La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

AGOSTO

 

X. GIORNO

San Lorenzo Martire.

Quali tentazioni siano più da temersi nella vita spirituale.

«Patior, sed non confundor. Scio enim cui credidi, et certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem.— Patisco, ma non mi confondo. Perocchè io so chi sia quegli di cui mi sono fidato, e son certo, ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno » (Seconda lettera a Timoteo 1, 12).

 

I.

Considera, che le tentazioni maggiori, le quali forse ti assalgono nella vita spirituale, sono le tentazioni di diffidenza. Ti par talora che quanto in essa fai per Dio, sia perduto, mentre contuttociò tu dovrai dannarti. Però contr’esse vagliati di armatura questo luogo bellissimo dell’Apostolo, il quale io qui ti propongo da contemplare. Non odi la prima voce, che quasi a forza di gran dolore egli lasciasi uscir di bocca? « Patior. — Patisco ». Ti confessa con ogni sincerità, che patisce assai : Patior. Ma ti aggiugne anche tosto, che se patisce, non si confonde : Patior, sed non confundor. Tu spesso credi, che i Santi, perchè avvampavano tanto di amor di Dio, stessero tra’ lor patimenti, come talor certi Martiri su le Croci, o su le cataste, senza sentirli. E non è così. Sentivano molto bene, e le ingiurie che lor venivano fatte, e i disastri, e i disagi, e le infermità. Ma che? Se le sentivano, non si avvilivano d’animo. Dicevano con l’Apostolo francamente: « Patior, sed non confundor — Patisco, ma non mi confondo ». E per qual cagion Io dicevano? Perchè sapevano qual Signore era quello, a cui si erano rassegnati : Scio enim cui credidi, etc. Non ti dia però manviglia, se tu, che sei facilmente di spirito ancora debole, senti fortemente il patire. Se no ‘1 sentissi, non patiresti. Basta, che se patisci, non ti confondi, cioè non lasci mai di tener viva la fede, che devi avere nel Signore e la confidenza: « Ego Dominus, super quo non confundentur omnes, qui expectant eum. — Io sono il Signore, e non saran confusi coloro, che mi aspettano » (Isaia 49, 23). Oh con quanta enfasi hai da dir in questo proposito con l’Apostolo : « Scio cui credidi — So chi sia quegli, di cui mi son fidato » ! Quando tu conosci molto bene un Padrone, non ti lasci punto sconvolgere da coloro, che te lo vogliono talor porre in discredito, quasi di te non curante; ma te ne beffi, con dir frattanto fra te : so di chi mi sono fidato. E questo è ciò ch’hai da dire nel caso nostro. Che importa a te, che i tuoi pensieri fantastici con mille ombre, e con mille orrori, ti vogliano figurare, che tu servi uno, il quale al fine ti lascierà in abbandono per le tue colpe? Non ti curare di entrare in lite con essi; ma solamente di’ fra te: « Scio cui credidi — Io so chi sia quegli, di cui mi son fidato ». E con ciò più agevolmente gli avrai fugati.

II.

Considera, che significhi qui più distintamente l’Apostolo con questo suo « Scio cui credidi — So chi sia quegli, di cui mi son fidato ». Significa due cose, che finalmente ritornano tutte in una. Significa : So chi sia quegli di cui mi sono fidato, cui credidi: e significa parimente : So chi sia quegli a cui ho confidato ogni ben, ch’io faccia : cui credidi depositum meum. Dice « scio cui credidi — so chi sia quegli, di cui mi son fidato », non « scio quod credidi — so cosa io abbia fidato », perchè ciò deve bastarti, sapere con evidenza quanto fedele sia quel Signore a cui servi, quanto buono, quanto benigno, quanto inclinato ad usare misericordia, mentr’egli è Dio. Nel resto, se non sai sciogliere quelle difficoltà, che i tuoi pensieri, per metterti in confusione, ti suggeriscono intorno alla grazia, ch’egli vuole ad altri concedere, e non a te, intorno alla Predestinazione, intorno alla Perseveranza, intorno ad altre tali cose, oscurissime ancora a’ dotti, non ti affannare; ti basti dir, che tu sai, da chi tu dipendi : Scio cui credidi. Non val più dunque ad assicurarti la Fede, che quante rivelazioni potessi mai tu ricevere in cose tali? Le rivelazioni sono sottoposte ad inganno: la Fede no. E così non è necessario d’intendere tali cose, quali elle sono, a ben operare; è bastante crederle, con far un atto di Fede. Anzi neppure è necessario poter dire: « Scio cui credo — So chi sia quegli, di cui mi fido »; basta poter dire : « Scio cui credidi — So chi sia quegli, di cui mi son fidato »; perchè quando anche talor ti trovi in tanta offuscazione di mente, in tanta aridità, in tanta angustia, che non possi eccitare una tal fede attuale dentro il cuor tuo, ti basti l’abituale. Ricordati di quegli atti, che già facesti una volta, di confidenza, ed in essi tienti. Quegli atti stessi passati hanno a far che sii sicurissimo di presente: « Scio cui credidi, et certus sum — So chi sia quegli, di cui mi son fidato, e son certo ». Hai tu udito? Non dice « fui — sono stato », dice « sum — sono ».

III.

Considera, qual sia quel deposito, di cui qui favella l’Apostolo, quando dice: « Certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem — Son certo ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno ». Sono i patimenti, ch’egli tollerava per Dio, i pellegrinaggi, le predicazioni, le prigionie, le percosse, e così va tu discorrendo. Tutti questi egli nomina il suo deposito, perchè gli avea depositati una volta nelle mani di Dio, nè però più volea punto pensare a sè, nemmeno in ciò, che spettava alla sua salute, ma solo a lui. Oh che bell’atto fu questo ! E perchè dunque tu non procuri, secondo almeno la povertà del tuo spirito, d’imitarlo? Abbandona tu ancora in mano al tuo Dio fino il negozio medesimo dell’eterna tua salvazione, che ti tiene talvolta così sollecito : e in cambio di più stare a fantasticare affannosamente co’ tuoi pensieri, e a discorrere, se ti salverai, o no; mettiti piuttosto a far atti di amor di Dio, stenta per lui, studia per lui, salmeggia per lui: di’, che non vuoi se non solo da lui dipendere: « In manibus tuis sortes meae. —E’ nelle tue mani la mia sorte » (Salmo 31, 16); e così acquisterai quel tempo che perdi in pensieri, o inutili, o inquieti.

IV.

Considera come l’Apostolo non vuole enumerare questi suoi patimenti in particolare, dicendo : « Potens est servare labores meos, vincula mea, verbera mea — Può conservare le mie fatiche, le mie catene, le mie sferzate » ; ma vuole accoglierli tutti sotto questo nome generico di deposito, con dir depositum meum; per farti con ciò avvertito, che tu non ti devi curare di ricordarti innanzi a Dio per minuto di ciò, ch’hai patito per lui, quasi che tu voglia vantarglielo. Basta, che te ne ricordi talor così in generale per animarti. Credi, che quando ancora te ne dimentichi, non troverai presso Dio serbato per minutissimo tutto ciò, che per lui patisci? Non dubitare. Non ti perirà neppure una stilla piccola di sudore, non che di sangue. Che più? « Capillus de capite vestro non peribit — Non perirà un capello del vostro capo » (Vangelo di Luca 21, 18) quando sia reciso per Dio.

V.

Considera per qual ragione non dica tuttavia l’Apostolo : « Scio quia depositum meum servabit — So che conserverà il mio deposito »; ma solamente : « quia potens est servare — ch’egli può conservare ». Fa egli ciò per una formola più efficace. Dice meno, ma significa più. Non credi tu, che il Signore possa molto ben custodire presso di sè tutto ciò ch’hai sofferto per amor suo? Ma se può farlo, tieni dunque per infallibile, che il farà, perchè a nostro modo d’intendere maggior torto faresti a Dio, qualor tu diffidassi della sua fede, che qualor tu diffidassi delle sue forze: « Potens est servare — Può conservare » ; e se così è, di che temi? « Si potens est servare, servabit — Se può conservare, conserverà « Non injustus est Deus (dicea l’Apostolo agli angustiati Fedeli) ut obliviscatur operis vestri, et dilectionis, quam osten distis in nomine ipsius. — Dio non è ingiusto, onde si dimentichi dell’opera vostra, e della carità, che avete mostrata pel nome di lui » (Lettera agli Ebrei 6, 10). E pur qual modo di favellare fu questo? Parea che dovesse dirsi: « Non immemor est Deus, ut obliviscatur — Dio non è uno smemorato, onde si dimentichi », non dirsi : « non est injustus — non è ingiusto ». Tuttavia fu detto così, perché intendasi qual depositarlo sia quello, di cui trattiamo. In noi la dimenticanza di alcuna piccola cosa, che ci sia stata consegnata in deposito, può talvolta succedere senza colpa, ma non in Dio. Egli nell’alto Erario della sua mente « potens est servare — può conservare », sin una minima paglia, che per lui siasi raccolta dal pavimento. E però, se può farlo, è tenuto farlo: e s’è tenuto, non potrebbe egli dunque mai essere smemorato intorno a questo particolare delle opere per lui fatte, senza essere ancora ingiusto. Quindi è, che verso gli uomini passa bene quell’ avvertimento prudente dell’Ecclesiastico : « Quodcumque tradir, numera, et appende: datum vero, et acceptum, omne describe. — Tutte le cose, che dai, contale, e pesale: e scrivi a libro tutto quello, che dai, e quel che ricevi » (Ecclesiastico o Siracide 42, 7); ma verso Dio sarebbe superfluo, e però ingiurioso. Lascia pure di tutto il pensiero a lui. A te basti di risapere, che può serbar molto bene tutto ciò, che gli hai confidato : Potens est servare depositum tuum, affine di risapere, che te lo serba. Hai paura, che se te ‘l serba, non te l’abbia un dì fedelmente a restituire? Così fan gli uomini, ma non così fa mai Dio.

VI.

Considera per qual ragione disse l’Apostolo : « Certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem — Son certo, ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno », cioè nell’ultimo giorno. Non poteva da Dio farsi egli rendere, per così dire, anche prima questo deposito, con ricevere anche in terra da lui molto almen di quella mercede, che meritavansi di mano in mano i travagli per Dio sofferti? Poteva, qual dubbio v’è? ma non lo curava. Bastava a lui, che il suo dovere gli fosse riserbato al giorno ora detto. I meno accorti, quando fan per alcuno qualche lavoro di molto stento, o di molta spesa, voglion esser pagati di giorno in giorno, e così non divengono giammai ricchi; ma i più avveduti piuttosto han caro il contrario; han caro di ricevere il pagamento al dì ultimo, tutto insieme. Che fai tu dunque allor, che fra te medesimo ti lamenti, come se Dio si fosse affatto dimenticato di te? Vuoi che ti paghi egli forse di mano in mano? Ti basti di aspettare all’ultimo giorno: In illum diem, in illum diem. Così molto più sarai ricco. Ma qual è quest’ultin» giorno? E’ quello del Giudizio particolare, ed è quel dell’universale. In quel del particolare Iddio minutissimamente ti renderà la mercede di tuttociò ch’hai sopportato per lui, e in quello del generale ti renderà di più quel corpo medesimo, nel qual tu l’hai sopportato. E questo è l’altro deposito, di cui potè qui favellare l’Apostolo, quando disse: « Potens est depositum meum servare — Può conservare il mio deposito »; il suo corpo sì affaticato, sì mortificato, sì macero, sì piagato. Il primo deposito appartiene al primo di questi due dì, il secondo al secondo. S’intitola poi quel dì ultimo, « dies ille — quel giorno », senz’altro aggiunto, perchè non ve n’è altro simile a quello, in bene ai buoni, in male ai malvagi. E questo è il giorno, che devi aver sempre vivo nella memoria per confortarti, con dir fra te: « Patior, sed non confundor. Scio enim cui credidi, et certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem — Patisco, ma non mi confondo. Perocchè io so chi sia colui, di cui mi son fidato, e son certo ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno »; non « illo die — in quel giorno », perchè in quel giorno Iddio non te ‘l dovrà più serbare, te ‘l dovrà rendere: ma « in illum diem — sino a quel giorno », perchè non più in là, che a quel giorno, dovrà serbartelo: « Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique secundum opera sua — Ecco che io vengo tosto, e meco porto la mercede, dovuta a ciascuno secondo il suo operare ».

VII.

Considera, come da questo luogo tu puoi raccogliere, che nemmeno ai Santi grandissimi è mai disdetto, massimamente in tempo di afflizioni, di angoscie, di traversie, il rincorarsi con la speranza del loro sicuro premio, anzi è stato ciò loro frequente assai, come, se tu trascorri per le Divine Scritture, potrai conoscere. Vero è, che talvolta, a fare che il demonio si parta anche più scornato, senz’aver voglia di ritornare a inquietarti con queste sue tentazioni di diffidenza, tu gli hai da dire così: « Scio cui credidi, et certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem — So chi sia quegli, di cui mi son fidato, e son certo, ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno »; ma quando egli no ‘1 volesse serbare, ma dimenticarsene, permettendo, come per altro può far, la mia dannazione; a tuo dispetto voglio seguitare a servirlo più ch’io potrò, mentr’egli è Signor sì grande, che merita per sè solo d’essere amato ancora da tutti coloro, ch’egli abbia in odio. Così pur dissero quei tre animosi fanciulli al Re Nabucodonosor, che gli tentava d’idolatria, sotto pretesto, che il loro Dio non gli avrebbe mai liberati dalle sue mani: Quis est Deus, qui eripiet vos de manu mea? « Non oportet, ripigliarono essi, non oportet nos de hac re respondere tibi — Non è necessario che sopra di ciò noi ti diam risposta » (Daniele 3, 16), che sarìa tempo perduto : « Ecce enim Deus noster, quem colimus, potest eripere nos de camino ignis ardentis, et de manibus tuis, o Rex, liberare. Quod si noluerit, notum sit tibi, Rex, quia deos tuos non colimus, et statuam auream, quam erexisti, non adoramus — Poichè certamente il nostro Dio, che adoriamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente, e sottrarci al tuo potere, o Re. Che s’ei nol vorrà, sappi, che noi non rendiam culto a’ tuoi numi, nè adoriamo la statua d’oro, che hai innalzata ». Oh che risposta divina! E questa è quella, che devi tu dare al demonio, qualor ti tenti ad adorar i suoi idoli, che sono i vizi, che sono le vanità, sotto pretesto, che tanto finalmente avrai da dannarti : « Non oportet, gli hai tu da dire, non oportet de hac re respondere tibi —Non è necessario, che sopra di ciò io ti dia risposta ». Io non voglio qui stare a disputar teco, o Re delle tenebre. So che il mio Dio mi può far molto più bene di quel che io merito : « Ecce Deus meus, quem colo, potest eripere me de camino ignis ardentis — Ecco il mio Dio, che adoro, può liberarmi dalla fornace di fuoco ardente », dove stai tu bruciando da tanti secoli, « et de manibus tuis me liberare — e sottrarmi al tuo potere ». Ma quando ancor ciò non voglia, per l’alte ingiurie, ch’ha da me ricevute : Quod si noluerit, io tuttavia fo saperti, notum sit tibi, che in questo caso medesimo mi voglio studiar di servirlo fino alla morte, con tutta la fedeltà, che mi sia possibile; voglio amarlo, voglio adorarlo, nè sarà vero, che a niuno pieghi le ginocchia, fuor che a lui solo : « Notum sit tibi, Rex, ma Rex tenebrarum, notum sit tibi, quod deos tuos non colo — Sappi, o Re delle tenebre, che io non rendo culto a’ tuoi numi », et statuam auream, ch’è la felicità falsamente da te promessa, « et statuam auream, quam erexisti, nec adoro, nec adorabo — e non adoro, nè adorerò la statua d’oro, ch’hai innalzata ». Così il demonio finirà di tentarti in questa materia di diffidenza intorno alla tua salute, che forse è la più crudele di tutte l’altre.

VIII.

Che se piuttosto ami in questo dì di applicare questo luogo sì nobile dell’Apostolo, ch’hai discusso, all’invittissimo Martire S. Lorenzo, cui ben conviene, lo puoi far ora da te stesso con somma facilità. Oh con che affetto dovea dir egli tra sè su la penosa graticola : « Patior sed non confundor. Scio enim cui credidi, et certus sum, quia potens est depositum meum servare in illum diem —Patisco, ma non mi confondo. Perocchè io so chi sia quegli, di cui mi son fidato, e son certo, ch’egli può conservare il mio deposito sino a quel giorno ».

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