OTTOBRE
XXIV. GIORNO
Sopra le parole « Et dimitte nobis debita nostra ».
« « Et dimitte nobis debita nostra.— E rimettici i nostri debiti ».
I.
Considera come un padre, il qual per se stesso merita un onore sommo, e sommo ancora lo merita per la cura eccessiva ch’ha de’ figliuoli, non solo in provvederli di nobile eredità, ma di alimenti e proporzionati, e perpetui, su cui campare, fin a tanto che giungano a conseguirla; meriterebbe che i suoi figliuoli lo rispettassero tutti sì unitamente, che mai per nessuna cosa gli dessero alcun disgusto. Ma questo non può avvenire almen moralmente: tanta è la corruttela dell’uman genere. E però Cristo, il qual sapea molto bene, che noi, non ostante gli obblighi, i quali abbiamo al nostro Padre Celeste, dovevamo a guisa di mentecatti arrivare a dargli più di una volta disgusti altissimi, ha qui voluto congiugnere con un Et la petizion precedente, in cui si chiedea il pane quotidiano, con la presente, in cui si chiede la condonazione de’ debiti, per additarci la somma congiunzion, che si trova tra le innumerabili grazie che Dio ci fa, e le innumerabili ingratitudini, con cui noi gli corrispondiamo. Contuttociò piglia cuore, perchè spedito questo Et, ch’è cotanto infausto, passa Cristo di subito ad istruirci intorno al modo di domandar a Dio sì importante condonazione, con sicurezza infallibile d’ottenerla, se noi la dimanderemo di vero cuore. Altrimenti che varrebbe insegnarci a chiederla, se il chiederla non valesse per riportarla? « Petite, et accipietis — Chiedete, e otterrete ». Figurati però, che finora abbiam trattato in questa bella orazione col nostro Padre Celeste da figliuoli innocenti, mentre dopo la gloria del suo gran Nome desiderata con quell’accesa preghiera « Sanctificetur nomen tuum — Sia santificato il nome tuo », gli abbiamo chiesto (com’era di convenienza) prima la eredità a noi promessa, con dire, « Adveniat Regnum tuum — Venga il tuo Regno », poi il merito intrinseco di ottenerla, con dire « Fiat voluntas tua — Sia fatta la tua volontà » e poi i mezzi sì intrinseci, come estrinseci con dire « Panem nostrum quotidianum da nobis hodie — Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». Ora cominciamo a trattar con esso lui da figliuoli rei, ma dolenti, mentre nessun padre ha da pensare solamente ai figliuoli sani, ma ancor dappoi che da sani son fatti infermi. Anzi questo ha da essere il maggior gaudio d’un vero padre, racquistare i figliuoli già traviati. Così dimostrò quel famoso Padre Evangelico, che fe’ più festa al ritorno del figliuol prodigo, che non fe’ in tutta la servitù, che godeva dal figliuol buono : « Manducemus, et epulemur, quia hic filius meus mortuus erat, et revixit. — Mangiamo e banchettiamo, perchè questo mio figlio era morto, ed è risuscitato » (Vangelo di Luca 15, 24). E però concepisci una gran fiducia, con ridurti bene a memoria, che quando tu dici a Dio queste affettuose parole : « Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris — Rimettici i nostri debiti, come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore », le dici a un Padre.
II.
Considera come allora noi propriamente siam debitori d’alcuno, quando o gli abbiamo levato punto di ciò che è di suo diritto, o glielo neghiamo. Ma qual è il diritto il qual ha Dio sopra noi, come nostro Padre? Che in qualunque occasione noi preferiamo come buoni figliuoli il suo gusto al nostro. Però qualunque volta manchiamo in ciò, restiamo a Dio debitori di grossa somma, cioè debitori di colpa insieme, e di pena, secondo la qualità del commesso fallo. Questi gran debiti sono pertanto quei due, che tu dimandi qui a Dio, ch’egli ti rimetta, qualor tu dici : « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti ». Non chiedi, che ti rimetta la sola colpa, nè chiedi, che ti rimetta la sola pena. Chiedi, che ti voglia rimettere, come Padre amantissimo, l’una e l’altra, benchè prima la colpa, com’è la brama di chi davvero è dolente, e dipoi la pena. Vero è, che non puoi chiedere, ch’egli mai ti condoni sì fatti debiti se non che per le vie battute. E posto ciò, quanto al debito della colpa, ti è di mestiere, se vuoi ben tosto ottenere la remissione con le presenti parole (che non han forza di conferirla per sè, come i Sagramenti, ma d’impetrarla), ti è, replico, di mestiere, ch’abbi dentro il tuo cuore, ad un tempo stesso, il vero pentimento a ciò necessario, ed il vero proponimento. E quanto al debito della pena, ti conviene dare a Dio le dovute soddisfazioni, sì in confessare il male da te commesso a chi tiene in terra il suo luogo, e sì in adempire quelle penitenze, che venganti però imposte. Ma credi per avventura che ciò sia molto? Tu non intendi, che debiti sieno questi. Il debito della minor colpa veniale da te contratta, è così gran debito, che se tutti i Santi, tutte le Sante, e tutte insieme le altre pure creature a Dio più gradite, volessero compensarlo condegnamente co’ loro ossequi, scendendo fin dal Cielo ad offerir per te solennissimi sacrifici in questa valle di pianto, a digiunar per te, a disciplinarsi per te, a non far altro mai che pregar per te; nemmen potrebbono giugnere a compensarlo per tutti i secoli. E qual è la ragione? Perchè Iddio più odia la minor colpa veniale operata al mondo, che non ama tutti gli ossequi delle sue pure Creature congiunte insieme. Che gran cosa è, che i figliuoli si uniscano quanti sono a venerare in una casa il loro padre, e ad onorarlo? Fan quel che debbono : anzi fan sempre meno. Ma s’un l’offende, troppo fa contro quello a che egli è tenuto, e così non v’è proporzione. « Quasi pannus menstruata universa justitia nostre. — Quasi sucido panno sono tutte le nostre giustificazioni » (Isaia 64, 6). E il debito della pena è sì gran debito, che non si può mai capire, se non da chi sta nell’Inferno attualmente a scontarlo, o nel Purgatorio, sin all’ultimo saldo. E a te par poi sì gran cosa, che Iddio ti richiegga a condonazione de’ tuoi debiti, che tu ritratti il mal fatto di vero cuore, che lo confessi ad un sacerdote in segreto, ma schiettamente; e che ne facci qualche penitenza a te ingiunta per tua salute? Ringrazia pur Gesù Cristo, che avendo egli soddisfatto per te con le sue opere di valore infinito, ha potuto ancora impetrarti ogni remissione. Nel rimanente, potresti far quanto vuoi, non faresti niente. Però quando dici a Dio : « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti », pensa a quello che dici. Non ti figurare di dimandare a Dio cosa che nulla costi. Perciocchè è vero, che non costa a te nulla il perdono che ottieni al presente con tal dimanda. Ma oh quanto è costato a Gesù figliuolo di Dio, nel sacrificare che egli fece di se medesimo al ben di tutti! « Dedit Redemptionem semetipsum pro omnibus. — Diede se stesso in Redenzione per tutti » (Prima lettera a Timoteo 2, 6).
III.
Considera come questa gran petizione è stata da Cristo indirizzata principalmente a due fini: a tor dagli uomini la presunzione ad un tempo, e la disperazione, che sono due tremendissimi precipizi, uno ai giusti, uno ai peccatori. Alcuni possono arrivare a tanto di audacia su questa terra, che dian a credersi di non aver di che chieder mai perdono a Dio loro Padre: « Nunquam mandatum tuum praeterivi. — Non ho mai trasgredito un tuo comando » (Vangelo di Luca 15, 29). Altri posson giugnere a tanto di costernazione, che non confidino di poterlo ottenere : « Major est iniquitas mea, quam ut veniam merear. — E’ sì grande il mio peccato, ch’io non posso meritar perdono » (Genesi 4, 13). Però ecco qui provveduto agli uni, ed agli altri, con questa bella orazione del Pater noster. E’ questa un’orazione ordinata prima agli Apostoli, e poi negli Apostoli a tutti gli altri fedeli senza eccezione: « Sic orabitis. —Voi pregherete così ». Ed è ordinata a recitarsi ogni dì, che però vien detta Orazione quotidiana; a recitarsi in pubblico, a recitarsi in privato, a recitarsi in qualunque lato di mondo. Adunque niuno presuma di se medesimo, mentre per Santo ch’egli si sia, è tenuto di dir a Dio, non solamente per altri, ma ancor per sè (com’è già stato insegnato da più Concili) : « Dimitte nobis debita nostra. —Rimettici i nostri debiti ». La sola Vergine potè ciò dir non per sè, ma per altri; e se potè dirlo per sè, lo potè dire, perchè fec’ell’ancor, come fece Cristo, che stimò suoi per carità tutti i debiti dell’umana generazione. Nel resto chi è sulla terra, che si sia potuto mai escluder dal gran ruolo de’ debitori? « Si dixerimus quia peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, et veritas in nobis non est. — Se diremo che non abbiam colpa, noi inganniamo noi stessi, e non è in noi verità » : non solo « non est humilitas — non è umiltà », come osserva S. Agostino, « sed neque est veritas — ma nepGioitso ztn, pure è verità ». Può per avventura accadere, che su quel punto, in cui tu reciti la presente orazione, non abbi debito più di veruna sorta, per aver presa allor allora un’Indulgenza plenaria, con la quale ti sia stato rimesso il tutto fin all’ultimo picciolo. Ma chi ti assicura di ciò, se non ti cala dal Cielo un Angelo apposta che tel riveli? Adunque nemmeno allora tu devi lasciar d’orare all’istessa forma, perchè anche allora tu sei certo del debito, e non sei certo altresì della remissione : « De propitiato peccato noli esse sine metu. — Del peccato rimesso non esserne senza timore » (Ecclesiastico o Siracide 5, 5). Come poi nessuno, che reciti il Pater noster, ha mai da presumere, così nemmeno ha mai punto da disperare, sol ch’ei lo reciti, non con la semplice bocca (come talvolta l’hanno imparato a ridire anche i pappagalli) ma dal profondo del cuore. E come mai si poteva ordinare a tutti, che dell’istessa maniera dicessero sempre a Dio : « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti », se si potessero ritrovar debiti, sì eccessivi, sì enormi, di cui con tal supplica, benchè presentata con vera cordialità, non si dovesse ottener la condonazione? Tutto il contrario. La chiedi? Adunque tieni pur per costante, che l’otterrai : « Omne debitum dimisi tibi quoniam rogasti me.. — Ti ho condonato ogni debito, perchè ti sei a me raccomandato » (Vangelo di Matteo 18, 32). Ed ecco in ciò confutate altresì due sciocche eresie. Una di Gioviniano, il qual dicea, che la grazia battesimale rendeva l’uomo impeccabile. E l’altra tutta all’opposto di Novato, il qual dicea, che chi perdesse col peccato la grazia battesimale non poteva più racquistarla. Tutto è falsissimo. Ai Battezzati ha ingiunto Cristo che dicano giornalmente : « Dimitte nobis debita nostra. — Rimettici i nostri debiti ». Adunque, e possono contrarre ancor de’ peccati dopo il Battesimo, e posson dopo il Battesimo conseguirne la remissione.
IV.
Considera come qui tu puoi dubitare se un peccatore, che non ha voglia di rendersi a penitenza, possa fare ancor egli questa orazione; giacchè ciascun quando dice queste parole : « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti », le deve dire, come i Concili c’insegnano, non solamente per gli altri, ma ancor per sè. Ma io ti chieggo : che intende fra sè di chiedere, con le parole ora dette, un tal peccatore? Forse che a lui sieno rimessi i suoi debiti, o sian di colpa, o di pena, non ostante la volontà ostinatissima, ch’egli serba di perseverare nella sua mala vita? Se intendesse egli ciò, farebbe una supplica, altrettanto sfacciata, quanto sacrilega; e però qual dubbio, che allor dovrebbe desister dall’orare, mentre arerebbe contro l’intenzione di Cristo, la qual fu, che qui chiediamo la remissione de’ debiti, non chiediamo la impunità. Ma s’egli non ostante la volontà indurata nel male non dimanda a Dio, che gli sian rimessi i suoi debiti in quello stato di debitore ostinato a non soddisfare, ma che gli sia conceduto di disporsi ad uscire da un tale stato; allora può orare, ed orare non solo senza peccato, ma ancor con pro, perchè non chiede una remission presente, che ripugni allo stato in cui si ritrova, ma solo una futura, che non ripugni. Quindi è, che almeno, dicendo tu il Pater noster, per gran peccatore che sii, hai da bramare di finire un giorno di esser peccatore. Ed è ciò tanto, che se non sei divenuto un diavolo in carne umana, non abbi a farlo? Se non vuoi farlo, applica a te quel detto sì formidabile de’ Proverbi: « Qui declinat aures suas ne audiat legem, oratio ejus erit execrabilis. — Chi chiude le orecchie per non ascoltare la legge, la orazione di lui sarà in esecrazione » (Proverbio 28, 9). Non dice « qui non audit legem — chi non ascolta la legge », com’è d’ogni peccatore, che non adempie la legge, dice « qui declinat aures ne audiat — chi chiude le orecchie per non ascoltare », com’è degli imperversati, che si turan, quali aspidi, i loro orecchi, perchè non venga loro volontà di adempirla.