Nel racconto biblico – è una grande imbarcazione costruita su indicazione divina da Noè per sfuggire al Diluvio universale  e preservare la specie umana e gli altri esseri viventi.

Riscontri storici

La pratica legata alle ricerche di possibili resti dell’arca è largamente considerata pseudoscientifica, più specificamente pseudoarcheologica.

Dall’epoca di Eusebio di Cesarea, la ricerca dei resti materiali dell’arca di Noè ha costituito un’ossessione per numerosi cristiani – e non per gli ebrei o i musulmani, che sembrano essere meno interessati a ritrovare il relitto. Si deve a un cronista armeno del V secolo, Fausto di Bisanzio, il primo utilizzo del nome di “Ararat” per indicare una montagna ben precisa, piuttosto che una regione. L’autore affermava che l’arca era ancora visibile al vertice di questo rilievo montuoso e riferisce che un angelo portò una reliquia tratta dalla nave ad un vescovo, che fu in seguito incapace di compiere la scalata per raggiungere i resti. La tradizione vuole che l’imperatore bizantino Eraclio abbia tentato il viaggio nel VII secolo. Quanto ai pellegrini meno fortunati, dovevano affrontare le zone desertiche, i terreni accidentati, le distese innevate, i ghiacciai e le tempeste, senza contare i briganti, le guerre e, più tardi, la sfiducia delle autorità ottomane.

La regione fu sistemata e resa un po’ più ospitale soltanto al XIX secolo, ciò che permise ad alcuni occidentali di partire alla ricerca dell’arca. Nel 1829, il medico Friedrich Parrott, dopo una scalata al monte Ararat, scriveva nel suo viaggio ad Ararat che “tutti gli Armeni sono fermamente convinti che l’arca di Noè resti tuttora sulla cima dell’Ararat e che, allo scopo di preservarla, nessun essere umano è autorizzato ad avvicinarsi alla città]. Nel 1876, James Bryce, storico, uomo politico, diplomatico, esploratore e professore di diritto civile alla università di Oxford, scalò oltre l’altitudine fino alla quale si possono trovare gli alberi e trovò una trave di legno lavorata a mano, di una lunghezza di 1,30 m e di uno spessore di 12 cm. Lo identificò come un pezzo dell’arca. Nel 1883 il British Prophetic Messenger e altri giornali segnalarono che una spedizione turca che studiava le valanghe aveva potuto scorgere i resti dell’arca.

Il problema dell’arca si fece più discreto nel XX secolo. Nel corso della guerra fredda, il monte Ararat si trovò infatti sulla frontiera molto sensibile tra la Turchia e l’Unione sovietica, così come pure nel bel mezzo della zona d’attività dei separatisti curdi, di modo che gli esploratori si esponevano a rischi particolarmente elevati. L’ex astronauta James Irwin condusse due spedizioni sull’Ararat negli anni 1980, fu anche rapito una volta, ma non scoprì alcuna prova tangibile dell’esistenza dell’arca. “ho fatto tutto ciò che mi era possibile”, ha dichiarato, “ma l’arca continua a sfuggirci”.