al gran Tribunale di Cristo Giudice. Solo i giusti vi andrair con corteggio onorevolissimo, perchè vi andranno seguiti dalle loro opere : Opera enim illorurn sequuntur illos.

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