La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

DICEMBRE

 

XIV. GIORNO

Servi veri di Dio non vivono che pel loro Signore e tutto a lui consacrano.

« Nemo nostrum sibi vivit, et nemo sibi moritur. Sive enim vivimus, Domino vivimus: sive morimur, Domino morimur. Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus. — Nessun di voi vive a se stesso, e nessuno muore per se stesso. Perciocchè sia che noi viviamo, viviamo al Signore; sia che muoiamo, muoiamo al Signore. Sia dunque che viviamo, sia che muoiamo, siam del Signore » (Lettera ai Romani 14, 7).

 

I.

Considera come i Re grandi sogliono tra le loro squadre averne una di quelli, che sono detti fanti perduti, questi si sono al Signor loro già dedicati di modo, che non riguardano in nulla più la lor vita, come propria loro, ma solo come propria del loro Signore. E però, dove il conservarla ritorni in maggior servizio di quello, essi la conservano : dove no, la vanno animosi a gittar per lui fin tra le spade più folte. Figurati però, che fra questi tali si annoverasse sì volentieri l’Apostolo quando disse: Nemo nostrum sibi vivit, et nemo nostrum sibi moritur. Sive enim vivimus, Domino vivimus: sive morimur, Domino morimur. Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus. Un fante perduto non vive a se stesso, perchè egli non ha per fine del suo vivere se medesimo, cioè la conservazione di sè, ma indirizza la conservazione di sè al servizio del suo Signore: e però « non sibi vivit  non vive a se stesso ». Ed un fante perduto non muore a sè, perchè non ha per fine del suo morire alcun utile, o alcun vantaggio, che dopo morte debba a lui risultarne: ha quello parimente del signor suo; però « non sibi moritur — non muore per se stesso ». E questo è ciò, che fanno in terra que’ veri servi di Dio, che a lui si sono già dedicati perfettamente. Sono indifferenti al vivere, ed al morire: ma se vivono, vogliono vivere a lui, e se muoiono, vogliono parimente morir per lui: Sive vivimus, Domino vivimus, sive morimur, Domino morimur. Tu come fai? Rimira un poco quanti sono i riserbi con cui procedi, e quanti i ritegni. Non hai cuore di vivere a Dio, con istaccarti da quelle comodità, che ti fanno anzi vivere a te medesimo, e molto meno hai cuore di morire per Dio, con esporti a qualche pericolo di perdere un dì la vita per onor suo. E pure oh qual felicità sarebbe la tua, se arrivassi a tanto: morir per Dio! Guarda quanti ffir que’ pericoli a cui, qual fante veramente perduto, si espose già l’Apostolo per Gesù! « periculis fluminum, periculis latronum, periculis ex genere, periculis ex gentibus, periculis in civitate, periculis in solitudine, periculis in mari, periculis in falsis fratribus — a pericoli delle fiumane, pericoli degli assassini, pericoli da’ suoi nazionali, pericoli da gentili, pericoli nelle città, pericoli nella solitudine, pericoli nel mare, pericoli da’ falsi fratelli » (Seconda lettera ai Corinzi 11, 26). Ed un solo che tu per contrario ne incorra, ti colma di tanto orrore? « Qui sponte obtulistis de Israel animas vestras ad periculum, benedicite Domino. — Uomini d’Israele, i quali offeriste volontariamente al pericolo la vostra vita, benedite il Signore » (Giudici 5, 2).

II.

Considera come quelli vivono a sè, sibi vivunt, i quali vivono al loro giudizio, al loro genio, ai loro capricci. E quelli muoiono parimente per sè, sibi moriuhtur, i quali muoiono, o per li gravi disordini ch’essi fanno in compiacere il lor corpo; secondo quello, « propter crapulam multi obierunt — molti ne ha uccisi la crapula » (Ecclesiastico o Siracide 37, 34), o veramente per le fatiche eccessive a cui sottopongonsi, or in grazia dell’ambizione, ora in grazia dell’avarizia. Non così i servi di Dio: « Nemo nostrum sibi vivit, et nemo nostrum sibi moritur — Nessun di noi vive a se stesso, e nessuno muore per se stesso », dicon essi. Troppo vil cosa è vivere a se medesimo; perchè ciò si sa fare ancor dalle bestie. E troppo infelice cosa è morire per se medesimo; perchè quanto a ciò, si penerà a trovar bestia, che arrivi a farlo. Se si ha da vivere, convien vivere a Cristo : e se si ha da morire, convien similmente morir per Cristo : « Magnificabitur Christus in corpore meo, sive per vitam, sive per mortem. — Sarà magnificato Cristo nel mio corpo, sia per la morte, sia per la vita » (Lettera ai Filippesi 1, 20). Oh che degno senso ! Cristo in sè non può crescere punto, nè può calare. Non crescere, perchè essendo egli vero Dio, è infinito di perfezione; non calare, perchè è indeficiente. Solamente può crescere, e può calare in altri, cioè nella cognizione, or maggiore, or minore, ch’altri han di lui. Allora per tanto uno magnifica Cristo, quando più dilata il suo nome: « Quis magnificabit eum sicut est ab initio? — Chi spiegherà la sua grandezza qual è ab eterno? » (Ecclesiastico o Siracide 43, 35). E allora lo magnifica nel suo corpo, quando lo magnifica non solo con l’interno, ma con l’esterno. Se lo magnifica impiegando la lingua, i piedi, gli occhi, gli orecchi, le mani in onor di Cristo, lo magnifica con la vita: e se lo magnifica, perdendo la lingua, i piedi, gli occhi, gli orecchi, le mani, anzi la stessa vita ch’egli ha per amor di Cristo, lo magnifica con la morte. E questo è ciò che si han pre . fisso i fedeli servi di Cristo per loro fine: Magnificabitur Christus in corpore meo, sive per vitam, sive per mortem. Ma niuno più se l’ha prefisso di quei, che ciò fanno senza risparmio. E tali sono i suoi veri fanti perduti, quei che possono anch’essi dir con l’Apostolo : « Mihi vivere Christus est, et mori lucrum. — Il mio vivere è Cristo, e il morire guadagno » (Lettera ai Filippesi 1, 21). A questi il loro vivere « Christus est — è Cristo », perchè Cristo è il principio delle loro operazioni; e il loro morire « lucrum est — è guadagno », perchè mettono a conto di gran guadagno, il potere per Cristo spontaneamente dar quella vita, che tanto un giorno ha da perdersi a marcia forza. E tu vuoi essere più di questi sì sgraziati, che di quei sì degni?

III.

Considera, che oltre la vita naturale, v’è la civile, la qual consiste nella riputazion che tu godi, nelle cariche, nelle conversazioni, nelle amicizie; e questa ancora, se sei vero fante perduto di Gesù Cristo, hai da donar tutta a lui, sì che niente di ciò t’abbia a ritenere dallo spendere, e spandere tutto te per servizio suo: « Sive vivimus — Sia che viviamo » questa vita ancora civile, « Domino vivimus — Viviamo al Signore »; perchè la nostra riputazione non si ha da curar da noi, se non quanto vagliaci a poter più procacciare di gloria a Dio : « Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam. — Non a noi, o Signore, non a noi, ma al nome tuo dà gloria » (Salmo 114, 9). E tra le cariche, tra le conversazioni, tra le amicizie abbiamo a studiarci di piacer alla gente per questo solo, per poterla più facilmente tirare a Dio: « Ego per omnia omnibus placeo, non qua,rens quod mihi utile est, sed quod multis, ut salvi fiant. — Io in tutto mi adatto a tutti, non cercando la mia utilità, ma quella di molti, affinchè siano salvi » (Prima lettera ai Corinzi 10, 33). « Sive morimur — O sia che muoiamo » di questa morte parimente civile, « Domino morimur — Muriamo al Signore », perchè se ci convenga di perdere tutto ciò col rimaner discreditati, abbandonati, abborriti, dìmentitati, perdasi pure, purchè si perda per Dio : « In mortem tradimur propter Jesum. — Siamo messi a morte per amor di Gesù » (Seconda lettera ai Corinzi 4, 11). Forse che sì l’una, sì l’altra di queste morti, e naturale e civile, non ha Cristo molto prima incontrate per amor tuo? Che gran cosa fia dunque, che tu servo vilissimo muoia per Cristo, mentre sai che Cristo ha voluto morir per te? « Mediator Dei et hominum homo Christus Jesus dedit redemptionem semetipsum pro omnibus — Il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù diede se stesso in redenzione per tutti » (Prima lettera a Timoteo 2, 5), cioè per quelli ancora, che sono tra gli uomini meno degni, qual appunto sei tu: « Dilexit me, et tradidit semetipsum pro me. — Amò me, e diede se stesso per me » (Lettera ai Galati 2, 20).

IV.

Considera come quello, che più rincora i fanti perduti a non curar se medesimi, è ricordarsi, che non son suoi, sono di quel monarca per cui combattono. E questo nel caso nostro ha da rincorare anche te, ma con molto maggior ragione, ricordandoti di chi tu sei: « Sive vivimus, sive morimur, Domini sumus — Sia che viviamo, sia che muoiamo, siam del Signore ». Qual è quel monarca, il quale abbia mai tanti titoli di dominio sopra di un uomo, quanti sono quelli, i quali ha Dio sopra ciascuno di noi: di noi dico da lui creati, da lui conservati; da lui redenti? » An nescitis quoniam non estis vestri? Empii enim estis pretio magno. — Non sapete voi che non siete di voi stessi? Imperocchè siete stati comperati a caro prezzo » (Prima lettera ai Corinzi 6, 20). Senza che, sapere che noi siamo di Dio, Domini sumus, ci deve infondere una fiducia grandissima. E la ragion è, perchè nessun principe umano può de’ suoi fanti, e vivi, e morti, aver quel patrocinio ch’ha Dio di noi. « Sive vivimus, Domini sumus — Sia che viviamo, siam del Signore »; e però a lui toccherà di guardarci da tutti quei, che contro il suo volere si attentino a farci oltraggio. « Sive morimur, Domini sumus — Sia che muoiamo, siam del Signore » : e però a lui pur toccherà di renderci quella vita, che abbiamo data per lui, giacchè i principi umani non posson renderla a chi per essi l’ha data, ma Dio può renderla, e di fatto la renderà: « Tu quidem, scelestissime, in presenti vita nos perdis: sed Rex Mundi, defunctos nos pro suis legibus, in eterna vita3 resurrectione suscitabit. — Tu, o uomo iniquissimo, distruggi noi nella vita presente, ma il Re dell’Universo risusciterà per la vita eterna noi, che muoiamo per le sue leggi » (Secondo libro dei Maccabei 7, 9). Adunque che ti ritiene, non dico dall’impiegare volentierissiino la tua vita in onor divino, ma ancor dal perderla, qual suo fante già per lui messosi ad isbaraglio, mentre l’istesso perderla è ritrovarla; anzi non mai si ritrova più, che quando più lietamente per lui si perde? « Qui voluerit animam suam salvam facere, perdei eam — Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà » : perchè chiunque vive a sè, per quanto studiisi di conservar la sua vita, la perderà: e forse anche tanto più presto la perderà, quanto più scrupolosamente si studia di conservarla. « Qui autem perdiderit animam suam propter me, inveniet eam — Chi poi perderà la sua vita per amor mio, la troverà » (Vangelo di Matteo 16, 25); perchè chi morì per Dio, nell’atto stesso di perdere la sua vita, la ritrovò : la perdette caduca, la trovò eterna.

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