La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

GIUGNO

 

XVI. GIORNO

Chi pecca si fa schiavo della sua stessa concupiscenza.

 

«« Omnis qui facit peccatum, servus est peccati. Chiunque fa peccato, è servo del peccato » (Vangelo di Giovanni 8, 34).

 

I.

Considera, che questa parola peccatum nelle divine Scritture ha doppio significato. Alle volte significa l’atto peccaminoso, che si commette, e alle volte significa la potenza ribelle alla ragione, che induce all’atto, ch’è la concupiscenza: e in questo senso parlò più volte l’Apostolo quando disse: « Si autem quod nolo illud facio, jam non ego operor illud, sed quod habitat in me peccatum. — Che se fo quello, che non amo, non lo fo già io, ma il peccato che abita in me » (Lettera ai Romani 7, 16, 17). Ora con ragione grandissima disse Cristo, che « qui facit peccatum, servus est peccati — chi fa peccato, è servo del peccato », perchè chi pecca, qui facit peccatum, di libero si fa servo, con ubbidire alla propria concupiscenza, cioè a quella parte, la qual dovrebbe ubbidire: servus est peccati. E non è questo un prodigioso disordine? questo sperò di rimovere già l’Apostolo, allora ch’egli tanto altamente gridò: « Non ergo regnet peccatum in vestro mortali corpore. —Non regni adunque il peccato nel vostro corpo mortale » (Lettera ai Romani 6, 12). Ma da quanto pochi l’ottenne! e pure non disse « non sit peccatum in vestro mortali corpore — non sia peccato nel vostro corpo mortale »; ma « non regnet — non regni », perchè ben sapea, che fin a tanto, che il nostro corpo è mortale, non ne possiamo scacciare la concupiscenza sicchè non vi abiti : ma se non possiamo scacciarla, possiamo fare, che almen non giunga a regnare, e dobbiamo farlo, perchè questo è il primo disordine, per cui disse il Savio, che si sarebbe tutta alterata la Terra per un servo, che segga in trono: Per servum cum regnaverit (Proverbio 30, 22).

II.

Considera, che chi pecca non solo serve con quell’atto alla propria concupiscenza, ma si fa servo di essa, anzi resta servo, siccome il vinto resta servo per sempre al suo vincitore. E però Cristo non è contento di dire, che « qui facit peccatum servit peccato — chi fa peccato serve al peccato »; ma dice, che « servus est — è servo » : perciocchè tale è la legge a quo quis superatus est, dice S. Pietro appunto in questo proposito, « a quo quis superatus est, hujus et servus est. — Da chi uno è stato vinto, di lui è ancor servo » (Seconda lettera di Pietro 2, 19). Fa quel che vuoi, non è possibile, che da te stesso tu più scuota sì misera virtù, se tu mai vi caschi; ci vuol la Grazia divina; e di più qual Grazia? ci vuol quella Grazia, la quale Iddio non è punto tenuto a darti, cioè la Grazia efficace: « Ego Dominus Deus vester, qui confregi catenas cervicum vestrarum, ut incederetis recti. — Io sono il Signore Dio vostro, che spezzai le catene de’ vostri colli, affinchè camminaste a testa alzata » (Levitico 26, 13). E posto ciò, potrai negare in uno stato tale di non essere vero servo?

III.

Considera, che non solo non è possibile, che tu da te stesso più scuota sì orribile servitù, ma è necessario, che sempre ancor te l’aggravi, con andare di male in peggio. Questo è il proprio del peccatore. Se non riceve un soccorso prontissimo dalla Grazia, non può per se stesso far altro, che aggiungere ogni dì peccato a peccato : Peccator adjiciet ad peccandum (Ecclesiastico o Siracide 3, 29). E così poi, che succede? succede, che da servitù passi al fine in ischiavitudine. E non hai tu sentito dire di molti, i quali « venumdati sunt ut facerent malum — si vendettero per far male »? (Primo libro dei Maccabei 1, 16). E chi sono questi? i mal abituati, i mal avvezzi. Si sono alcuni già dati in preda alla loro concupiscenza di tal maniera, che non hanno più forze da ripugnare. Anzi quando ella lasci di più istigarli, che fanno i miseri? si sforzano istigar lei: Concupierunt concupiscentiam (Salmo 106, 14). La svegliano, la stuzzicano, le van dietro : abierunt post pravitatem cordis sui (Geremia 9, 14), con provarsi a peccare, benchè non possano : ut inique agerent, laboraverunt (Geremia 9, 5). E però, oh quanto bene disse il Signore, che qui facit peccatum, servus est peccati, mentre chi pecca, non solo per se stesso egli è servo della sua sregolata concupiscenza, ma ancora n’è schiavo : Carnalis est, venundatus sub peccato (Lettera ai Romani 7, 14). E così deve andare di male in peggio.

IV.

Considera quanta sia l’infelicità di chi si trovi ridotto ad un tale stato. Basti dir solamente, che « servus est — è servo », e così è privo di ogni sorta di bene onorevole, utile, dilettevole. E’ privo dell’ onorevole, perchè la somma ignobiltà, che si trovi sopra la Terra, è la schiavitudine: « Vide, Domine, et considera, quoniam fatta sum vilis — Vedi, o Signore, e considera, come io son divenuta vile », disse la sconsolata Gerusalemme, quando si trovò fatta schiava. E’ privo dell’utile, perchè lo schiavo di sua natura non è padrone di niente, nè pur di sè, e così vien che fatichi senza guadagno : Servies inimico tuo in omni penuria (Deuteronomio 28, 48). E’ privo del dilettevole, perchè la sua vita non in altro appunto consiste, che in faticare, e poi essere bastonato, come fu degli Ebrei sotto Faraone: Flagellatique sunt ab exactoribus Pharaonis, dicentibus: Quare non impletis mensuram laterum, sicut prius, nec heri, nec hodie? (Esodo 5, 14). Ora mira bene, e vedrai, che tale appunto è lo stato del peccatore, anzi assai peggiore. Prima, perchè lo schiavo tanto è più ignobile, quanto ancora più ignobile è il suo padrone. Ma qual padrone più ignobile può aver l’uomo, che la propria concupiscenza? Questo è servire ad un bruto, cioè a quella parte, che l’uomo ha in sè di brutale: Carnalibus desideriis (Prima lettera di Pietro 2, 11). Secondo, perchè lo schiavo può con la fedeltà, che presti al Padrone, sperar un dì di ottener la libertà, come fu di Giuseppe, come fu di Esdra, come fu di Daniele. Ma il peccatore, quanto più serve fedelmente alla propria concupiscenza, tanto è sicuro di dovere più esserle sempre schiavo, e così non può guadagnarsi se non catene, che maggiormente l’opprimano : Servies inimico tuo in omni penuria, così fu detto di sopra: e pur questo è nulla; perchè egli poi che farà? « Et ponet jugum ferreum super cervicem tuam, donec te conterat. — E porrà sopra il tuo collo un giogo di ferro, onde ne resti schiacciato » (Deuteronomio 28, 48). Terzo, perchè lo schiavo se patisce nel corpo, può finalmente per la virtù, che non soggiace a schiavitudine alcuna, gioir nel cuore. Ma il peccatore nel cuore appunto patisce più, che nel corpo, perchè non altro continuamente riceve dalla sua mala coscienza fuor che rimproveri, riprensioni, flagelli: Arguet te malitia tua, et aversio tua increpabit te (Geremia 2, 19). In qualunque peccato vi son due cose: l’avversione al bene, e l’adesione al male. E queste sono due crudelissime furie, che fanno a gara in flagellar chiunque pecca. Vedi però se sia vero, che chiunque pecca, altro non è che uno schiavo : Qui facit peccatum, servus est peccati. Mentre non solo egli è schiavo, ma è lo schiavo più misero, che si trovi sopra la Terra; schiavo non di corpo, ma di anima : Anima eorum in captivitatem ibit (Isaia 46, 2).

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