La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

I. GIORNO

Quale conforto rechi all’anima l’Orazione, e quanto debba il Cristiano esser sollecito nell’intraprenderla.

 

« Noli diligere somnum, ne te egestas opprimat: operi oculos tuos, et saturare panibus.— Non amare il sonno, affine di non essere oppresso dalla povertà: tieni aperti gli occhi, ed avrai pane da saziarti » (Proverbio 20, 13).

 

I.

Considera quanto il Signor fu geloso, che il suo Popolo nel deserto non fosse amante di sonno. Però egli tolse a somministrargli la manna non solo di giorno in giorno, ma sì per tempo, che al primo raggio di Sole ella dileguavasi. Onde chi non era sollecito di uscir presto a raccorla sui primi albori, non potea far altro quel dì, che restar digiuno. Ma perchè ciò? Perchè intendasi, che in questo nostro pellegrinaggio mortale non ci dobbiamo lasciare gravar dal sonno, ma che piuttosto lo dobbiam da noi scuotere di buon’ora, affine di provvederci di quel celeste ristoro, ch’è necessario in sì laborioso cammino. Questo ristoro si è quello, che si riceve nell’Orazione, la qual Dio sempre gradisce, ma specialmente prima che si alzi il dì chiaro. E perchè niuno si creda, che queste sieno interpretazioni più divote che salde, ecco ciò, che il Signore ordinò, che letteralmente si registrasse di quella manna da lui donata al suo popolo : « Quod ab igne non poterat exterminari, statim ab exiguo radio Solis calefactum tabescebat: ut notum omnibus esset, quoniam oportet praevenire Solem ad benedictionem tuam, Domine, et ad ortum lucis te adorare. — Quella (manna) che non poteva esser consunta dal fuoco, riscaldata a un piccol raggio del Sole, squagliavasi : affinchè sapessero tutti, come si dee prevenire il Sole per vostra benedizione, o Signore, e adorarvi allo spuntar della luce » (Sapienza 16, 27). Ora a questo genio divino par che intendesse qui pur il Savio di alludere, quando disse : « Noli diligere somnum, ne te egestas opprimat: aperi oculos tuos et saturare panibus. — Non amare il sonno, affine di non essere oppresso dal sonno : tieni aperti gli occhi, ed avrai pane da saziarti ». Pareva, ch’egli molto ben conoscesse ciò, che vediam succedere tutto giorno: ed è, che chi la mattina non si leva per tempo a fare Orazione, o non la fa più, o la fa trascuratamente. Tu come sei sollecito a tale effetto? Qualora il sonno lusinghiti a stare in letto più del dovere, di’ a te medesimo queste parole del Savio pur or citate : « Noli diligere somnum etc. — Non amare il sonno ecc. », e vedrai se ti serviranno a guisa di stimoli, per farti balzar su da quelle misere piume, dove non ti costringe a giacer la necessità, ma la sonnolenza : « Verba Sapientum sicut stimuli, et quasi clavi in altum defixi. —Le parole de’ saggi son come pungoli, e come chiodi piantati profondamente ». « Sicut stimull — Come pungoli », per incitarci al bene, « et quasi clavi —e come chiodi », per ritenerci dal male (Ecclesiastico o Siracide 12, 11).

II.

Considera, che mentre il Savio dice : « Noli diligere somnum — Non amare il sonno », ben si conosce, che non vieta il sonno decente, ma l’eccessivo. E se vieta questo, egli ha ragione giustissima di vietarlo; perchè il sonno porta la pigrizia, la pigrizia porta l’ozio, l’ozio porta la trascuraggine, la trascuraggine porta la povertà. E’ questa una catena di mali tra loro sì intrecciati, e si inseparabili, che il Savio, per ispedirsene prestamente, trapassa dal primo all’ultimo, e dice tosto : « Noli diligere somnum, ne te egestas opprimat. — Non amare il sonno, affine di non essere oppresso dalla povertà ». Ma qual è questa povertà, che ti reca nel caso nostro? E’ una povertà infelice di spirito, ch’è la peggiore di tutte. Perchè se la manina ti lasci sedur dal sonno, o non ti ristori con l’Orazione ordinaria, o se ti ristori, lo fai sì strapazzatamente, e sì scarsamente, che non acquisti vigore alcuno di forze a ben operare, ch’è quello, ove al fine sta la vera ricchezza. Nota però, che non dice: « Noli diligere somnum, ne te fames opprimat — Non amare il sonno, affine di non essere oppresso dalla fame » ; ma « egestas — dalla povertà » ; perchè chi non si alimenta di cibo corporale, si sente, è vero, sopraffar poi dalla fame; ma non così chi non si alimenta di cibo spirituale, ch’è quello singolarmente, di cui qui parlasi. Questi piuttosto la perde: ma si sente poi sopraffar dalla povertà; perché quando vuole operar punto di bene, non ha capitale, che a tanto basti; cede ad ogni piccola spinta di suggestione diabolica, non può soffrire un piccolo torto, non può sopportare una piccola traversia, non sa resistere a un solo di quegli assalti, che vengono alla giornata : « Percussus sum ut faenum, et aruit cor meum, quia oblitus sum comedere panem meum. — Sono appassito come erba, e il mio cuore si è inaridito, perchè mi sono dimenticato di pigliare il mio cibo » (Salmo 102, 5). E dove mai si ritrova, ch’un si dimentichi di pigliare il cibo del corpo? Men che uno pigliane, più si ricorda ch’egli l’ha da pigliare, perchè più gli cresce la fame. Il cibo, ch’un si dimentica di pigliare, è quel dello spirito, perchè qui a lungo andare la fame manca. Ma qui è pur dove rimane alfin l’uomo povero, come il fieno quando è già secco. E questa è quella povertà veramente, la qual ti opprime, quella che ti abbatte le forze.

III.

Considera quanto il Savio viene però opportunamente a soggiugnere « operi oculos tuos, et saturare panibus — tieni aperti gli occhi, ed avrai pane da saziarti ». Hai d’aprir gli occhi; gli occhi del corpo e gli occhi dell’animo; gli occhi del corpo, scotendo da loro il sonno : gli occhi dell’animo, fissandoli a contemplar quelle verità, che ti sei la sera proposte di meditare. E con ciò goditi finalmente quei pani, con cui Gesù nutre l’anime nel deserto di questo Mondo : Saturare panibus. Questi pani son due. Uno pasce l’ intelletto, I’ altro pasce la volontà; il primo consiste nelle intelligenze, che l’uomo da Dio riceve immediatamente nell’Orazione, o da sè ricerca; il secondo negli affetti. Ma chi può dire qual sia de’ due più gustoso? Quando però senti dir pane, non ti svogliare, perchè quí trattasi di pane sì, ma celeste. Credi tu per ventura, che questo pane sia pane simile al nostro, pane insulso, pane insoave? No certamente. Anzi egli è quello, di cui fu figura la Manna; che però meglio di essa contiene ancora in sè la moltiplicità di tutti i sapori. « Panem de Coelo praestiasti eis, omne delectamentum in se habentem. — Dal cielo somministrasti ad essi un pane, contenente in sè ogni delizia » (Sapienza 16, 20). Mentre il Savio pertanto dice qui « saturare panibus — avrai pane da saziarti », non credere, che pretenda, che tu ti sazii di pane asciutto, sapendo egli ben per altro, che l’Orazione fu detta nei Salmi simile ad un convito « Justi epulentur in conspectu Dei. — I giusti banchettino alla presenza di Dio » (Salmo 68, 4). Pretende, che ti sazii egualmente di quei diletti, che gode l’anima, sì nel conoscere il suo Dio, sì nell’amarlo. Questi diletti non sono frivoli, e falsi, come i diletti mondani, ma sostanziosi, e però si esprimono sotto nome di pane, più che di qualunque altro cibo, per dinotare quel segnalato conforto, che danno all’anima : « Panis cor hominis confirmet. — Il pane corrobori il cuor dell’uomo » (Salmo 104, 16). Nel resto, quali vivande può giammai porgere il Mondo, che agguaglino questi pani, di cui l’uomo si pasce in trattar con Dio? Quelle recano un diletto superficiale, che non passa in là dal palato; e questi recano un diletto profondo, che giunge al cuore : « Inventi sunt sermones tui, et comedi eos, et factum est mihi verbum tuum in gaudium, et in laetitiam cordis mei. — Io trovai la tua parola, e me ne cibai, e la tua parola si è convertita in gaudio, ed in letizia del mio cuore » (Geremia 15, 16). « In gaudium — In gaudio », per quel godimento, il quale vi ha l’intelletto; « in Iaetitiam — in letizia », per quel piacere, il quale vi sperimenta la volontà, che sono quelle due potenze, che si comprendono sotto il nome stesso di cuore. E poi, non sai tu come sono tutte le vivande del Mondo avvelenate? Sono come i cibi notevoli, che quanto ti lusingano con quel poco di dolce, che fan sentirti infimo che ti dimorano sul palato, tanto ti affliggono con quel molto di amaro, che poi ti partoriscono nello stomaco. Laddove i pani del cielo, e piacciono, e giovano. E però vengono altresì detti pani, perchè s’intenda, che sono un cibo sicuro, un cibo salubre, un cibo, che ben tonfassi ancor fermi. Senza che, chi non sa, che il nome di pane non si ristringe nell’idioma Divino ad una specie di cibo individuale, com’è nel nostro, le abbraccia tutte. E però egli è qui posto a significare e le intelligenze, e gli affetti, di cui ti nutri in quel convito beato, di cui qui parlasi. Comunque sia. Lascia pur tutte al mondo le sue vivande, perchè ampiamente egli le offra a chi le vuole. Tu appigliati a questi pani, che dà il Signore, e di questi saziati : Saturare panibus, se pur appieno giammai tu potrai saziartene, tanto ne avrai sempre più brama.

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