La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

GIUGNO

 

XXVII. GIORNO

L’uso dell’Orazione ci fa conversare con Dio.

 

« Intrans in domum meam conquiescam cum illa ; non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus illius, sed laetitiam et gaudium. — Entrando nella mia casa riposerò con essa; poichè nulla ha di amaro il conversare con lei, ed il convivervi non ha tedio, ma letizia, e gaudio » (Sapienza 8, 16).

 

I.

Considera, che questa, di cui favellasi, è la Sapienza divina, ch’è quella Sposa, la qual ti devi una volta finir di eleggere, conversando con lei, convivendo con lei, sicchè ritrovi in essa una quiete altissima, mediante l’esercizio dell’Orazione, non solo quotidiana, ma ancor assidua, che ciò vuol dire e ‘l conversarvi, e ‘l convivervi. Il convivervi porta seco il conversare, se pur non venga impedito accidentalmente. Il conversare non porta seco il convivere. Conversano tra loro quelli, che stanno in una stessa città. Convivono tra loro quelli, che stanno in una medesima casa. Però il conversare è un tratto di tanto in tanto : il convivere è un tratto continuato. Or così appunto figurati che succeda rispetto a Dio. Alcuni trattano ogni mattina con lui, facendo alquanto di orazione divota : ma poi tra il giorno non se ne sogliono ricordar quasi più. E questi si può dir, che con lui conversino. Altri non solo con lui trattano la mattina, ma tutto il dì, con l’esercizio della Divina presenza, che han famigliare. E questi non solo conversano, ma convivono. Tu di qual numero sei? Ti contenti tu solamente di conversare col tuo Signore, oppure ancora vi convivi? Piaccia a Dio, che appena conversi.

II.

Considera, che il conversare con gli uomini, ed il convivervi è molto differente da quel, che si fa con Dio. Il conversare con gli uomini reca amarezza; perchè essi sono di natura superbi, difficili, dispettosi, e però presto ti apportano alcun disgusto. Il convivere reca tedio; perchè quand’essi pur non sien uomini tali, al fine son uomini, e però non può essere, che a lungo andare non ti vengano a noia. Con Dio la cosa non procede così: Non habet amaritudinem, conversatio illius, nec taedium convictus illius. Non puoi temer di amarezza nella sua conversazione, perchè egli è dolcissimo di natura : Spiritus meus super mel dulcis (Ecclesiastico o Siracide 24, 27). E non puoi temere di tedio nel suo convitto, perchè egli per questo medesimo di sè dice: « Spiritus meus super mel dulcis — Dolce è il mio spirito più del miele », perchè il suo dolce non è dolce stucchevole, qual è quello del miele. Tratta pur con uomini di natura amorevole, quanto vuoi, buona, benigna, non può esser di meno, che a lungo andare tu non conosca mancare in loro qualche dote, che vi ameresti; e ciò è bastevole a fare, che te ne attedii. In Dio qual dote puoi bramar, che gli manchi? Più che lo tratti, più lo scorgi perfetto; e così sempre sei più lontano dal risico di annoiartene. Sicchè in progresso di tempo non solo la sua conversazione non ti dà amarezza, non solo il suo convitto non ti dà tedio, ma e ti colma di letizia nella sua conversazione, e ti colma di gaudio nel suo convitto: Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus illius, sed et gaudium; ch’è quanto dire « conversatio laetitiam habet, convictus gaudium — il conversare apporta letizia, il convivere apporta gaudio ».

III.

Considera, che la letizia, e il gaudio, ancorchè del continuo si confondano insieme, sono nondimeno in rigore assai differenti; perciocchè il gaudio è solo del bene presente, la letizia è più del futuro : « Expectatio Justorum laetitia. — L’aspettazione de’ giusti apporta letizia » (Proverbio 10, 28). Quando tu odi esser già vicino l’amico, che da lontani paesi stavi ognora aspettando con impazienza, ti senti tosto svegliare in te un titillamento di giubilo, che ti spinge a corrergli incontro : ma fin qui provi letizia, a parlar propriamente, non provi gaudio. Allor provi gaudio, quando, arrivato al tuo cospetto, l’accogli, l’abbracci, lo baci, e così conosci possedere quel bene, che già sperasti. Altrettanto è nel caso nostro. Il solo conversar, che tu fai con Dio, quando la mattina tu tratti un poco con lui, e poi tra il giorno non usi di ricordartene, non può arrivare a recarti mai quella sì piena allegrezza, ch’è detta gaudio; perché allor si può dire, che piuttosto speri la presenza del tuo Signore, che la possegga. E vuoi tu con sì poco di conversazione essere arrivato a quell’esercizio della Divina presenza, ch’è proprio solamente di chi convive? Non è possibile. Convien però, che puramente tu mediti: il che mai non è senza qualche poco, almen di piccola lontananza dal bene amato, a cui tu pretendi di andare incontro co’ passi, o dell’immaginazione, o dell’intelletto, o degli affetti stentati; e però sin che fai cosi non puoi ancora sapere ciò che sia gaudio. Allora il gaudio si aggiungerà alla letizia, quando sarai giunto a tenertelo ognor presente con quell’Orazione continua di tutto il dì, che ti dà a goder la sua faccia, come a domestico : Laetificabis eum in gaudio cum vultu tuo (Salmo 21, 6). Frattanto aiutati pure, perché più che ad essa ti abiliti, più sempre ancora proverai, se non altro, quella letizia, la qual è propria di chi si scorge il suo bene oramai presente; e così non lo spera con afflizione, com’è di chi se ne trovi lontano assai, ma con letizia, com’è di chi l’abbia prossimo.

IV.

Considera, che questo gaudio del ben presente è apportatore di pace: e così quanto daddovero uno arriva a quell’esercizio della Divina presenza, che qui dicevasi, è arrivato a godere una pace altissima: e da ciò nasce, che una tale Orazione, allorché sta nel suo colmo, è detta di quiete: « Intrans in domum meam conquiescam cum illa. — Entrando nella mia casa avrò con lei il mio riposo ». Oh che quiete gode lo spirito, allora che, uso a trattar familiarmente con la sua sposa, ch’è quanto dire con quella Sapienza divina di cui qui parlasi, la trova ognor, ch’egli vuole: nè d’altro già vago più, che di star con essa ad udire tacitamente ciò ch’ella dice, tiene in quell’atto le tre sue potenze più nobili tutte unite concordemente; nè però solo « quiescit — si tace », quasi in un alto silenzio, ma « conquiescit — riposa », quasi in un placido sonno! Non ha più egli veruno che lo disturbi: son già cessati gli strepiti della immaginazione, è già cessato lo stento dell’intelletto; e mentre le sue potenze godono tutte alla bellezza di quell’eccelsa Verità, ch’han presente; egli frattanto non altro fa, che contemplarla, che ammirarla, che amarla, che compiacersene. Nota però, come qui il Savio non dice « conquiescam apud illam — riposerò presso di lei », ma « conquiescam cum illa — riposerò con lei » ; mercecchè quivi non istà lo spirito, o stupito, o sbalordito, quasicchè alla vista della sua cara Sposa egli cada di subito a terra morto. Non fa così : ma sta su vivo, trattando soavemente con lei:” la contempla, come ho detto, l’ammira, l’ama, se ne compiace, ma di maniera, che non istancasi punto, e così trattando riposa : « conquiescit cum illa — riposa con lei », non che « apud illam — presso lei ». Questa per tanto è quella Terra di requie, alla quale si giunge, dappoi che lungamente si è viaggiato per i deserti, tra le aridità, tra le desolazioni, tra le distrazioni, e tra quei contrasti, che meditando bisognò sostenere più d’una volta a fine di giungervi. E in questa Terra di requie abita la Sapienza, la quale anch’essa riposa, da che lasciò di operare dopo i sei giorni : Requievit die septimo ab universo opere quod patrarat (Genesi 2, 2). E però invita il tuo spirito a voler quivi riposarsene anch’egli con lei.

V.

Considera, che a questo medesimo potè alludere il Savio divinamente, quando egli disse: « Conquiescam cum illa —Riposerò con lei »; perchè il riposo, che in una tale Orazione gode lo spirito, è similissimo a quel della Sapienza, a cui si sposò. La Sapienza arrivata al settimo dì, vide le tante belle opere, ch’avea fatte, le apprezzò, le approvò, ma vide insieme, che non aveva di esse bisogno alcuno, e però ella non riposò punto in esse, come fa l’artefice umano, ma sol da esse: Requievit die septimo ab universo opere quod patrarat; « ab opere — dalle opere », non « in opere — nelle opere ». Ma come si può mai dire, che riposò? Non seguì ella nell’istesso dì settimo ad operare, conservando le cose fatte; e tuttor non opera con produrre alberi, con produrre animali, con produr tante varie sorta di misti? Certo è, che questa Sapienza medesima scesa in terra, protestò a coloro .che la chiamavano violatrice del Sabato, che nemmeno nel Sabato lasciava mai di operare per altrui bene: « Pater meus usque modo operatur, et ego operor. — Il mio Padre opera sino a quest’oggi, ed io opero » (Vangelo di Giovanni 5, 17). Come dunque si dice, che riposò : requievit? Si dice, che riposò, perchè lasciò di far opere, se vogliamo usar questi termini, faticose. Le opere, che fa adesso la Sapienza divina con la potenza, son opere di produzione, non son di creazione; altro è « producere — produrre », altro è « patrare — creare » : patrare è formar ciò, che non v’è; producere è cavarlo dalla virtù di ciò, che lo può generare; e però queste opere non sono più come quelle, che ricercavano per così dire uno sforzo di onnipotenza: son opere, che rispetto a quelle si possono dir riposo : e così giustamente si dice, che la Sapienza « requievit die septimo ab universo opere quod patrarat — riposò il giorno settimo da tutte le opere, che avea create ». Ora figurati, che questo in certo modo faccia lo spirito in quella sua orazion di quiete sì alta, la quale appunto è il suo Sabato delicato. Riposa; ma come riposa? non opera? sì, ma non opera più, come operava da prima, quando cominciò a meditare. Allora facea sol opere faticose: « patrabat — creava »; perchè avea quasi da creare le immagini, da creare le intelligenze, da creare gli affetti, in cui trattenevasi, e conseguentemente durava con le potenze uno sforzo grande; ma ora non fa così. Opera ora tutte queste cose con tanta facilità, ch’è come se non operasse, perchè « producit — produce » solamente, non « patrat — crea »; e per questo si dice, ch’egli ha riposo. Vede ben egli come tutte quelle opere faticose, che fece già meditando, tutte erano buone a farsi, erant valde bona, perchè in virtù contenevano queste altre opere più soavi : contuttociò nemmen si riposa in quelle, non requiescit in illis, perchè non ne ha più bisogno; ma ben piuttosto si riposa da quelle, requiescit ab perchè fa opere, che sono più produzioni, che formazioni, requiescit ab universo opere, quod patrarat. E non ti senti invogliar tu ancora di giugnere in questa Terra di requie sì fortunata, dove son quasi totalmente cessati i dì di fatica, ogni giorno è Sabato? Questo pure intese a maraviglia l’Apostolo, quando disse: « Relinquitur Sabbatismus populo Dei; qui enim ingressus est in requiem ejus Rimanvi un Sabato pel popolo di Dio; perocchè chi è entrato nel riposo di lui », cioè in questa terra ora detta, « etiam ipse requievit ab operibus suis, sicut et a suis Deus — anch’egli riposò dalle opere sue, come Dio dalle proprie » (Lettera agli Ebrei 4, 9). Ma se tu d’un tal Sabato t’invaghisci, sappi, che a un Sabato hanno a precedere molti dì di fatica: « In die septima Sabbatum est. — Il settimo giorno è il Sabato » (Esodo 16, 26).

VI.

Considera, che forse tu crederai, che questa Terra di requie sia assai lontana, sicchè tu abbia a varcare i monti, a varcare i mari per giungervi, come gli Ebrei dall’Egitto alla Palestina. Non è vero. Tu l’hai dentro di te medesimo. Senti, come il Savio dicea : « Intrans in domum meam conquiescam cum ilia. — Entrando nella mia casa riposerò con lei ». Non hai da andar tu alla casa della Sposa. Sii tu qual devi essere, sii prudente, sii pio, e la Sposa si verrà a casa tua. Basta che tu a te la chiami : « Invocavi, et venit in Inc spiritus Sapientiae. — Invocai lo spirito di Sapienza, ed ei venne in me » (Sapienza 7, 7). Ma quel che importa si è, che tu entri assai bene dentro di te, perchè fin a tanto, che stai vagando su le porte de’ sensi, tu non fai niente. Ritirati dal commercio delle creature. Che tanto vedere? che tanto udire? che tanto parlar di tutto? fin che fai così, non istai chiuso in casa, stai fuor di casa; ma fuori la Sapienza fa bene inviti, ammonisce, avvisa, corregge, ma non dà baci : Sapientia foris praedicat, in plateis dat vocem suam e non oscula sua; in capite turbarum clamitat; convertimini ad correptionem meam (Proverbio 1, 20). Se vuoi godere le sue celesti delizie, gli abbracciamenti, gli accarezzamenti, gli amori, lascia le piazze. Che voglio significare? Il sequestramento dalle creature si è quello, che può far sì, che davvero nell’Orazione ti sposi con la Sapienza, che tu goda la sua conversazione, che tu goda il suo convitto, che tu provi in trattar con lei quella quiete, ch’è sì beata. Fino che tu vuoi godere le creature, non puoi godere in eterno chi le creò. Non ti curare di trattar più con esse, se non quanto vaglia per tirare anch’esse a conoscere il vero Bene, che tu conosci: Qui audit, dicat: veni. Nel resto non vedi qual è la loro conversazione, non vedi qual è il loro convitto? La loro conversazione è piena di amarezza, ed il loro convitto è pieno di tedio. Non finisci di crederlo? E’ segno, che ancora non hai provato nè la conversazion del Signore, nè il suo convitto.

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