La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

XI. GIORNO

A quali pene saranno nell’altra vita condannati i reprobi e i malvagi.

 

«Hi sunt, quibus procella tenebrarum servata est in aeternum. — Questi sono coloro, cui la procella di tenebre sta serbata in eterno » (Lettera di Giuda).

 

I.

Considera, come una delle alte pene, che dai dannati si proveranno nel baratro dell’Inferno, sarà quella delle tenebre. Non saran queste solamente palpabili, come quelle già dell’Egitto, ma procellose; che però dice questo Beato Apostolo di quei miseri : « Hi sunt, quibus procella tenebrarum servata est in aeternum — Questi sono coloro, cui la procella di tenebre sta serbata in eterno». Saran poi queste tenebre di due sorta, esteriori, e interiori. Le une appartengono alla pena di senso, le altre appartengono alla pena di danno. Prega il Signore, che ti dia lume da poter ben apprendere le une, e le altre, per poterle al pari temere.

II.

Considera primieramente le tenebre esteriori, che tante volte Cristo ricordò nel Vangelo : «Ejicientur in tenebras exteriores: Ejicite in tenebras exteriores: Mittite eum in tenebras exteriores — Saran gettati nelle tenebre esteriori : Gettatelo nelle tenebre esteriori : Mettetelo nelle tenebre esteriori»; non perchè l’esteriori sieno più tormentose delle interiori, ma perchè son più sensibili. Queste nell’Inferno procederan da tre capi : dalla stanza, dal sito, dalla materia. E in primo luogo procederan dalla stanza, dove abiteranno i dannati. Perciocchè quando ti figuri l’Inferno, hai da figurarti una vasta concavità giù nel centro più intimo della terra, in corde terra (affinchè i dannati sian distanti più che mai sia possibile da’ Beati), la quale a guisa di una sepoltura chiusissima non può godere spiraglio alcuno di luce, perchè di sopra ha ella tanto di terra che la ricuopre, quanto ha di sotto, e quanto ha da ognun de’ suoi lati : « Descenderuntque vivi in Infernum, operti humo. — E ricoperti dalla terra sceser vivi all’Inferno » (Numeri 16, 33). In secondo luogo procederan dal sito, in cui dimoreranno i dannati. Perchè in questa lor sepoltura staranno tutti dopo il dì del Giudizio, come ora stanno i cadaveri nelle loro in tempo di peste, allorchè già sono colme, accavallati, ammassati; di tal maniera, che siccome non potranno mai stendersi, mai stirarsi, mai schiuder bocca ad articolare per loro sfogo una sillaba, o un suono, che sia distinto (conforme all’intendimento di chi già disse: « Impii in tenebris conticescent — Gli empi nelle lor tenebre saranno muti ») (Primo libro di Samuele 2, 9); così né anche potranno aprir mai palpebre a provarsi se giungono a veder nulla. Tanta sarà l’oppressione, che dovrà fare di essi l’ira Divina, quando alla fine si metterà sotto i piedi tutta insieme la massa de’ suoi nimici, e la calcherà: « Calcavi eos in furore meo. — Io gli ho spremuti nel mio furore » (Isaia 63, 3). In terzo luogo procederanno finalmente dal fumo in cui sempre i dannati saranno involti, ch’è la materia. Perciocchè questa sepoltura tartarea ha per suo fondo, com’è certo, un gran lago di solfo acceso : Stagnum ignis ardentis sulphure (Apocalisse di Giovanni 19, 20), il qual formando un fuoco torbido e tetro, e però niente atto a far luce, manderà volumi di fiamme terribilissime, tutte miste di fumo immenso, che non dovrà mai cessare: « In sempiternum ascendet fumus ejus. — Salirà in eterno il fumo di lui » (Isaia 34, 10). E qui sarà la procella vera di tenebre, procella tenebrarum. Perchè quando quel fumo arrivato all’alto non troverà quivi alcun esito da esalare, tornerà al basso, con un impeto sommo a rincalzar giù quell’altro, che su l’incalza, e da per tutto inoltrandosi, e insinuandosi, offuscherà quella gran caverna di modo, che quando ancora si togliesse da’ reprobi ogn’altro ostacolo, o della stanza, o del sito, non potrebbono i miseri dare un guardo senza rimanere acciecati. Fingiti un poco, che sarebbe ora di te, se ancora tu ti trovassi in un tale stato, e ringrazia Dio, che per te finora la procella non sia venuta; ma temi i segni.

III.

Considera secondariamente le tenebre interiori, peggiori senza dubbio delle esteriori, benchè da noi meno apprese. Queste possederanno la mente d’ogni dannato, siccome quelle ne posseggono il corpo. E procederanno prima dalla carenza d’ogni lume Divino: « Vae nobis! quia declinavit dies. — Poveri noi! il giorno declinò » (Geremia 6, 4). Perchè già sopra di loro sarà cessato di folgorar questo Sole, che qui si mostra a ciascuno così benefico; nè vi saranno più illustrazioni, più ispirazioni, visite di pietà, ma di punizione. Secondariamente procederan da’ tormenti, che per l’atrocità loro somma non lascieranno, che chi gli soffre, possa mai più discorrere, più distinguere, più pensare ad altro, che come stupido, al male che sì l’opprime : « Emarcuit cor meum: tenebrae stupefecerunt me. — Il cuor mi si strugge; l’orrore mi rende stupido » (Isaia 21, 4). Terzo procederanno dalle passioni, che tenendo loro sì altamente ingombrata la volontà, passeranno anche ad ingombrar l’intelletto. E qui pur sarà la procella, procella tenebrarum. Perchè se solo una gran passione di sdegno basta ad accecar l’intelletto di ogni uomo savio: « Caligavit ab indignatione oculus meus — Pel gran dispetto ho perduto il lume degli occhi » (Giobbe 17, 7), che farà ne’ dannati, i quali arderanno sempre di rancore, e di rabbia così implacabile verso Dio? Questo farà, che benchè sappiano d’esser puniti a ragione, pur vogliano bestemmiarlo come iniquissimo. Questo farà, che disprezzino la sua grazia, che odiino la sua gloria. Questo farà, che mai non vogliano a lui superbi umiliarsi. ancorchè si conoscano sì umiliati. Misero chi già si trova in sì gran procella! Se tu non vuoi ritrovartici, ch’hai da fare? Dolerti in sommo di veder Dio per queste sì folte tenebre trattato sì malamente, dove ancor dovrebb’essere si onorato : mentre è certissimo, che non minor lode si dovrebbe a lui nell’Inferno, per la giustizia ch’esercita, di quella che gli si rende nel Paradiso, per la misericordia che fa godere.

IV.

Considera, che le procelle quanto sono più impetuose, tanto sogliono esser ancor più brevi. Ma non tale già sarà quella, che verrà sopra i reprobi nell’Inferno. Però affinchè tu udendo dal Santo Apostolo, che a’ meschini è riserbata una procella di tenebre, procella tenebrarum, non ti desti a credere, che dovess’essere veramente furiosa, ma transitoria; ha voluto egli soggiugnere chiaramente, che sarà procella bensì, ma procella eterna: Quibus procella tenebrarum servata est in aeternum. Se però quella procella quand’anche non fosse più, che d’un’ora sola, sarebbe sì formidabile; che sarà, mentre non avrà giammai fine per tutti i secoli? « Usque in aeternum non videbit lumen. — Non vedrà luce in eterno » (Salmo 49, 20). Una sola notte che tu non dorma, ti annoia sofferir quelle tenebre sino all’alba, che pur sì tosto verrà. Che sarà dunque dove non si concede più sperar alba, e pure si patisce una notte sì tormentosa, non sopra un morbido letto, ma sulle fiamme? Ivi sì che si potrà dire: « Expectavimus lucem, et ecce tenebrae — Aspettammo la luce, ed ecco le tenebre » (Isaia 59, 9), perchè ad una notte succederà l’altra notte, ed all’altra l’altra, ed all’altra l’altra, senza che mai giungasi ad una, la qual finisca. Quando però non fosse ancor per altro tolto a’ dannati fuggir mai da quel baratro profondissimo, basti dir, ch’ivi stanno in sì folte tenebre, per capir subito, che non ne potranno in eterno trovar l’uscita.

V.

Considera finalmente, come l’Apostolo dice che questa gran procella di tenebre, non solo è apparecchiata già a questi miseri, ma serbata : Hi sunt, quibus procella tenebrarum servata est in aeternum. Si apparecchiano ad uno ancor quelle cose, su cui mai non ebbe ragione di alcuna sorta; ma gli si serbano propriamente sol quelle che gli appartengono: « Servate mihi puerum Absalon. — Serbatemi il figliuolo Assalonne » (Secondo libro di Samuele 18, 5). Mira però quanto giustamente si serbino queste tenebre a’ peccatori, mentre benchè splendesse sopra di loro una luce così chiara, così cospicua, qual è quella dell’Evangelio, chiusero a bello studio i lor occhi per non vederla, anteponendo i loro folli dettami cavallereschi agl’insegnamenti medesimi di Gesù: « Dilexerunt magis tenebras, quam lucem. — Amaron meglio le tenebre che la luce » (Vangelo di Giovanni 3, 19). Che fai pertanto ancora tu di presente? Sei forse amico di tenebre? Guarda bene, che s’è così, sei dunque amico della tua dannazione. Sono queste due cose tra loro così connesse, che spesso a significare la dannazione non altro si usa, che questo solo vocabolo delle tenebre: « Non patietur animam ire in tenebras. — Non permetterà, che l’anima cada in tenebre » (Tobia 4, 11).

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