La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

DICEMBRE

 

XII. GIORNO

Necessità di ripensar sempre alle proprie colpe e di ridomandarne a dio il perdono.

« Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo manda me; quoniam iniquitatern rneam ego cognosco, et peccatum meum contro me est semper.— Lavami sempre più dalla mia iniquità, e mondami dal mio peccato; perocchè ie conosco la mia iniquità, e il mio peccato sta sempre contro di me » (Salmo 51, 3).

 

I.

Considera, come tosto che Davidde, ravvedutosi del suo fallo, disse al Profeta Natan « peccavi Domino — ho peccato contro il Signore », si sentì dir dall’ istesso Profeta: « Dominus quoque transtulit peccatum tuum. — Il Signore ancora ha tolto il tuo peccato » (Secondo libro di Samuele 12, 13). Sicchè non poteva egli non esser certo di averne già conseguita la remissione. E pure dopo ancora una tal certezza, non cessò mai di tornare a ridimandarla, non per diffidenza di non averla ottenuta, ma per desiderio di ottenerla ogni dì maggiore, e maggiore, come avviene in coloro, in cui se ‘l delitto abbondò, la grazia non abbondò, ma soprabbondò : « Ubi abundavit delictum, superabundavit et gratia. — Dove abbondò il delitto, soprabbondò anche la grazia » (Lettera ai Romani 5, 20). Quindi è, ch’egli non solo dimandò il perdono a Dio secondo la grandezza, che ha la misericordia di lui in se medesima, rilassando qualunque eccesso : « Miserere mei, Deus, secundum magnani misericordiam tuam — Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la grande tua misericordia »; ma la dimandò secondo ancora la moltitudine di quegli atti sì vagii, con cui Dio l’aveva esercitata : « et secundum multitudinem miserationum tuarum dele iniquitatem meam — e secondo le molte operazioni di tua misericordia, scancella la mia iniquità » : perciocchè chi può dire, quanto questi atti, in tanta varietà di peccatori, sieno apparsi esimii, eminenti, maravigliosi ! « Miserationes ejus super omnia opera ejus. — In tutte le opere di lui han luogo le sue misericordie » (Salmo 145, 9). Se pure non vuoi riputar piuttosto, che Davidde, benchè certo del suo perdono, tornasse tuttavia con ansia a ridomandarlo, per insegnare a te quello ch’hai da fare : a te dico, che non solo non ne sei certo, ma forse ancora incertissimo. Credi forse tu che pregiudichi alla perfetta union con Dio, ripensare alle colpe proprie? Diceva Davidde di ripensarvi, non solo spesso, ma sempre : peccatum meum contra me est semper. E’ vero, che egli non dice Adulterium meum, ma solo peccatum meum, perchè meglio è specialmente in certe materie, non rammemorarsi il mal fatto in particolare, ma solo in generale. Contuttociò pur è vero, che dicea, semper: perchè sii pur tu giusto, quanto si vuole, sii pio, sii perfetto, sii mistico ancor eccelso, qual era Davidde, hai fin all’ultimo di tua vita a ripensar seriamente alle tue miserie, e a ripiangere amaramente. Quindi è, che questo Salmo s’intitola : « Psalmus in finem, cioè Psalmus in finem usque mandi canendus —Salmo da cantarsi sino alla fine del mondo », come interpreta il Bellarmino perchè se tu campassi sino alla fine del mondo, sino alla fine del mondo hai da dire : « Peccavi  Ho peccato ». « Memento, et ne obliviscaris, quomodo ad iracundiam provocaveris Deum tuum in solitudine — Ricordati, e non te ne scordare, come tu provocasti ad ira il Signore Dio tuo nella solitudine » (Deuteronomio 9, 7). « Memento — Ricordati » al presente, « ne obliviscaris — non te ne scordare » per lo futuro.

II.

Considera la differenza che passa tra le infermità del corpo, e quelle dell’anima. Le prime basta che sieno conosciute dal medico; le seconde no, conviene che sieno conosciute ancor dall’infermo. Però dimandando copia grande di grazia giustificante, adduce il Salmista a Dio per motivo di conseguirla, l’aver già posta dal lato suo quella condizione, la qual era a ciò necessaria, ch’era conoscere la gravezza del male da sè operato : Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo manda me; quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccalum meum contra me est semper. Nè stare a opporre, che non basta conoscere il mal commesso : bisogna in oltre dolersene, detestarlo, ed avere un fermo proposito di emendarsene: perchè chi dice di conoscere il suo peccato come si dee, dice tutto. Quanto è impossibile, chiaramente conoscere un sommo bene, e non l’amare, con amore anche intenso; tanto è impossibile chiaramente conoscere un sommo male, e non l’avere, non dico in odio, ma parimente in orrore. Quindi è, che Dio, a perdonarti, altro da te non ricerca, se non che tu intenda il tuo male. « Sanctus sum ego, dicit Dominus, et non irascar ili perpetuum. Veruntamen scifo iniquitateni tuam. — Io sono Santo, dice il Signore, e non terrò per sempre lo sdegno. Conosci però la tua iniquità » (Geremia 3, 12). Non dice « defle — piangi », non dice « detestare —detesta », dice solo « scito — conosci »; perchè se tu capirai che male hai fatto in offendere un Dio sì buono, non sarà mai possibile, che i tuoi occhi non divengano in te due fontane vive, che mai non restino.

III.

Considera, che quantunque questi nomi peccato, iniquità, ed empietà, il più delle volte si confondano insieme; contuttociò secondo la loro ragion più propria sono imposti a significare le tre distinzioni celebri di prevaricazione, in cui l’uomo incorre, contro sè, contro il prossimo, contro Dio. Il primo chiamasi puramente peccato, il secondo iniquità, il terzo empietà, non perchè qualunque peccato o perverta l’ordine, che il peccator deve a sè, o perverta l’ordine, che il peccator deve al prossimo, non perverta quello che parimente egli in genere deve a Dio, come a sommo Legislatore; ma perchè quel peccato si dice propriamente empietà, che perverte l’ ordine dovuto a Dio come a Padre, o come a Padrone nel pio culto che è detto di Religione. Ora nel suo caso aveva bensì Davidde pervertito quell’ ordine, eh’ egli doveva a se stesso in virtù della sua malizia; e avea pervertito quello, che doveva al suo prossimo in virtù del torto fatto ad Uria, così grave in qualunque genere; ma non avea pervertito, quello che doveva a Dio, quanto al culto di Religione; perchè il suo peccato non era stato nè d’infedeltà, nè di simonia, nè di spergiuro, nè di bestemmia, nè di altro sì fatto eccesso; e però egli qui fa menzione sol di peccato, e d’iniquità: d’empietà in tutto il Salmo non fa menzione, quantunque altrove in riguardo a quella empietà più generica, che ogni peccato alla fine contiene in sè, dicesse ancor egli a Dio : « Dixi: confitebor adversum me injustitiam meam Domino, et tu remisisti impietatem peccati mei — Io dissi : Confesserò contro di me stesso al Signore la mia ingiustizia, e tu mi rimettesti la empietà del mio peccato » (Salmo 32, 5). A cagion della iniquità egli prega Dio, che lo lavi : Amplius lava me ab iniquitate mea; a cagion del peccato egli prega Dio che lo mondi : et a peccato meo munda me. Lo lavi quanto alle reliquie del mal passato, lo mondi quanto al pericolo del futuro : e lo lavi, e lo inondi ma sempre più : Amplius lava, amplius munda. Che dici tu, che facilmente avrai commessi a’ tuoi dì, non sol peccati in te stesso, non solo iniquità verso il prossimo, ma empietà forse ancora enormissime contro Dio, e pur una volta che ti ricordi di averne tu già dimandato il perdono, ti par di avere soddisfatto anche al tuo debito interamente? « Lavabo per singulas noctes lectum meum. — Io laverò tutte le notti il mio letto con le lagrime » (Salmo 7, 7). Guarda quante notti di lagrime costò a Davidde il mal di una notte sola!

IV.

Considera come quanto all’ iniquità avea già Davidde poco prima pregato Dio che glie la cancellasse : Secundum multitudinem miserationum tuarum dele iniquitatem meam. Ma non contento di ciò, prega egli di essere ancor lavato di essa, cioè lavato di tutto ciò, che tale iniquità, come permanente, e prolissa di nove mesi, poteva avere lasciato in lui o di affezione, o di attacco, benchè leggiero, al passato male, che però non dice, « lava iniquitatem meam — lava la mia iniquità » come disse « dele — cancella », ma « lava me ab iniquitate mea — lavami dalla mia iniquità ». « Dele iniquitatem, lava iniquum — Cancella 1′ iniquità, lava l’iniquo ». Questo è di chi davvero ha in odio la macchia, ch’egli ha sul viso : non solamente cancellar quella macchia, ma lavar tutto il viso ancora di modo, con tale opportunità, che non vi resti neppur leggiero residuo di macchia cotanto odiosa. E prega egli di essere parimente mondato dal suo peccato, et a peccato meo munda me, cioè mondato dalla malizia della sua volontà. E la ragion è, perchè chi è immondo, non solo in atto, ma parimente in potenza, ancorchè si lavi, non basta; torna fra poco a produr nuove sozzure, come fa la faccia dell’uomo, la qual lavata torna ogni poco a lordarsi. Però qui Davidde dalla mala sua volontà non chiede di esser solamente lavato, ma ancora mondato. Non era questa in lui divenuta sol mala in atto, a cagion del mal commesso, ma era mala parimenti in potenza, per quello che poteva commetterne ancor maggiore, e però tuttor ne temea. Temea, perchè dopo la colpa originale è in qualunque uomo la volontà per se stessa inclinata al male : « Sensus humani cordis proni sunt in malum ah adolescentia sua. — I sentimenti del cuore umano sono inclinati al male fin dall’ adolescenza » (Genesi 8, 21). E temea, perchè con la colpa stessa attuale, egli ve l’avea fatta inclinare anche più. Oh se tu sapessi quante sono le cattive disposizioni, che lascia nella tua volontà qualunque peccato, massimamente disprezzato, e diuturno ! Davvero che non differiresti talor de’ mesi, e de’ mesi a piagnerlo cordialmente. Anzi nemmeno ti appagheresti in sapere di averlo pianto, giacchè il peccato rimesso ancor ti può nuocere, non più in sè, ma ne’ suoi pessimi effetti : « De propitiato peccato noli esse sine metu. — Del peccato rimesso non esserne senza timore » (Ecclesiastico o Siracide 5, 5).

V.

Considera, che il cuore si lava con la contrizione, con la confessione, con le opere buone, che poi si adempiono in soddisfazion de’ commessi falli, e con quelle ancora si monda. Ma queste parti appartengono al peccatore, conforme a quello : « Lavamini, mundi estote, auf erte malum cogitationum vestrarum ab oculis meis, etc. — Lavatevi, mondatevi, togliete dagli occhi miei la malvagità de’ vostri pensieri ecc. » (Isaia 1, 16). Onde non par qui tanto proprio, che Davidde, in vece di dire a Dio, ch’egli vuol lavarsi, e mondarsi, dimandò di essere da lui lavato, e mondato : lava me, munda me. Ma devi qui rammemorarti il costume delle Scritture Divine, in cui quelle azioni dell’ uomo, che son comuni alla grazia operante in esso, e all’arbitrio cooperante, ora si attribuiscono tutte a Dio, ora tutte all’ uomo, affinchè intendasi la perfetta loro concordia nell’operare. « Inclina cor meum in testimonia tua. — Inclinate il mio cuore alle vostre testimonianze » ; ecco l’opera della grazia : « Inclina cor tuum ad cognoscendum prudentiam — Inclina il tuo cuore a conoscer la prudenza » ; ecco la istessa opera attribuita all’arbitrio. « Dirige me in semitam rectam — Dirigetemi sul retto sentiero » ; ecco l’ opera della grazia : « Dirige cor tuum in viam rectam — Dirigi il tuo cuore sulla retta via » ; ecco l’istessa opera attribuita all’arbitrio. « Cor mundum crea in me, Deus — Create, o Dio, in me un cuor mondo » ecco l’opera della grazia : « Facile vobis cor novum — Fatevi un cuor nuovo » ; ecco l’ istessa opera attribuita all’ arbitrio. Ond’è, che quante son le preghiere dell’uomo a Dio, che si contengono nelle Divine Scritture, tante son le prove della necessità, la quale abbiamo della grazia; e quanti sono i precetti di Dio all’uomo, tante son le prove, che ci dimostrano la libertà dell’arbitrio. Se non che, a mirar giustamente, sotto la metafora di cancellamento, di lavanda, e di mondamento, non intende qui il Salmista quelle disposizioni, che il penitente mette alla grazia santificante, con la contrizione, con la confessione, e con altre opere buone, intende l’istessa grazia, e però tanto più la dimanda a Dio, perché a Dio solo si appartiene il donarla : « Ego sum, ego sum ipse qui deleo iniquitates tuas propter me, et peccatorum tuorum non recordabor — Io sono, son io stesso, che cancello le tue iniquità per me medesimo, e de’ peccati tuoi non avrò più memoria » (Isaia 43, 25). Il cancellare l’iniquità, si è rimettere al peccatore, non pur la colpa, ma ancora la pena eterna; onde egli era reo negli alti libri della Divina giustizia. Il lavar l’ iniquo, ed il mondarlo, si è infondergli la grazia santificante, atta non solo a purificarlo dalle macchie passate, ma ancora a preservarlo dalle future. Ma chi può far ciò, se non Dio? « Quis potest facere mundum de immundo conceptum semine, nisi tu qui solus es? — Chi puro potrà render colui che d’immonda semenza è concepito, se non tu, che solo sei? » (Giobbe 14, 4). La grazia santificante può essere ognor maggiore, e però al lavare, e al mondare si aggiugne l’« amplius — sempre più » : la remissione sì della colpa, e sì della pena eterna, si fa totale in un attimo, e però al cancellamento non vi si aggiugne. Tu se sospiri di esser così da Dio lavato, e mondato ogni giorno più con la sua santissima grazia, fa prima il debito tuo, con lavarti, e mondarti in virtù di quelle disposizioni, nelle quali hai parte anche tu : « Lava a malitia cor tuum, Jerusalem, ut salva fias. — Monda d’ogni malizia il cuor tuo, o Gerusalemme, se vuoi esser salvata » (Geremia 4, 14).

VI.

Considera, che se trascuri di adempir questo debito che a te spetta, tutto è perchè il tuo peccato non fa a te quella guerra la qual a Davidde, finchè egli visse, fe’ il suo. Non odi com’egli dice? « peccatum meum contra me est semper — il mio peccato sta sempre contro di me », non solo « coram me — davanti a me », ma « contra me — contro di me », tanto il peccato gli stava sempre quasi in atto austerissimo di gittargli sul viso la ingratitudine, la qual egli aveva usata al suo Dio per un vil piacere da bruto : « Arguet te malitia tua. — La tua malvagità sarà la tua condannazione » (Geremia 2, 19). Potea Davidde distorre il guardo da riprensor sì molesto, non ve n’ha dubbio : ma nol facea, stimando in sè la memoria del suo peccato giovevolissima ad umiltà, a compunzione, a cautela: « Postquam ostendisti milii, percussi femur meum: Confusus sum, et erubui. — Dopo che tu mi illuminasti, io percossi il mio fianco : Sono confuso ed arrossito » (Geremia 31, 19). Se il tuo peccato non muove a te guerra pari, o almen simigliante, mira bene, e vedrai, che procede ciò dal tenerlo tu a bello studio lontano dalla tua mente con dare piuttosto orecchie al mondo, alla carne, e al demonio: al mondo, che ti adula nel mal commesso : alla carne, che ti scusa : al demonio, che ti conforta ad udire il inondo, e la carne, più che la coscienza, pia rimproveratrice. Ma quanto è meglio esser ripreso da un saggio, che non lusingato da tutti gli stolti insieme! « Melius est a sapiente corripi, quam stultorum adulatione decipi.  E’ meglio l’esser ripreso dai saggi, che ingannato dall’adulazione degli stolti » (Qoèlet 7, 6). E poi, fa pur ciò che vuoi. O tosto, o. tardi il tuo peccato ha da starti dinanzi agli occhi. Se non ti starà in vita, ti starà in morte: « Arguain le, el statuam contra faciem tuam. — Ti riprenderò, e te porrò di contro alla tua faccia » (Salmo 50, 21).

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